2025-11-27
Trappolone per sabotare la pace. «Cacciate Witkoff: aiutava Putin»
Vladimir Putin e Steve Witkoff (Ansa)
Putiferio per le soffiate su una chiamata in cui il mediatore Usa, atteso al Cremlino, dava consigli a Mosca. Il «Guardian» evoca lo zampino di Cia o servizi ucraini, che ad Abu Dhabi hanno visto gli 007 dello zar.Le manovre diplomatiche per far concludere la crisi ucraina potrebbero trovarsi davanti a uno scoglio. Uno dei principali negoziatori americani, Steve Witkoff, è infatti finito nella bufera, dopo che Bloomberg News ha pubblicato la trascrizione di una telefonata da lui avuta con il consigliere di Vladimir Putin, Yuri Ushakov, lo scorso 14 ottobre. Dal testo è emerso che l’inviato americano ha dato all’interlocutore dei consigli su come lo zar avrebbe dovuto affrontare il colloquio telefonico con Donald Trump, che si sarebbe tenuto due giorni dopo.È in questo quadro, che il deputato repubblicano Don Bacon ha invocato il licenziamento di Witkoff, mentre il collega dem Ted Lieu ha bollato quest’ultimo come un «vero traditore». Interpellato sulla questione, Trump è invece andato in soccorso del proprio inviato, sostenendo come la sua fosse una strategia negoziale. «Ho sentito dire che si trattava di negoziati standard. E immagino che stia dicendo la stessa cosa all’Ucraina, perché entrambe le parti devono dare e ricevere», ha dichiarato l’inquilino della Casa Bianca. «Trovate il leaker e licenziatelo immediatamente. Nessuna scusa. Il leaker anonimo è un rischio per la sicurezza nazionale», ha aggiunto l’inviato speciale di Trump, Richard Grenell, riferendosi a chi ha fatto trapelare la conversazione telefonica alla stampa.Tutto questo, mentre il figlio del presidente americano, Donald jr., ha puntato il dito contro il «deep State» che starebbe tentando di sabotare l’accordo di pace. «Questa storia dimostra una cosa: l’inviato speciale Witkoff parla con i funzionari sia in Russia che in Ucraina quasi ogni giorno per raggiungere la pace, che è esattamente ciò per cui il presidente Trump lo ha incaricato», ha inoltre tagliato corto il direttore della comunicazione della Casa Bianca, Steven Cheung. Dal canto suo, Ushakov ha definito il leak «inaccettabile», mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che le richieste di licenziare Witkoff nascerebbero dall’intento di ostacolare il «fragile slancio verso una soluzione pacifica in Ucraina». Kiev ha frattanto negato di essere coinvolta nel leak. «L’Ucraina, ovviamente, non ha nulla a che fare con l’organizzazione di queste pubblicazioni. Agiamo direttamente, nell’ambito di partnership, con una logica trasparente e con linee rosse che sono assolutamente chiare ai nostri alleati», ha dichiarato il consigliere presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak.Come detto, Witkoff è uno dei principali protagonisti del team negoziale americano. Domenica, era presente a Ginevra, insieme a Marco Rubio e a Jared Kushner, al vertice con la delegazione ucraina. Non solo. L’altro ieri, Trump ha anche reso noto che, probabilmente la prossima settimana, Witkoff si recherà a Mosca, per parlare direttamente con Putin del piano di pace statunitense, modificato dopo i colloqui ginevrini. È quindi evidente come il leak punti a complicare il processo di pace. La domanda ovvia è allora: chi c’è dietro? In assenza di informazioni concrete, il Guardian ha messo in campo tutte le ipotesi. Potrebbe trattarsi di funzionari della Cia o della Nsa scontenti della politica di Trump. Potrebbe trattarsi anche di un servizio di intelligence europeo, dell’Ucraina o di pezzi dell’apparato russo. Kiev ha del resto sempre considerato Witkoff una figura troppo amichevole con Mosca, mentre non si può neanche escludere che alcuni settori dei servizi russi non vedano di buon occhio l’attuale politica del Cremlino nei confronti di Washington. Nel Vecchio continente, poi, i malumori per un eventuale accordo di pace mediato da Trump sono notoriamente molti.Come che sia, al di là del leak, Mosca non ha ancora espresso una posizione chiara sul piano americano, modificato a Ginevra. «È troppo presto per dirlo», ha replicato, ieri, Peskov, quando gli è stato chiesto se ritenesse imminente un accordo di pace. Sempre ieri, il viceministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov, ha reso noto che Mosca non è ancora pronta a discutere pubblicamente della proposta statunitense. «Il problema è la presenza o l’assenza della volontà politica di attuare rigorosamente gli accordi raggiunti dai leader dei due Paesi ad Anchorage», ha dichiarato, riferendosi al vertice, tenutosi ad agosto tra Trump e Putin in Alaska. E così, mentre il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha detto che il conflitto potrebbe chiudersi entro fine anno, Mosca, almeno per ora, resta piuttosto cauta.Sono intanto emersi alcuni dettagli sull’incontro che, la scorsa settimana, il segretario all’Esercito statunitense, Dan Driscoll, aveva avuto con i vertici ucraini a Kiev. Nbc News ha infatti riferito che il diretto interessato «ha detto ai suoi omologhi che le loro truppe si trovavano in una situazione disperata sul campo di battaglia e che avrebbero subito una sconfitta imminente contro le forze russe». «La delegazione statunitense ha anche affermato che l’industria della difesa americana non può continuare a fornire all’Ucraina armi e difese aeree al ritmo necessario per proteggere le infrastrutture e la popolazione del Paese», ha aggiunto la testata. Tutto questo, mentre Ushakov ha riferito che, durante gli incontri di Abu Dhabi di inizio settimana a cui ha preso parte anche Driscoll, erano presenti anche esponenti dei servizi russi e ucraini. Nel frattempo, secondo quanto fatto sapere da Kiev, Volodymyr Zelensky potrebbe recarsi negli Stati Uniti entro la fine del mese per incontrare Trump. Infine, domani Viktor Orban dovrebbe essere ricevuto a Mosca da Putin: è abbastanza verosimile che i due parleranno anche della proposta di pace statunitense.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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