
Europa, Africa e America del Nord contestano (anche se per ragioni diverse) il testo che darebbe all’agenzia dell’Onu il potere di imporre restrizioni e politiche sanitarie, vaccinazioni incluse, a tutti i Paesi qualora si verificasse un’altra crisi tipo Covid. Il trattato pandemico globale è un calvario che rischia però di finire bene, regalandoci la sua dissoluzione. A partire dal dicembre 2021 l’Oms ha affidato a un gruppo di lavoro l’incarico di stilare le regole uniche per tutte le pandemie sotto il cappello di un nuovo regolamento sanitario internazionale. Ufficialmente l’obiettivo dell’Organizzazione mondiale della sanità sarebbe quello di creare uno strumento per garantire fondi adeguati e linee guida univoche per gli Stati nel caso di una nuova emergenza. In caso di allarme sanitario regionale, il direttore dell’Oms, Tedros Ghebreyesus, potrebbe, senza consultare nessuno, decidere di estendere l’emergenza a livello internazionale. Non solo, avrebbe la facoltà di imporre restrizioni, chiudere i confini e avviare nuovi lockdown. Il tutto estendendo la realtà del passaporto sanitario. Insomma, il mantra ripetuto più volte dall’Oms e da numerosi «esperti» anche tricolore si riassume nello slogan: «Non è una questione di se, ma di quando ci sarà la prossima pandemia», ovvero la temibile malattia X. Ovviamente, come più volte denunciato dalla Verità, i poteri speciali - già troppi - non finirebbero qui. Toccherebbe all’Oms stabilire le politiche di sanità pubblica da adottare, la tipologia dei vaccini da prescrivere e, ancor più pericoloso, quali notizie diffondere. Nella bozza del trattato, come già spiegava La Verità, si afferma da un lato «il principio della sovranità degli Stati nell’affrontare questioni di salute pubblica». Allo stesso tempo, però, agli aderenti al trattato toccherebbe impegnarsi a riconoscere «il ruolo centrale dell’Oms, quale autorità di indirizzo e coordinamento del lavoro sanitario internazionale, nella prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie», nonché nel «generare prove scientifiche». Non bisogna essere degli scienziati per capire il potere che il trattato, una volta adottato, darebbe all’Oms. Così, a partire dallo scorso inverno, alcuni Stati e alcuni attori della sanità hanno per fortuna cominciato a prendere le distanze. In Italia se ne è discusso. E spesso grazie agli articoli del nostro quotidiano anche partiti e rappresentanti di governo hanno preso via via le distanze. Per di più, Maddalena Loy, sulle colonne del nostro giornale, ha sintetizzato un documento redatto da tecnici e scienziati provenienti proprio da quei Paesi che l’Oms vorrebbe tutelare e garantire. «All’Africa», si legge nel documento, «verrà chiesto di distogliere risorse dalle principali urgenze sanitarie come la malaria, la Tbc e la carestia», senza contare che «è prevista la vaccinazione di massa contro il Covid della giovane popolazione africana, nota per essere a rischio molto basso e già in possesso dell’immunità». Con questa premessa, il gruppo panafricano il mese scorso ha chiesto una revisione dell’articolo 12 e 13 del regolamento sanitario, che autorizza il direttore a determinare «in qualsiasi momento» che una malattia è un’emergenza di salute pubblica di rilevanza internazionale. Hanno ottenuto effetti? Sì e no. Il piano inizialmente sostenuto dalla Cina è davvero prossimo a naufragare. Anche se a scombinare le carte messe da Tedros Ghebreyesus nell’ultima settimana è stato il blocco dei Paesi occidentali tra i quali, l’intera Europa, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Canada e la Svizzera. Come? Tirando in ballo una questione prettamente economica. Il trattato, infatti, prevederebbe un meccanismo di ripartizione dei vaccini. L’attuale bozza include una clausola che chiede ai produttori farmaceutici di riservare un 10% dei prodotti da donare all’Oms e un altro 10 che l’agenzia potrebbe acquistare a prezzi di costo per distribuirli a Paesi terzi. La Gran Bretagna ha fatto sapere che la clausola imporrebbe di regalare ogni volta il 20% dei vaccini prodotti. In scia si è aggiunta l’America, dove diversi senatori dem e repubblicani hanno chiesto a Joe Biden di sfilarsi dal trattato. Risultato? La scorsa settimana era fissato il termine massimo entro cui stilare un testo condiviso. Scadenza bucata. La direzione dell’Oms ha così riunito a Ginevra i rappresentanti dei 194 Paesi con l’obiettivo di andare ai tempi supplementari. La riunione di mercoledì è naufragata. Ieri si è tenuta una ulteriore sessione. Ma un dirigente coinvolto nei colloqui ha fatto sapere che, sebbene la maggior parte dei Paesi sia favorevole «a un impegno per un accesso più equo ai vaccini, non è stata definita una percentuale fissa». E visto il blocco occidentale, compresa l’Europa, è molto difficile che l’Oms possa presentarsi all’assemblea del prossimo 27 con qualcosa in mano. L’Oms tenterà fino all’ultimo la spallata, ma più probabilmente si limiterà a impapocchiare un testo per non perdere la faccia. C’è dunque da festeggiare... con un po’ di amaro in bocca. Le motivazione per azzerare il trattato sono tante. Gli Stati non possono e non devono cedere la propria sovranità a un ente internazionale composto da tecnici che prendono decisioni politiche senza essere eletti. Non va ceduta nessuna sovranità perché si inizia con i vaccini e si finisce con gli altri medicinali per arrivare all’agroalimentare. Folle infine pensare che l’Oms possa imporre lockdown in giro per il mondo visto i danni prodotti all’economia e alla salute mentale delle persone. Buffo che a fronte di questi tremendi rischi a far saltare il blitz sia il pericolo che Stati e case farmaceutiche perdano ricavi e utili.
Donald Trump (Ansa). Nel riquadro il suo post pubblicato su Truth con cui ha annunciato il raggiungimento dell'intesa tra Israele e Hamas
Nella notte raggiunto l'accordo tra Israele e Hamas per il cessate il fuoco e la liberazione dei prigionieri. Il presidente americano: «Giornata storica». Le truppe israeliane lasceranno la Striscia, tranne Rafah. Guterres: «Tutti rispettino l’intesa».
È stato Donald Trump, poco prima dell’una italiana, ad annunciare il raggiungimento di un accordo tra Israele e Hamas per una tregua nella Striscia di Gaza e la liberazione degli ostaggi ancora in mano al gruppo islamista. «Sono molto orgoglioso di comunicare che Israele e Hamas hanno entrambi firmato la prima fase del nostro piano di pace», ha scritto il presidente americano su Truth, definendo quella di oggi «una giornata storica».
Secondo le prime ricostruzioni dei media israeliani, la firma ufficiale dell’intesa è prevista alle 11 italiane. L’accordo prevede il ritiro dell’Idf, l’esercito israeliano, da gran parte della Striscia di Gaza, con l’eccezione di Rafah, e il rilascio degli ostaggi sopravvissuti entro la fine del fine settimana, probabilmente tra sabato e domenica. Il piano, frutto di settimane di mediazione tra Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia, stabilisce anche la liberazione di circa duemila detenuti palestinesi in cambio del rilascio dei prigionieri israeliani. Lo scambio dovrà avvenire entro 72 ore dall’attuazione dell’accordo.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato la notizia in un comunicato del suo ufficio, parlando di «una conversazione molto emozionante e calorosa» avuta con Trump subito dopo l’annuncio. «I due leader si sono congratulati per lo storico risultato ottenuto con la firma dell’accordo per la liberazione di tutti gli ostaggi», si legge nella nota. Netanyahu ha ringraziato Trump «per la sua leadership e per gli sforzi a livello globale», ricevendo a sua volta le lodi del presidente americano per «la sua guida determinata». Trump, parlando poi con Axios, ha rivelato di aver ricevuto un invito ufficiale a recarsi in Israele. «Probabilmente nei prossimi giorni visiterò il Paese e potrei rivolgermi alla Knesset. Vogliono che tenga un discorso, e se lo desiderano, lo farò sicuramente», ha detto. E ha aggiunto: «Per raggiungere questo accordo si sono uniti gli sforzi di tutto il mondo, compresi Paesi ostili. È un grande risultato. La mia chiamata con Netanyahu è stata fantastica, lui è molto contento, e dovrebbe esserlo». In un altro messaggio pubblicato sui social, il presidente americano ha voluto ringraziare i mediatori regionali: «Tutte le parti saranno trattate equamente. Questo è un grande giorno per il mondo arabo e musulmano, Israele, tutte le nazioni circostanti e gli Stati Uniti d’America. Benedetti gli operatori di pace!».
Da Gaza, Hamas ha confermato la propria adesione, sottolineando che l’accordo «prevede la fine della guerra, il ritiro dell’occupazione, l’ingresso di aiuti e uno scambio di prigionieri». Il movimento islamista ha ringraziato «i mediatori di Qatar, Egitto e Turchia» e «gli sforzi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che mira a porre fine definitivamente alla guerra». Hamas ha poi chiesto ai mediatori internazionali di «costringere Israele ad attuare pienamente i requisiti dell’accordo e a non permettergli di eludere o ritardare quanto concordato». Secondo la Bbc, resta invece fuori dall’intesa la richiesta di Hamas di includere nel piano lo storico leader palestinese Marwan Barghouti, la cui scarcerazione è stata respinta da Israele.
La notizia dell’accordo ha provocato scene di entusiasmo nella Striscia: i media israeliani riferiscono che migliaia di palestinesi sono scesi in strada a Gaza, tra clacson, canti e fuochi d’artificio, dopo l’annuncio del presidente americano. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha accolto con favore la svolta: «Accolgo con favore l’annuncio di un accordo per garantire un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi a Gaza, sulla base della proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti. Elogio gli sforzi diplomatici di Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia nel mediare questa svolta disperatamente necessaria». Guterres ha poi invitato «tutti gli interessati a rispettare pienamente i termini dell’accordo», sottolineando che «tutti gli ostaggi devono essere rilasciati in modo dignitoso» e che «deve essere garantito un cessate il fuoco permanente».
Intanto, sui social, i familiari degli ostaggi hanno diffuso un video di ringraziamento rivolto a Trump: «Il presidente ce l’ha fatta, i nostri cari stanno tornando a casa», affermano alcuni di loro. «Non smetteremo di combattere finché non tornerà l’ultimo dei 48 ostaggi». Se i tempi saranno rispettati, la giornata di oggi potrebbe segnare la fine di una guerra durata quasi un anno, costata decine di migliaia di vittime e un drammatico esodo di civili. Un accordo che, nelle parole dello stesso Trump, «è solo il primo passo verso una pace forte e duratura».
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Taylor Swift (Ansa)
La cantante, che aveva sostenuto la campagna contro Trump, esce con un nuovo album. Critiche dagli utenti che vedono messaggi razzisti anche dove non ci sono.
La Meloni convoca i sindacati sulla manovra. Ma la Cgil è preoccupata per la decisione della Consulta che potrebbe aprire le aziende a Usb, Cobas e Orsa. Intanto Stellantis produce meno di mille auto al giorno.
Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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