2021-05-14
Ma i ministri vanno per conto loro e si sganciano dalla linea dei partiti
Mariastella Gelmini (Ansa)
Gli esponenti del governo sembrano ormai viaggiare su altre frequenze rispetto alle loro sigle di appartenenza. Ha funzionato la tattica del premier di scegliere gli oustsider dei movimenti. Il governo guidato da Mario Draghi è una specie di astronave che si allontana sempre di più dai partiti che ne compongono la maggioranza. Una situazione che potrebbe comportare conseguenze imprevedibili per l'ex Supermario. La frattura tra i partiti di maggioranza (Lega, Forza Italia, Italia viva, Pd, M5s e Leu) e i rispettivi ministri è, con diverse sfumature, sempre più profonda. Del resto, questa frattura è venuta clamorosamente a galla al momento stesso della nascita del governo Draghi. Ricorderete tutti il caos che seguì la lettura della lista dei ministri, concordata tra Draghi e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. In Forza Italia esplose pubblicamente e clamorosamente la protesta contro la nomina di Mariastella Gelmini, Renato Brunetta e Mara Carfagna: i primi due considerati «non allineati» con i vertici del partito, la Carfagna scelta direttamente da Draghi pur essendo da tempo in rotta con Antonio Tajani e Licia Ronzulli, il tandem che guida di fatto gli azzurri in assenza di Silvio Berlusconi. Matteo Salvini, da parte sua, apprese dai Tg della nomina di Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia e Erika Stefani. Il Pd fu messo in crisi profonda dalle scelte di Draghi e Mattarella, che nominando tre uomini (Andrea Orlando, Dario Franceschini e Lorenzo Guerini) inguaiò l'allora segretario Nicola Zingaretti, che fu sottoposto a una tempesta di critiche dall'interno del partito. Guerini, tra l'altr, leader di Base riformista, la corrente dem dei nostalgici di Matteo Renzi, è una spina nel fianco di Enrico Letta come lo era di Zingaretti. Roberto Speranza non fa testo, essendo l'unico esponente di peso di Leu, così come Elena Bonetti, che era già ministro nel secondo governo guidato da Giuseppe Conte ed è stata riconfermata da Renzi. Nel M5s, poi, la scelta di Luigi Di Maio era inevitabile, essendo il ministro degli Esteri l'unico ad avere ancora un po' di presa sui parlamentari, mentre gli altri tre esponenti pentastellati, Stefano Patuanelli, Fabiana Dadone e Federico D'Incà, avevano contro la maggior parte di deputati e senatori. Un governo nato dalle scelte di Mattarella e Draghi senza tener conto delle indicazioni dei partiti non poteva che incorrere nelle problematiche che stiamo vedendo esplodere in queste ore, sulla vicenda delle riaperture e non solo: i ministri vanno da una parte, almeno per quel che riguarda Lega, Forza Italia e M5s, i rispettivi partiti da un'altra. Prendiamo la nomina a capo del Dis di Elisabetta Belloni, scelta da Draghi al posto di Gennaro Vecchione: un vero e proprio schiaffo a Giuseppe Conte, del quale Vecchione è un fedelissimo, accolto con soddisfazione da Di Maio, che con la nuova leader dei servizi segreti italiani, fino all'altro ieri segretario generale della Farnesina, vanta rapporti eccellenti. Di Maio del resto da tempo, stufo delle liti tra Conte e Davide Casaleggio, si tiene alla larga dalle questioni riguardanti il movimento, e respinge ogni invito a riprendere la guida dei pentastellati. Nella Lega e in Forza Italia sono evidenti le asimmetrie tra la linea portata avanti da Matteo Salvini e Antonio Tajani e il modo in cui Giorgetti e la Gelmini si comportano in Consiglio dei ministri: i leader chiedono di spingere, per fare l'esempio più eclatante, sulle riaperture, e i ministri invece si allineano alle decisioni di Draghi senza battere ciglio. Brunetta, da parte sua, si comporta da sempre in maniera autonoma rispetto alle indicazioni dei vertici del partito, mentre Mara Carfagna sta accentuando il suo profilo moderato e liberale, in netta contrapposizione con la linea filosovranista del tandem Tajani-Ronzulli. Nel Pd, la situazione è ancora più caotica, considerata la estrema debolezza della leadership di Enrico Letta, che neanche ci prova a dare un indirizzo a Orlando, Franceschini e Guerini, che sono politicamente molto più forti del segretario all'interno del partito. Il governo astronave quindi per ora va avanti, ma solo perché non ha alternative: la sensazione tra gli addetti ai lavori è che non abbia vita lunga. Non solo: Mario Draghi potrebbe bruciare le sue ambizioni per il Quirinale, spianando la strada, come la Verità ha anticipato in tempi non sospetti, a un bis, seppure a tempo, di Sergio Mattarella.
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Matteo Salvini (Imagoeconomica)