2025-01-08
Meta riparte da zero. Per i fact checker è finita l’età dell’oro
Mark Zuckerberg (getty images)
Mark Zuckerberg dice addio ai (finti) controllori di notizie: «Troppo politicizzati». E nel cda fa entrare il trumpiano Dana White e John Elkann.L’«effetto Trump» coinvolge anche la Silicon Valley. Ieri, Meta ha annunciato che cesserà di ricorrere ai fact checker: figure che, in un video, Mark Zuckerberg ha definito «troppo politicamente di parte». «Hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata», ha aggiunto. Al loro posto, verranno introdotte delle «note di comunità», come quelle in uso su X, la piattaforma di Elon Musk. Si tratta di una svolta significativa: da anni, il mondo conservatore americano, non senza fondamento, denuncia atti di censura ai suoi danni da parte dei social e dei fact checker. Soddisfazione per la mossa di Zuckerberg è stata, non a caso, espressa da Donald Trump, secondo cui l’azienda di Menlo Park «ha fatto molta strada». Secondo Politico, il nuovo corso annunciato da Meta non riguarderà, almeno per ora, l’Unione europea. Non è quindi al momento dato sapere se, prima o poi, la decisione di Zuckerberg coinvolgerà o meno testate italiane come Open, la quale, dal 2021, svolge attività di fact checking per Facebook sotto il coordinamento di David Puente. L’unica cosa certa per ora è che, definendo i fact checker come «troppo politicamente di parte», il Ceo di Meta non si è dimostrato affatto tenero nei confronti del loro operato. Non solo. Zuckerberg sposterà il team per la moderazione dei contenuti dalla California al Texas e ha esplicitamente aggiunto di voler lavorare con il presidente americano in pectore. «Lavoreremo con il presidente Trump per respingere i governi di tutto il mondo che se la prendono con le società americane e premono per una censura maggiore», ha detto, per poi accusare l’Europa di essere un luogo in cui vige «un numero sempre crescente di leggi che istituzionalizzano la censura e rendono difficile costruire qualcosa di innovativo». Non sono poi mancate delle stoccate all’amministrazione Biden, accusata di censura. Posizioni, quelle espresse da Zuckerberg, non poi così distanti da quelle di Musk. Segno che, rispetto agli anni dell’amministrazione Obama, il vento è ormai cambiato tra i magnati americani del settore ipertecnologico. Qualcuno sta già cominciando a dire che Zuckerberg si sarebbe genuflesso davanti a Trump, come se prima l’azienda fosse politicamente asettica. Peccato che non sia così: basterebbe ricordare che il capo dello staff della Casa Bianca di Joe Biden, Jeff Zients, sedette nel board di Facebook dal 2018 al 2020. Ma l’«effetto Trump» non si ferma qui. Lunedì, la società di Menlo Park ha annunciato che nel suo board entrerà Dana White: Ceo di Ultimate fighting championship, è considerato uno strettissimo alleato di Trump. Gli diede il primo endorsement già nel 2016 e, quattro anni dopo, effettuò importanti donazioni alla sua campagna elettorale. A luglio scorso, lo ha addirittura presentato sul palco alla Convention nazionale repubblicana di Milwaukee. Non solo. Pochi giorni fa, Meta ha anche reso noto che il suo nuovo presidente per gli affari globali sarà Joel Kaplan. Entrato in Facebook nel 2011, costui fu vicecapo dello staff della Casa Bianca durante il secondo mandato di George W. Bush. Inoltre, nel 2018, fu uno strenuo sostenitore della nomina di Brett Kavanaugh alla Corte suprema: il giudice che stato scelto dallo stesso Trump per quell’incarico. Kaplan sostituirà quindi Nick Clegg, che, prima di entrare in Facebook, era stato vicepremier britannico ed esponente liberaldemocratico. Insomma, è evidente come il Ceo di Meta stia cercando di tendere un ramoscello d’ulivo a Trump. E pensare che un tempo i rapporti tra i due non risultavano esattamente idilliaci. Era il 2021 quando Facebook decise di sospendere l’account del tycoon. Da allora, è passata molta acqua sotto i ponti. Il lento processo di riposizionamento politico di Zuckerberg è iniziato nell’agosto 2022, quando il diretto interessato raccontò a Joe Rogan che le restrizioni, applicate da Facebook nel 2020 allo scoop del New York Post su Hunter Biden, erano state una conseguenza degli avvertimenti dell’Fbi. Poi, ad agosto scorso, Zuckerberg rivelò pubblicamente di aver subito pressioni dall’amministrazione Biden per censurare contenuti sgraditi sul Covid. In tutto questo, a fine novembre ha incontrato Trump a Mar-a-Lago e, pochi giorni dopo, Meta ha annunciato di voler donare 1 milione di dollari per finanziare la prossima inaugurazione presidenziale. Zuckerberg ha, insomma, capito di non avere alcuna convenienza a mettersi contro il prossimo inquilino della Casa Bianca, probabilmente anche in considerazione del peso che Musk avrà nella nascente amministrazione. Questo non vuol dire che il Ceo di Meta abbia rinunciato a dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Tra le nomine nel board annunciate lunedì ci sono anche quella di un investitore proveniente da Microsoft, Charlie Songhurst, e quella di John Elkann. Una figura non troppo vicina ai conservatori statunitensi. Non solo, il Ceo di Exor è editore di testate giornalistiche storicamente ostili a Trump, ma rischia anche delle turbolenze con lui sul fronte automobilistico. Appena pochi giorni prima delle elezioni di novembre, l’allora candidato repubblicano minacciò di colpire Stellantis con dazi del 100% se avesse delocalizzato la produzione in Messico: non a caso, poche settimane dopo la vittoria del tycoon l’azienda fece sapere di essere aperta a riconsiderare alcune sue attività produttive nel Paese centroamericano. Inoltre, è probabile che la nascente amministrazione statunitense non veda troppo di buon occhio il fatto che, sempre a novembre, Elkann abbia inaugurato la cattedra Agnelli all’università di Pechino.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.