2025-03-10
Caro Serra, stavolta ci ha fatto ridere davvero
Michele Serra (Getty Images)
Caro Michele Serra, le scrivo questa cartolina per esprimerle solidarietà: non dev’essere facile lanciare un’idea, figuriamoci lanciare un’idea e subito dopo accorgersi che non la si condivide. Non del tutto, almeno. Quando il 28 febbraio lei ha scritto su Repubblica per convocare una piazza per l’Europa, non immaginava che tanti sarebbero stati d’accordo con lei. Ma soprattutto non immaginava che alla fine lei non sarebbe stato più d’accordo con sé stesso. Infatti l’Europa per cui lei ha chiesto l’adunata è la stessa che, come ha scritto pochi giorni dopo, «butta quattrini nel pozzo infernale del riarmo generalizzato», un’Europa «affannata», un’Europa cui manca un po’ di «intelligenza», un’Europa che cerca di nascondere la propria «fiacchezza» sotto «una dose di anabolizzanti». Insomma, un’Europa «imbarazzante». E dunque, me la immagino lì, sulla sua amaca, in preda ai rimorsi: ma come si fa a scendere in piazza per l’imbarazzante Europa delle armi? Se ci fosse ancora il suo Cuore avrebbe titolato: «E famose sto cannone» (copyright Mannelli). Non vorrei che alla fine sabato 15 marzo, al grande appuntamento, anche lei decidesse di aderire solo a metà. Michele è d’accordo, Serra si dissocia. Oppure il giornalista aderisce, lo scrittore no. Non sarebbe strano dopo quello che abbiamo sentito in questi giorni: la Cgil aderisce ma con tormenti e perplessità. L’Anpi nazionale aderisce, ma l’Anpi di Roma di dissocia. La sinistra partecipa, l’Arci no. Bonelli (Avs) ci sarà, ma con la coccarda della pace per dire no alle armi. Calenda (Azione) invece ci sarà con l’elmetto perché «se si dice no alle armi non si è europeisti». Insomma, l’importante è avere le idee chiare, come le sue. Lotta dura, imbarazzo senza paura. Con la politica, del resto, lei non ci ha mai preso granché. Anarchico da giovane, nel Pci dal 1974, quindi redattore dell’Unità, ha provato anche a candidarsi (1989) ma è stato trombato. Nel 1991 entrò nel Pds, ma dopo pochi mesi voleva già strappare la tessera. Si è dato da solo del «gonzo» per aver creduto in Renzi e ha scambiato i 5 stelle per un nuovo Sessantotto. Per tutto ciò è sempre stato considerato la coscienza critica della sinistra, soprattutto quella snob. «Il limite della democrazia: troppi coglioni alle urne», titolava il suo indimenticato Cuore. «Sì, mi sento superiore», ha detto di recente, parlando dei ministri di Trump. Si ricorda anche un suo commento sui bulli: «Il livello di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto di provenienza». Dalla classe al classismo, in fondo, il passo è breve. Quando Jovanotti cominciò ad avere successo lei lo definì «lobotomia musicale», una delle «più implacabili rappresentazioni dell’idiozia mai apparse sotto il sole». Quando scoppiò la pandemia se la prese con i lombardi, colpevoli di seguire «la religione del lavoro», anziché starsene comodi sull’amaca delle colline bolognesi come lei. Conoscendo questo suo snobismo non ce la saremmo aspettata nel ruolo di conducator delle folle: se ci sono troppi coglioni alle urne, si figuri in piazza. Però, ecco, non si scoraggi: quando un’idea è imbarazzante, bisogna sostenerla fino in fondo. Mal che vada avrà comunque raggiunto il suo risultato: nella sua vita ha spesso lavorato per fare ridere. Non ci è mai riuscito bene come stavolta.
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