2019-12-31
Migranti, tasse ed Europa Tutte le menzogne dell’ex avvocato del popolo
Da premier gialloblù giurava: «Questa sarà la mia ultima esperienza di governo» Ora annuncia: «Non mi ritiro». Ma dai porti chiusi al Mes, le giravolte sono infiniteOrmai è un fenomeno letterario, da romanzo di Robert Louis Stevenson: Lo strano caso del dottor Conte e di Mister Giuseppi. Il premier è avviluppato in un vortice di contraddizioni e smentite di sé stesso. A cominciare dalla telenovela sul suo ruolo in politica, la cui sceneggiatura pare scritta dal Matteo Renzi che, perso il referendum, doveva sparire. Il 24 marzo 2019, a Lecce, Giuseppe Conte giurò: «Non ho la prospettiva di lavorare per una nuova esperienza di governo. La mia esperienza di governo termina con questa». Sappiamo com’è andata a finire: ha improvvisato un bis con le forze politiche nemiche giurate del suo precedente esecutivo. Ora, un altro doppio carpiato. Sabato scorso, durante la conferenza stampa di fine anno, il premier ha sospirato: «Un Conte ter? Per carità…». Eppure ieri, su Repubblica, si leggeva: «Non mi vedo novello Cincinnato che mi ritraggo e mi disinteresso della politica. Ma la politica non è solo fondare un partito o fare il leader di partito o fare competizioni elettorali. Ci sono mille modi per partecipare alla vita politica». Insomma, Giuseppi non scende dalla giostra. Resterà in sella a lungo, magari lanciando un’Opa sul centrosinistra. Un Romano Prodi 4.0.Ma le giravolte di Conte non finiscono qui. Se uno va a ripescare il discorso con il quale, il 5 giugno 2018, chiese la fiducia al Parlamento, sostenuto da 5 stelle e Lega, trova passaggi da prefetto di ferro: «Metteremo fine al business dell’immigrazione, cresciuto a dismisura sotto il mantello di una finta solidarietà». Una bordata tremenda ai buonisti. Un mese dopo, il premier rincarava la dose, durante il summit Nato di Bruxelles dell’11 luglio: «Dall’immigrazione potrebbero venire rischi e pericoli di foreign fighter». In seguito, l’autoaccusa sul caso Diciotti. Conte, il 7 febbraio 2019, allegò un documento alla memoria difensiva che Matteo Salvini aveva presentato alla Giunta per le autorizzazioni del Senato. Il presidente sentiva «il dovere di precisare che le determinazioni assunte in quell’occasione dal ministro dell’Interno sono riconducibili a una linea politica sull’immigrazione che ho condiviso nella mia qualità di presidente del Consiglio con i ministri competenti, in coerenza con il programma di governo».Ormai, però, l’avvocato del popolo non esercita più. Sabato è arrivato a sostenere che «i porti non sono mai stati chiusi». Ha accusato Salvini di aver tenuto accesi i riflettori sull’immigrazione «in modo strategico», a scopi di «propaganda». E s’è rimangiato la linea tenuta sulla Diciotti. All’improvviso, il blocco della nave Gregoretti è diventato una decisione solitaria dell’ex ministro dell’Interno. Il suo governo? Vittima inconsapevole. E la flat tax? Non serve mica riavvolgere il nastro al 2018, quando Carroccio e M5s negoziavano il contratto. Era il 30 giugno 2019 e il dottor Conte, da Bruxelles, assicurava: «La flat tax la garantisco io come presidente del Consiglio». Tant’è che Mister Giuseppi, il 28 dicembre, ha chiosato: «Sulla flat tax riteniamo che un’articolazione (delle aliquote, ndr) ci debba essere e che debba essere anche rispettato il principio di progressività dell’imposizione». Tassa piatta in soffitta. D’altronde, a Luigi Di Maio non è mai piaciuta. Il Pd la aborre. E la priorità è incollarsi alla poltrona, mica rilanciare l’economia agonizzante. Copione molto simile sull’autonomia. Da Osaka, in Giappone, il 29 giugno scorso, l’avvocato del popolo ribadiva un impegno che aveva già pubblicamente assunto: «Mi sono reso garante di questo percorso dell’autonomia differenziata». Poi, dismessa la casacca gialloblù per quella giallorossa, il primo atto del suo governo è stato di impugnare la legge sull’immigrazione del Friuli Venezia Giulia.Conte bifronte anche sul Russiagate de’ noantri, che doveva dimostrare le collusioni di Salvini con il Cremlino. Quando era andato a riferire in Senato, il 24 luglio 2019, Giuseppi aveva precisato: «Allo stato attuale non ci sono elementi che possono incrinare la fiducia che nutro nei componenti del governo». Cristallino e finanche coraggioso. Ma a settembre, il premier ha cambiato versione. Intervistato da Sky Tg24, ha commentato così la decisione dell’ex ministro dell’Interno di non presentarsi dinanzi al Parlamento: «Se si assumono delle responsabilità istituzionali così elevate, come un ruolo nell’ambito di un governo, bisogna assicurare massima trasparenza nei confronti dei cittadini. […] È per questo che io ho avvertito la necessità e l’urgenza, una volta sollecitato da forze che allora erano all’opposizione, di andare in Parlamento a chiarire tutte le informazioni che erano in mio possesso. Se altri l’hanno pensata diversamente mi è dispiaciuto, l’ho detto anche solennemente al Parlamento che secondo me non è quello l’atteggiamento che bisogna tenere». Con stoccata finale: «Ci sarebbero tutte le premesse per procedere a un chiarimento che ritengo anche io urgente e necessario».Ma la madre di tutti i capovolgimenti di fronte è stato il dossier Mes. Conte aveva un chiaro mandato dall’Aula: non firmare la riforma del salva Stati. Che invece ha ingurgitato subito a giugno, per poi buttarla in caciara con la «logica di pacchetto» e l’unione bancaria - alle calende greche. Da avvocato del popolo ad avvocato dell’Europa - la stessa che, per citare il deputato Ue belga Guy Verhofstadt, lo sbeffeggiava chiamandolo «burattino di Salvini e Di Maio».Natura anfibia, capacità d’adattamento. E una buona dose di faccia tosta. Giusto un anno fa, il premier proclamava: «Se populismo significa restituire al popolo la pienezza della sovranità, rivendichiamo orgogliosamente di essere populisti». A settembre, la piroetta: «La mia formazione è di sinistra, nel cattolicesimo democratico». Con sviolinata pro migranti: «Anche quando ho parlato di immigrazione ho sempre ragionato rifuggendo la formula porti aperti o porti chiusi». Come no. Più che Conte, camaleConte.
Rod Dreher (Getty Images)