2021-08-08
Giovanni Bianchi: «Mio nonno portò la catena di montaggio nella sartoria»
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Il responsabile stile di Luigi Bianchi: «Edgardo si ispirò a Ford Così fu più facile specializzare al massimo ogni dipendente»È il 1911 l’anno d’inizio della Primaria Sartoria Luigi Bianchi - Confezione Uomo e abiti tailleur per Signora. «Il mio bisnonno Luigi era un sarto» racconta Giovanni Bianchi, quarta generazione della grande famiglia, responsabile dell’ufficio stile, «Ma la grande rivoluzione l’ha fatta mio nonno Edgardo trasformando l’attività del padre da sartoria a azienda».Un cambio non da poco a quei tempi.«Era andato a studiare in America e aveva visto la catena di montaggio della Ford. Ha quindi voluto portare lo stesso concetto anche sulla sartoria creando una catena di produzione».Le auto sono una cosa, l’abbigliamento un’altra.«Stesso concetto, però. Invece di avere tanti sarti capaci di confezionare una abito da cima a fondo, servivano operaie specializzate ognuna in un proprio settore per velocizzare i tempi. E quindi hanno impostato la catena di montaggio anche sulla sartoria».Quindi avete dato il là a questa modo di produrre in Italia?«Assolutamente sì, è nato con la nostra azienda, prima non esisteva. Abbiamo iniziato a dare a ogni operaia un compito ben preciso con tempi molto più rapidi e da lì è proprio partita la catena di produzione nell’abbigliamento».Nella pratica, cosa è cambiato?«È diventato molto più facile istruire e preparare le persone che dovevano tagliare e cucire. Il mio bisnonno e poi il nonno insegnavano a fare una manica, a esempio, o una tasca e quello doveva essere fatto per tutto il giorno. Quindi una specializzazione massima su una tipologia di lavorazione. E questo era più facile per trovare persone da formare. Un conto è insegnare a fare il sarto un altro la stessa cucitura tutti i giorni». Sempre a Mantova?«Sì. Prima in un classico palazzo storico perché erano in pochi poi, quando è iniziata la catena di produzione negli anni Trenta, è stata costruita la fabbrica dove siamo tutt’ora, nella sede storica».Quante persone ci lavorano oggi?«Oltre 330 nello stabilimento mantovano». Quanti capi al giorno ?«Circa 400».Una produzione made in Mantova, quindi.«Le produzioni di prima linea come la Luigi Bianchi e le collezioni cerimonia, tutto il su misura e la produzione dei capispalla, giacche di L.B.M. 1911, escono dall’azienda mantovana. Ma abbiamo diverse linee e produciamo anche per conto terzi. Ci sono prodotti che a Mantova non siamo in grado di fare per tipologie diverse e che negli anni sono state esternalizzate come il pantalone sportivo, giacche sportive/travel che non rientrano nella normale catena di produzione dell’abito tradizionale». Ci sono ancora fabbriche non in Italia?«Avevamo una fabbrica a Tunisi per oltre trent’anni e in questo periodo la stiamo chiudendo per portarla in Europa dove abbiamo maggiori garanzie di qualità e di continuità a lungo termine rispetto alle produzioni nord africane. Un po’ per i cambi di governo, di culture e religioni oggi abbiamo più tranquillità a rimanere nella Comunità Europea». Dove andrete?«Abbiamo già diverse catene in Romania e Bulgaria e ora stiamo valutando quale delle due potenziare». È stata una scuola quella di suo nonno?«Ci ha insegnato a essere visionari, a cercare sempre di guardare oltre, senza fermarsi. Lo ha applicato sul tipo di produzione andando per primo verso mercati esteri e aprendo filiali in Inghilterra e America. Le prime pubblicità alla televisione, i giornalisti della tivu che vestivano Lubiam, un’attenzione allo sport che non esisteva, il Premio Lubiam per l’arte. È sempre stato avanti da questo punto di vista. Quello che cerchiamo di fare è di interpretarlo nei tempi moderni». Molto concentrato sulla comunicazione.«Mio nonno lavorava su quello e meno sul prodotto mentre oggi il nostro lavoro è molto più indirizzato sulla qualità e sulla ricerca di innovazione sulle collezioni. La produzione era molto più standardizzata, erano anni diversi. Una volta si lavorava sui tempi, sui metodi, sulla velocità di produzione oggi invece si lavora sulla ricerca e sulla differenziazione dei prodotti. Per merito di mio padre, è stata trasformata una catena molto rigida in una molto flessibile e dinamica. Questo ha permesso alle nostre nuove generazioni di poter produrre qui a Mantova tantissime tipologie di capi diversi. Quando c’era mio nonno quella era la giacca e quella si faceva». Nuova generazione. Com’è cambiato il vostro modo di lavorare rispetto agli anni di suo padre?«Una volta chi comandava era l’ufficio produzione, loro davano le tempistiche, le quantità e i modelli. Da quando siamo entrati noi, ovvero io e mio fratello Edgardo, che segue la parte contabile finanziaria dell’azienda, la produzione si adatta alle richieste del mercato piuttosto che il contrario. Lo stile, cui seguono tutte le dinamiche, detta le regole all’interno dell’azienda. Nostro padre, ancora oggi responsabile di produzione, si è fidato di noi che spingevamo su un cambiamento profondo. Senza, non avremmo ottenuto questi risultati. Ha visto lungo».In quanti negozi siete presenti nel mondo?Oggi siamo 1.200 punti vendita, parliamo di multibrand. Non abbiamo negozi diretti».Ora tutte le varie linee dai nomi diversi saranno riunite sotto l’unico cappello «Luigi Bianchi». Perché avete sentito questa necessità?«C’è stato un periodo in cui era più facile proporre sotto un’etichetta una collezione ben precisa, si tendeva a sottolineare meglio certi prodotti sotto un determinato brand. Ma con lo sviluppo dei social avere un unico brand ci dà maggiore riconoscibilità. Non avrebbe senso avere cinque siti internet e si rischierebbe di fare confusione sul mercato».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)