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2023-11-20
Milei ha vinto le presidenziali argentine
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Javier Milei (Ansa)
La vittoria di Milei è stata possibile grazie alla convergenza tra la sua coalizione, La Libertà Avanza, e i conservatori di Insieme per il Cambiamento: un’alleanza strategica, sorta dopo il primo turno, per mettere all’angolo la coalizione peronista, Unione per la Patria. Ricordiamo che, al primo turno, Massa aveva vinto con il 36,7%, mentre Milei si era arrestato al 29,9%, seguito a sua volta da Patricia Bullrich che, alla guida di Insieme per il Cambiamento, aveva ottenuto il 23,8%: nessuno dei contendenti in lizza aveva quindi conseguito la soglia del 45% e questo aveva reso necessario il ballottaggio.
"Il modello di decadenza è giunto al termine, non si può tornare indietro", ha affermato Milei dopo la vittoria. "Abbiamo problemi enormi davanti a noi: inflazione, mancanza di lavoro e povertà", ha continuato, per poi aggiungere: "La situazione è critica e non c'è posto per tiepide mezze misure". Il vincitore ha anche ringraziato la Bullrich per il sostegno "incondizionato", mentre Massa ha riconosciuto la sconfitta.
Ricordiamo che l’inflazione in Argentina ha raggiunto quasi il 150%. Una situazione che è in buona sostanza imputabile ai peronisti. Questi ultimi sono infatti alla guida del Paese dal dicembre 2019 con il presidente uscente Alberto Fernandez. Inoltre, non va trascurato che Massa è il suo ministro dell’Economia. Un quadro complessivo, questo, che ha offerto a Milei la possibilità di inserirsi e di arrivare infine alla presidenza.
È probabilmente la prima volta nella Storia che vedremo all’opera una politica improntata alle idee dell’anarco-capitalismo. E questo offre lo spunto per sfatare alcuni falsi miti che riguardano la figura di Milei. Si tratta senza dubbio di un personaggio a suo modo bizzarro e bisognerà attendere alcuni mesi per capire come si muoverà da presidente. Additarlo tuttavia come un populista di estrema destra è essenzialmente inesatto. A livello generale, il populismo si contraddistingue non solo per una tendenza plebiscitaria ma soprattutto per ricette economiche di orientamento più o meno statalista. Di contro, gli anarco-capitalisti sono favorevoli a privatizzazioni radicali e avversi a ogni tipo di intromissione dello Stato nel settore economico. In questo senso, anche il paragone con Donald Trump regge fino a un certo punto: l’allora presidente americano era un protezionista ed era anche favorevole a una riforma infrastrutturale che avrebbe previsto un importante investimento pubblico alla sua base.
Infine, anche sotto il profilo geopolitico, Milei potrebbe rivelarsi assai meno controverso di Massa e Fernandez. I peronisti finora hanno avvicinato notevolmente l’Argentina alla Cina. Di contro, il nuovo presidente ha assunto una posizione piuttosto guardinga nei confronti di Pechino. Milei andrà giudicato alla prova dei fatti. Sarebbe quindi il caso di risparmiarsi le demonizzazioni preventive.
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Alla fine c’è riuscito: Javier Milei ha vinto le elezioni presidenziali argentine. Il candidato anarco-capitalista si è aggiudicato il ballottaggio di ieri col 55,6% dei voti, sconfiggendo il peronista, Sergio Massa, fermatosi al 44,3%. La vittoria di Milei è stata possibile grazie alla convergenza tra la sua coalizione, La Libertà Avanza, e i conservatori di Insieme per il Cambiamento: un’alleanza strategica, sorta dopo il primo turno, per mettere all’angolo la coalizione peronista, Unione per la Patria. Ricordiamo che, al primo turno, Massa aveva vinto con il 36,7%, mentre Milei si era arrestato al 29,9%, seguito a sua volta da Patricia Bullrich che, alla guida di Insieme per il Cambiamento, aveva ottenuto il 23,8%: nessuno dei contendenti in lizza aveva quindi conseguito la soglia del 45% e questo aveva reso necessario il ballottaggio."Il modello di decadenza è giunto al termine, non si può tornare indietro", ha affermato Milei dopo la vittoria. "Abbiamo problemi enormi davanti a noi: inflazione, mancanza di lavoro e povertà", ha continuato, per poi aggiungere: "La situazione è critica e non c'è posto per tiepide mezze misure". Il vincitore ha anche ringraziato la Bullrich per il sostegno "incondizionato", mentre Massa ha riconosciuto la sconfitta.Ricordiamo che l’inflazione in Argentina ha raggiunto quasi il 150%. Una situazione che è in buona sostanza imputabile ai peronisti. Questi ultimi sono infatti alla guida del Paese dal dicembre 2019 con il presidente uscente Alberto Fernandez. Inoltre, non va trascurato che Massa è il suo ministro dell’Economia. Un quadro complessivo, questo, che ha offerto a Milei la possibilità di inserirsi e di arrivare infine alla presidenza.È probabilmente la prima volta nella Storia che vedremo all’opera una politica improntata alle idee dell’anarco-capitalismo. E questo offre lo spunto per sfatare alcuni falsi miti che riguardano la figura di Milei. Si tratta senza dubbio di un personaggio a suo modo bizzarro e bisognerà attendere alcuni mesi per capire come si muoverà da presidente. Additarlo tuttavia come un populista di estrema destra è essenzialmente inesatto. A livello generale, il populismo si contraddistingue non solo per una tendenza plebiscitaria ma soprattutto per ricette economiche di orientamento più o meno statalista. Di contro, gli anarco-capitalisti sono favorevoli a privatizzazioni radicali e avversi a ogni tipo di intromissione dello Stato nel settore economico. In questo senso, anche il paragone con Donald Trump regge fino a un certo punto: l’allora presidente americano era un protezionista ed era anche favorevole a una riforma infrastrutturale che avrebbe previsto un importante investimento pubblico alla sua base. Infine, anche sotto il profilo geopolitico, Milei potrebbe rivelarsi assai meno controverso di Massa e Fernandez. I peronisti finora hanno avvicinato notevolmente l’Argentina alla Cina. Di contro, il nuovo presidente ha assunto una posizione piuttosto guardinga nei confronti di Pechino. Milei andrà giudicato alla prova dei fatti. Sarebbe quindi il caso di risparmiarsi le demonizzazioni preventive.
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Meloni ha poi lanciato un altro attacco all’opposizione a proposito di Abu Mazen, presidente della Palestina: «La sua bella presenza qui ad Atreju fa giustizia delle accuse vergognose di complicità in genocidio che una sinistra imbarazzante ci ha rivolto per mesi». E ancora contro la sinistra: «La buona notizia è che ogni volta che loro parlano male di qualcosa va benissimo. Cioè parlano male di Atreju ed è l’edizione migliore di sempre, parlano male del governo, il governo sale nei sondaggi, hanno tentato di boicottare una casa editrice, è diventata famosissima. Cioè si portano da soli una sfiga che manco quando capita la carta della Pagoda al Mercante in fiera, visto che siamo in clima natalizio. E allora grazie a tutti quelli che hanno fatto le macumbe». L’altra stilettata ironica a proposito del premio dell’Unesco che riconosce la cucina italiana come bene immateriale dell’umanità: «A sinistra non è andato bene manco questo. Loro non sono riusciti a gioire per un riconoscimento che non è al governo ma alle nostre mamme e nonne, alle nostre filiere, alla nostra tradizione, alla nostra identità. Hanno rosicato così tanto che è una settimana che mangiano tutti dal kebabbaro. Veramente roba da matti». Ricordando l’unità della coalizione, Meloni ha sottolineato che questa destra «non è un incidente della storia» rivendicando le iniziative adottate in tre anni di esecutivo. Il premier ha poi toccato i temi di attualità e a proposito dell’equità fiscale rivendicata dall’opposizione ha scandito: «Non accettiamo lezioni da chi fa il comunista con il ceto medio e il turbo capitalista a favore dei potenti. Oggi il Pd si indigna perché gli Elkann vogliono vendere il gruppo Gedi e non ci sarebbero garanzie per i lavoratori però quando chiudevano gli stabilimenti di Stellantis ed erano gli operai a perdere il posto di lavoro, tutti muti. Anche Landini sul tema fischiettava». Non sono mancati i riferimenti ai temi caldi del centrodestra: immigrazione, riforma della giustizia, guerra in Ucraina ed Ue con il disimpegno di Trump e il Green Deal.
Sul palco anche i due vicepremier. «La mia non vuole essere solo una presenza formale, ma una presenza per riconfermare un impegno che tutti noi abbiamo preso nel 1994» ha detto il leader di Fi Antonio Tajani. «Ma gli accordi di alleanze fatte soprattutto di lealtà e impegno, devono essere rinnovati ogni giorno. La ragione di esistere di questa coalizione è fare l’interesse di ciascuno dei 60 milioni di cittadini italiani. E lo possiamo fare garantendo, grazie all’unità di questa coalizione, stabilità politica a questo Paese». Per il leader leghista Matteo Salvini “c’è innanzitutto l’orgoglio di esserci dopo tanti anni. Ci provano in tutti i modi a far litigare me e Giorgia. Ma amici giornalisti, mettetevi l’anima in pace: non ci riuscirete mai». Poi il ministro dei Trasporti ha assicurato che farà «di tutto» per avviare i lavori per il Ponte sullo Stretto, ha rilanciato sull’innalzamento del tetto del contante e sull’impegno anti maranza e infine ricordato come il governo stia facendo un buon lavoro nella tassazione delle banche.
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C'è un'invenzione che si deve agli aviatori, anzi, a un minuto personaggio brasiliano stanco di dover cercare l'orologio nel suo taschino mentre pilotava l'aeroplano.
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Se a causa degli scandali, il supporto alla resistenza ucraina mostra vistose crepe, con più della metà degli italiani che non è intenzionata a sostenere militarmente le truppe che cercano di respingere l’armata russa, non è che i soldati che da quasi quattro anni combattono sembrano poi pensarla in modo molto diverso. Sul Corriere della Sera ieri è stata pubblicata un’immagine in cui si vedono militari in divisa sfatti dalla fatica. Tuttavia, a colpire non è la stanchezza dei soldati, ma la loro età. Si capisce chiaramente che non si tratta di giovani bensì di anziani, considerando che comunque l’età media dei militari è superiore ai 40 anni. Uomini esausti, ma soprattutto anagraficamente lontani da un’immagine di agilità e forza. Intendiamoci, a volte gli anni portano esperienza e competenza, soprattutto al fronte, dove serve sangue freddo per non rischiare la pelle. Ma non è questo il punto: non si tratta di pensionare i militari più vecchi, ma di reclutare i giovani e questo è un problema che la fotografia pubblicata sul quotidiano di via Solferino ben rappresenta. Il giornale, infatti, ci informa che 235.000 militari non si sono presentati ai loro reparti e quasi 54.000 sono già stati ufficialmente dichiarati disertori. In pratica, un soldato su quattro del milione mobilitato pare non avere alcuna intenzione di imbracciare un fucile. Per quanto le guerre moderne si combattano con l’Intelligenza artificiale, con i satelliti e i droni, poi alla fine la differenza la fanno sempre gli uomini. A Pokrovsk, la città che da un anno resiste agli assalti delle truppe russe, impedendo agli uomini di Putin di dilagare nel Donbass, se non ci fossero reparti coraggiosi che continuano a respingere gli invasori, Mosca avrebbe già visto sventolare la sua bandiera sui tetti delle poche costruzioni rimaste in piedi dopo mesi di bombardamenti devastanti.
Il tema delle diserzioni, della fuga all’estero di centinaia di migliaia di giovani che non vogliono morire sotto le bombe, è tale che in Polonia e Germania, ma anche in altri Paesi confinanti, si sta facendo pressione per impedire l’arrivo di ulteriori fuggiaschi. Se si guarda al numero di chi non ha intenzione di combattere si capisce perché è necessario raggiungere una tregua. Quanto ancora potrà resistere l’Ucraina in queste condizioni? A marzo comincerà il quinto anno di guerra. Un conflitto che rischia di non avere precedenti, per numero di morti e per la devastazione. E soprattutto uno scontro che minaccia di trascinare in un buco nero l’intera Europa, che invece di cogliere il pericolo sembra scommettere ancora sulle armi piuttosto che sulla tregua. C’è chi continua a invocare una pace giusta, ma la pace giusta appartiene alle aspirazioni, non alla realtà.
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