2021-02-23
Se non sblocca vaccini e ristori Draghi farà la fine di Giuseppi
Mario Draghi (S.Zucchi/Getty Images)
Il primo vero atto di governo ricorda molto il Conte ter: blocco tra Regioni prorogato e stretta sulle zone rosse L'esecutivo si gioca tutto su indennizzi immediati, svolta sulle immunizzazioni ed eventuali chiusure mirate. Inutile indorare la pillola o far finta che le cose stiano diversamente. Il clamoroso infortunio della scorsa settimana, quello dello sci, a essere molto buoni e comprensivi, poteva essere considerato un ultimo colpo di coda della gestione di Giuseppe Conte: una specie di eredità negativa arrivata sul tavolo di Mario Draghi non solo all'insegna della chiusura ma perfino con l'umiliazione delle imprese avvisate all'ultimo momento, costrette alla doppia beffa delle spese già effettuate per riaprire e delle mancate entrate per l'improvvisa non riapertura. Invece, la decisione maturata ieri è totalmente ascrivibile alla gestione Draghi: e purtroppo ha più il sapore della continuità con il passato che quello della discontinuità. Se qualcuno si augurava che si potesse da subito voltar pagina in modo plasticamente visibile, con una cesura netta rispetto alla politica incarnata per mesi da Roberto Speranza (che non a caso è rimasto al suo posto), questo desiderio è rimasto insoddisfatto un'altra volta. Dunque, è stato prorogato per un altro mese il divieto di spostamento tra Regioni, e resta viva anche la assai discutibile norma che limita le visite ad altre abitazioni private a due adulti più i figli con meno di 14 anni, possibilità che da ora è circoscritta alle sole zone gialle e arancioni, mentre viene preclusa in zona rossa. Restano tuttavia (sia rispetto agli spostamenti tra Regioni sia rispetto alle visite ad abitazioni private) le consuete eccezioni legate a motivi di lavoro, stato di necessità, ragioni di salute. Tutto più o meno come prima, se non (e almeno la forma è salva) per il fatto che queste norme non sono entrate nell'ennesimo dpcm, ma sono state inserite in un decreto legge, e quindi saranno sottoposte a un adeguato scrutinio parlamentare. Per rendere minimamente più accettabile questo stato di cose, occorre - almeno - che il governo cambi marcia su tre questioni non marginali. E si tratta di tre test che ci faranno comprendere molto presto se ci troveremo davanti a una pura e semplice prosecuzione del vecchio andazzo, o se invece, sia pure con molta gradualità e cautela, saremo auspicabilmente in cammino verso qualcosa di diverso. Primo: i ristori. A questo punto non basta evocare il principio astratto di una futura contestualità tra chiusura temporanea di un'attività e relativo indennizzo. Questo è il minimo sindacale, qualcosa che va dato per scontato, dopo tante prese in giro ai danni delle imprese lungo tutto l'arco del 2020 (e pure a inizio 2021, come abbiamo visto). Occorre di più, e cioè un poderoso irrobustimento del «quantum»: non può più trattarsi di somme simboliche, ma è necessario che si tratti di risarcimenti veri, di somme che abbiano una parentela stretta (non alla lontana) con l'effettiva perdita di fatturato. È ormai perfino noioso sentirci ripetere che anche altrove ci sono stati lockdown e misure di chiusura: ma è offensivo dell'intelligenza degli italiani omettere di segnalare la differenza tra gli spiccioli versati qui dallo Stato alle imprese e le somme consistentissime arrivate sui conti correnti delle aziende britanniche e tedesche, per fare solo due esempi. Secondo: i vaccini. È questo il lascito più deludente della stagione di Conte, tra primule appassite, spot emozionali, e mancanza sia di materia prima (dosi) sia di adeguata organizzazione sul campo. Su questo, non possono esserci scuse: il governo deve cambiare passo. Per un verso, allargando gli spazi di produzione sul territorio italiano; e per altro verso, sul modello britannico, «sparando» al più presto tutte le dosi che saranno disponibili, anche posticipando entro limiti ragionevoli il momento del richiamo. I dati forniti dalle autorità britanniche su Astrazeneca e un ampio studio pubblicato su Lancet confermano che anche una sola dose riduce di due terzi i rischi di trasmissibilità, e che un richiamo posticipato potrebbe essere altrettanto o addirittura più efficace. Se questo fosse confermato, considerando che entro la fine del primo trimestre (fine marzo) il numero delle dosi dei diversi vaccini effettivamente consegnate da inizio gennaio dovrebbe arrivare a 15 milioni, mentre nel secondo trimestre (aprile-giugno) ne dovrebbero complessivamente arrivare altri 52 milioni, la possibilità di una robusta accelerazione esiste. Su questo, non si può e non si deve fallire. Né è immaginabile ricominciare a sgranare il rosario delle scuse e dello scaricabarile. Semmai, una volta acquisita certezza sulle consegne, occorre arrivare allo standard britannico di 5-600.000 iniezioni al giorno: questa è la sfida. Terzo: le chiusure, che devono essere chirurgiche e non più generalizzate. Per mesi, ci è stato detto che lo scenario desiderabile sarebbe stato quello di arrivare a «convivere con il Covid» e fare chiusure mirate, centrate sul singolo focolaio. Questo è esattamente ciò che va fatto adesso. Già è molto doloroso lo stop agli spostamenti tra Regioni: questa durissima misura può essere sopportabile se almeno si garantisce il massimo possibile di circolazione all'interno di ogni Regione, circoscrivendo al minimo indispensabile le aree di chiusura totale. È su tutto questo che il nuovo governo sarà misurato.