2023-10-28
La piccola «Mignatta» che vinse la gigante «Viribus Unitis»
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A sinistra, la «Torpedine semovente Rossetti» che affondò la «Viribus Unitis» a Pola (a destra)
La «Torpedine semovente Rossetti» fu protagonista dell'impresa di Pola nell'autunno 1918. Arma sperimentale, eluse le difese del porto nemico alla vigilia della vittoria italiana nella Grande Guerra. La storia e i protagonisti di un'azione che sembrava impossibile.Il termine «mignatta» è un sinonimo di «sanguisuga», invertebrato ematofago capace di attaccarsi saldamente all’epidermide umana ed animale e dotato un apparato boccale estremamente efficace per succhiare il sangue della preda.Fu per le similitudini con l’anellide acquatico che fu scelto il soprannome di una delle armi sperimentali della Regia Marina più famose durante la Grande Guerra. La «Torpedine Semovente Rossetti» ricordava nelle forme una sanguisuga, data la forma allungata che terminava con un semicono tronco in prua. Il siluro era dotato di una ogiva magnetica in grado di attaccarsi saldamente alla chiglia delle navi nemiche alla quale erano connesse due potenti cariche esplosive temporizzate, programmabili quando il siluro si trovava a pelo d’acqua. La «Mignatta» era pilotata fino all’obbiettivo da due incursori subacquei ed era mossa da un motore ad aria compressa. La storia del progetto prese forma dal genio di Raffaele Rossetti, ingegnere nato a Genova e laureato al Politecnico di Torino nel 1904 e in seguito milanese d’adozione. A Genova e Taranto completò la formazione in ingegneria navale e fu arruolato nella Regia Marina come ufficiale del Genio. Dopo aver prestato servizio a bordo dell’incrociatore «Pisa» durante la guerra Italo-Turca, durante la Grande Guerra fu destinato all’Arsenale della Spezia dove iniziò a lavorare a mezzi d’assalto sperimentali. Il progetto della torpedine semovente prese forma definitiva presso l’arsenale di Venezia tra il 1917 e il 1918. La «Mignatta» fu realizzata in due esemplari la cui struttura era composta da un corpo metallico ricoperto parzialmente da doghe in legno, che facevano assomigliare il corpo centrale del siluro ad una botte. A prua, in linea, erano alloggiati i due cilindri contenenti le cariche esplosive mentre centralmente si trovava il propulsore ad aria compressa. Quest’ultimo era un motore comunemente utilizzato per le «torpedini» in dotazione alla Regia Marina, lo Schneider A115/450 con pressione di esercizio di 130-150 atmosfere, in grado di muovere lo scafo a circa 2 nodi. Il pilotaggio era estremamente essenziale: non c’era timone e la direzione veniva data dalla posizione di gambe e braccia dei due subacquei e la regolazione della marcia avveniva tramite la regolazione di una semplicissima chiave che determinava il flusso di aria compressa alla trasmissione collegata a due piccole eliche quadripala controrotanti. La «Torpedine Semovente Rossetti» fu testata nelle acque della laguna di Venezia durante l’estate del 1918, quando sulla terraferma si combatteva la controffensiva italiana del Piave. Durante i mesi di prova, Raffaele Rossetti incontrò il secondo incursore che avrebbe preso parte ad una delle imprese più celebrate della Grande Guerra. Con lo stesso nome di battesimo di Rossetti, Raffaele Paolucci era un ufficiale medico romano che si era distinto sul Carso per l’attività di assistenza agli infermi e ai feriti. Particolarmente incline all’azione Paolucci, abile nuotatore, volle incontrare l’inventore della «Mignatta» richiedendo di essere il secondo membro dell’equipaggio di quell’arma innovativa. La posta in gioco era tra le più alte: l’attacco notturno al porto austro-ungarico di Pola, in Istria, dove si trovava parte della flotta imperial-regia. Tra le navi nemiche il servizio informazioni del Regio Esercito aveva segnalato la presenza del fiore all’occhiello della flotta austriaca, la corazzata «Viribus Unitis», individuata come obiettivo dell’incursione della «Mignatta». Molti erano i rischi per i due incursori e la loro torpedine, perché il porto istriano era fortemente presidiato e difeso da artiglieria costiera e da barriere e mine subacquee. Questa condizione non impedì ai due subacquei italiani di tentare l’impresa, che fu fissata per la notte tra il 31 ottobre e il 1°novembre 1918. Trainato da un Mas, il siluro di Rossetti fu trasportato fino all’imbocco del porto di Pola dove a pelo d’acqua iniziò a muoversi verso l’arsenale nemico, nella totale oscurità. Spingendo la «Mignatta» a mano, Rossetti e Paolucci lottarono contro le reti di sbarramento e riuscirono a distinguere la chiglia dell’ammiraglia austriaca solo verso le 3 del mattino, dopo essere passati inosservati alle sentinelle a guardia della diga foranea. Difficile fu anche l’armamento degli ordigni, soprattutto del secondo a causa del malfunzionamento dell’elettromagnete. Fu Paolucci a assicurarlo, improvvisando un ancoraggio con una cima. Terminato il posizionamento delle cariche, quando ormai i due incursori stavano per girare la prua del siluro verso il mare aperto, l’imprevisto: una fotoelettrica austriaca li inquadrò, generando l’allarme e il repentino arresto dei due marinai italiani, che provvidero immediatamente ad affondare la loro arma segreta. Portati a bordo della «Viribus Unitis» scoprirono che la fine della Grande Guerra era più vicina di quanto pensassero. La flotta all’ancora nel porto di Pola era già stata ceduta alla Marina jugoslava e l’ammiraglia austriaca, a bordo della quale erano stati trasferiti i due prigionieri italiani, era sotto il comando del Capitano Janko Vukoviḉ, che fu subito informato dell’imminenza dell’esplosione degli ordigni, programmati per le ore 6:30 del mattino. Inizialmente il comandante decise di evacuare la nave ma, passata l’ora indicata dai prigionieri, fece ritorno sulla Viribus Unitis assieme ai marinai, mentre Rossetti e Paolucci rimasero a bordo della nave «Tegethoff». Alle 6:44 un boato assordante squarciò l’aria del porto di Pola. La piccola «Mignatta» aveva vinto sulla gigante «Viribus Unitis», squarciata dalle cariche del siluro esplose in lieve ritardo. A bordo persero la vita 300 uomini dell’equipaggio, tra cui lo stesso Vukoviḉ e la nave si inclinò su un fianco, come inginocchiata alla ormai imminente vittoria italiana che sarebbe poi stata ratificata appena tre giorni dopo, il 4 novembre 1918. Rossetti e Paolucci, eroi dell’impresa di Pola, furono decorati con encomio solenne. Tuttavia, amareggiati per la strage di marinai imprevista, decisero di devolvere parte del premio in denaro alla famiglia del capitano jugoslavo. Fu il dopoguerra a dividere le sorti dei due incursori, celebrati lungamente dalla stampa. Raffaele Rossetti, l’ingegnere artefice dell’arma segreta, militò nella file del Partito Repubblicano assieme a Randolfo Pacciardi fino al suo arresto e all’espatrio in Francia nel 1925. Rientrato in Italia dopo il 1945, rimase nell’ombra senza più partecipare ad alcuna attività politica. Si spense la Vigilia di Natale del 1951. Raffaele Paolucci, al contrario, aderì entusiasticamente al fascismo e riprese parallelamente l’attività clinica, assieme alla funzione di deputato del Pnf. Come medico, partì volontario per l’Etiopia e durante la guerra fu richiamato con il grado di Colonnello nel Corpo di Sanità della Marina militare. Epurato da ogni carica dopo il 1945, si dedicò totalmente alla professione di chirurgo specializzato in torace e addome, ricoprendo anche la carica di docente presso la facoltà di Medicina e Chirurgia alla Sapienza di Roma. Nel 1953 fu riabilitato ed eletto nelle file del Partito Monarchico, facendo parte dell’équipe medica che ebbe in cura Pio XII colpito da un cancro allo stomaco. Proprio per la stessa patologia del Pontefice, Raffaele Paolucci si spense a Roma il 4 settembre 1958, a quarant’anni dall’impresa di Pola di cui fu artefice con Rossetti.Il secondo esemplare della «Mignatta», dalla cui evoluzione nacque il Siluro a Lenta Corsa (detto «maiale») protagonista delle incursioni dal 1940 al 1943, si trova attualmente esposto al Museo Tecnico Navale della Spezia, dove nacque oltre un secolo fa.
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