2019-02-14
Mentre Macron chiamava il Colle, i caccia francesi attaccavano la Libia
La telefonata distensiva con Sergio Mattarella bypassa il governo. L'Eliseo cerca nuove sponde istituzionali e di limitare la nostra presenza in Africa. La missione militare a sostegno di Haftar è durata dieci giorni. Chiesta l'estradizione per 2 latitanti. Rappresentanti del nostro esecutivo a Parigi per aprire le trattative sul rimpatrio degli ex terroristi scappati Oltralpe. Fra i 14 della lista al primo posto Pietrostefani.Lo speciale contiene due articoli.La Francia è un partner europeo al quale è bene non dare mai le spalle. Mentre Emmanuel Macron chiamava il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con l'obiettivo di lanciare un messaggio distensivo (dopo il ritiro dell'ambasciatore da Roma), i caccia francesi Mirage atterravano nella base di N'jamena dopo una decina di giorni di continui bombardamenti nel Sud della Libia. Una campagna militare tenuta sotto silenzio e non concordata con l'Italia. Nonostante la nostra presenza nell'ex Paese di Mohammar Gheddafi sia data per certa anche dal consesso internazionale. L'attività militare è, purtroppo per noi, coordinata direttamente con le milizie del generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica. Non a caso il bombardamento francese è stato interrotto solo quando i militari di Bengasi hanno preso possesso del campo petrolifero di Sharara nell'area del Fezzan. «Pacificamente e senza incontrare resistenza, l'Lna ha il pieno controllo del campo petrolifero e di tutti i suoi impianti e ora sta mettendo in sicurezza il posto in pieno coordinamento con l'amministrazione del giacimento», ha scritto in un tweet il portavoce dell'esercito di Haftar, Ahmed Al Mismari. Un analogo annuncio era già stato fatto mercoledì scorso, a fare la differenza stavolta sono i report della presenza fisica in loco delle giubbe della Cirenaica. La presa del giacimento avviene nell'ambito di una campagna per la conquista del Sud della Libia che Haftar ha lanciato alla metà del mese scorso. L'ironia del tweet sta nel fatto che nessuno abbia opposto resistenza probabilmente perché piegato dai dieci gironi di bombardamenti mirati sulle colonne di combattenti guidati da Ali Kanna e sostenuti dagli jihadisti del Ciad. Non si può immaginare che una tale intervento militare a favore di Haftar non sbilanci verso Parigi l'equilibrio già difficile tra i due governi in carica. Tanto più che come riportato dal sito Libya security studies, il consigliere libico di Emmanuel Macron e alcuni importanti funzionari dei servizi segreti della Dgse dovrebbero effettuare nelle prossime ore una «missione segreta» a Tripoli per discutere su come sostenere Fayez Al Sarraj «per ridurre il potere delle milizie locali e costruire una capacità militare per bilanciare la campagna di Haftar nel Sud». La Francia, riporta il sito Startmag, «sta lavorando duramente per promuovere un ruolo più incisivo per il governo di Al Sarraj sostenuto dalle Nazioni Unite» e «per bilanciare l'avanzata dell'esercito nazionale libico di Haftar nella regione del Fezzan». Il classico doppio gioco che in ogni caso mira a penalizzare l'Italia (Eni compresa) e la nostra intelligence. Proprio martedì si è verificato un fatto molto grave. Media vicini al generale della Cirenaica hanno diffuso la notizia della visita lampo del numero due dell'Aise, Giovanni Caravelli, a Tripoli. La missione sarebbe dovuto rimanere segreta proprio per evitare che le tensioni tra Francia e Italia diventassero tema di dibattito. Caravelli avrebbe incontrato infatti esponenti del governo di Al Sarraj per discutere dell'attivismo di Parigi. Chiunque abbia girato la soffiata al sito Ewan Lybia voleva fare un favore all'intelligence d'Oltralpe impegnata a bruciarci fonti e collegamenti in terra libica. Se questo è il concetto di collaborazione e di amicizia reciproca che ha in mente Macron allora bisogna riflette sul perché abbia telefonato direttamente a Mattarella. Al di là dello sgarbo istituzionale nei confronti di Giuseppe Conte, l'Eliseo ha capito che i vecchi canali preferenziali vanno rinnovati e in parte motivati. In pratica, compreso che con i gialloblù qualunque relazione non porta a vantaggi per i francesi, la scelta è ricaduta sul Colle. Macron ricorda perfettamente che il cosiddetto «Trattato del Quirinale» era stato solo formalmente spinto dall'ex premier Paolo Gentiloni, ma attivamente benedetto dallo stesso Mattarella. Lo scorso gennaio era stata annunciata l'intenzione di stringere un accordo bilaterale su temi politici ed economici. A lavorare al documento sul lato italiano della frontiera erano stati chiamati a lavorare tre «saggi». L'ex ministro Franco Bassanini, il consigliere di palazzo Chigi per gli affari Ue Marco Piantini e il rettore dell'Università Luiss ed ex ministro Paola Severino. «In linea con gli orientamenti concordati in occasione del vertice di Lione, il Trattato del Quirinale dovrà dare un forte impulso alle relazioni tra i nostri Paesi strutturandole», recitava il comunicato diffuso dall'allora governo, «e dando loro dei nuovi obiettivi, arricchiti di una duplice dimensione bilaterale ed europea. L'obiettivo è quello di concludere questo Trattato in occasione del prossimo vertice bilaterale, che si terrà in Italia nel secondo semestre del 2018». Per fortuna l'accordo non si è concluso. Perché viste le premesse sarebbe stato estremamente penalizzante per l'Italia. Fa riflettere però che per Macron l'interlocutore resti quella lobby ormai non più al governo. Nulla di nuovo. D'altronde quando l'estate scorsa venne a Roma non incontrò nessuno del governo gialloblù, ma andò direttamente in Vaticano per incontrare il Papa e i rappresentanti della Comunità di Sant'Egidio che - guarda caso -in Algeria e in altri Paesi africani è molto più attenta agli interessi francesi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mentre-macron-chiamava-il-colle-i-caccia-francesi-attaccavano-la-libia-2628879683.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="chiesta-lestradizione-per-2-latitanti" data-post-id="2628879683" data-published-at="1762785089" data-use-pagination="False"> Chiesta l’estradizione per 2 latitanti La fase due è scattata ieri pomeriggio con l'arrivo, a Parigi, di una delegazione di magistrati italiani, in servizio presso il ministero della Giustizia, per discutere con gli omologhi francesi del dossier terroristi latitanti Oltralpe. Sono 14 i nomi di ex militanti dell'eversione rossa su cui, nelle scorse settimane, dopo l'arresto di Cesare Battisti, si sono concentrate le attenzioni dell'Antiterrorismo e del ministro dell'Interno Matteo Salvini. Quattordici e non 15, come inizialmente calcolato dalle autorità del nostro Paese, perché la scheda di Marina Petrella è stata depennata in quanto beneficiaria di un provvedimento di clemenza da parte dell'allora presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy. La delegazione italiana è guidata da Giuseppe Corasaniti, capo del dipartimento per gli Affari di giustizia, e composta da Donatella Donati, direttore generale della Giustizia penale, Stefano Opilio, direttore dell'ufficio della Cooperazione giudiziaria internazionale penale, Antonio Pastore e Laura Alessandrelli, magistrati addetti all'ufficio Cooperazione internazionale. Il pool resterà nella capitale anche oggi per verificare tecnicamente e giuridicamente le posizioni dei ricercati. In particolare, il lavoro tra Italia e Francia si sta concentrando sui condannati in via definitiva all'ergastolo che hanno trovato rifugio lungo la Senna a partire dagli anni Ottanta. Uomini e donne come Roberta Cappelli, Sergio Tornaghi, Paolo Ciriani Sebregondi, Narciso Manenti ed Enrico Villimburgo che si sono rifatti una vita tra alterne fortune. Si sono sposati e hanno avuto figli. E, in alcuni casi, fanno ancora sentire la loro voce sui social network parlando di attualità e politica. Altro capitolo studiato dai magistrati è quello dei condannati che non rischiano il «fine pena mai» ma che, ugualmente, hanno evitato per oltre un trentennio le manette. Come Giovanni Alimonti, Luigi Bergamin, Enzo Calvitti, Maurizio Di Marzio, Paola Filippi, Gino Giunti, Ermenegildo Marinelli e Raffaele Ventura. E poi c'è Giorgio Pietrostefani, probabilmente il latitante più famoso di Francia, oggi. Beneficiario -come rivelato dal settimanale Panorama - di una pensione di 1.500 euro al mese pagata dall'Inps in virtù di una convenzione bilaterale che riconosce anche i (pochi) contributi versati all'estero. Sull'assegno a Pietrostefani, che deve scontare ancora 12 anni e quattro mesi per l'uccisione del commissario Luigi Calabresi, è intervenuto con una proposta di legge Cosimo Maria Ferri (Pd). «Abbiamo verificato», ha spiegato il parlamentare, «e c'è un vuoto normativo, la legge Fornero aveva in parte disciplinato questa materia dimenticandosi però alcune ipotesi» di decadenza del beneficio, come l'omicidio. «Con questa proposta di legge chiediamo al giudice di revocare il diritto del latitante a percepire la pensione» e di destinare l'ammontare del vitalizio «ai familiari delle vittime, a chi ha sofferto». Al vaglio delle autorità francesi, come confermato anche dal portavoce del ministero della Giustizia Youssef Badr, ci sono nello specifico due richieste di estradizione, una già arrivata dall'Italia. La seconda, invece, ha sottolineato Badr, «ci dovrebbe pervenire prossimamente». «È la prima che riceviamo dopo le dichiarazioni di Matteo Salvini». E anche «quest'ultima sarà oggetto di un'indagine approfondita». In ogni caso, precisa il ministero della Giustizia di Parigi «non sarà presa alcuna decisione di fondo» al termine dell'incontro di oggi. «Esprimiamo moderata soddisfazione per l'apertura del tavolo tecnico di esperti dei ministeri competenti», ha commentato Potito Perruggini, presidente di Anni di piombo, Osservatorio nazionale per la verità storica e nipote di Giuseppe Ciotta, brigadiere di polizia ucciso nel 1977 dai terroristi rossi. «Seguiremo con estrema attenzione le evoluzioni affinché tutti i condannati per terrorismo - siano rossi, siano neri o bianchi - vengano al più presto restituiti all'Italia», ha concluso.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
Continua a leggereRiduci