
La somministrazione ha favorito l’ingresso nel mondo del lavoro delle persone più vulnerabili. Ora serve un quadro normativo chiaro che non lasci spazio a incertezze.Primo maggio una data simbolica che celebra il lavoro e la sua centralità nella vita di ogni persona e anche un momento per riflettere su quanto sia cambiato il mondo del lavoro e su quanto ancora possiamo fare per costruire un futuro occupazionale per tutti. Ma cosa significa lavorare oggi in Italia? E come possiamo rendere il nostro mercato più ricco di opportunità di crescita e di tutele? La risposta, per me, è chiara e lo è perché si basa su un’esperienza che poggia su 25 anni di buona pratica: è il momento di riconoscere e valorizzare le forme di lavoro più moderne e dinamiche, come la somministrazione. Il Collegato lavoro 2025 segna una tappa in questo percorso. È un segno tangibile che il cambiamento sia possibile, e che chi lavora con passione e impegno da anni per migliorare le condizioni dei lavoratori e delle imprese sta finalmente vedendo il frutto del proprio lavoro. Dopo tanti anni nel settore, posso dire con certezza che le novità introdotte dalla legge 203/2024 sono una vera e propria vittoria per la somministrazione. Finalmente, viene riconosciuto in modo deciso il valore del lavoro somministrato, mettendo fine a quella percezione distorta che per troppo tempo ha accompagnato questo strumento. Cosa cambia concretamente? Cominciamo con il dire che l’equiparazione tra lavoratori diretti e somministrati è prevista per legge da molto tempo. Il Collegato lavoro interviene sui limiti di contingentamento, andando a sciogliere un’incomprensibile differenza che vigeva tra contratti in somministrazione e contratti a termine, facilitando così l’inserimento e il reinserimento nel mercato del lavoro di una platea ancora più ampia di persone. E poi, c’è un’altra grande conquista: l’articolo 34, che esonera dalla causale i contratti per chi è disoccupato da oltre sei mesi o appartiene a categorie svantaggiate. Questo non è solo un intervento burocratico, è un vero e proprio atto di inclusione. È l’opportunità per chi si trova ai margini di poter finalmente accedere a un lavoro dignitoso. Ma come possiamo ignorare l’importanza di queste misure in un momento storico in cui l’inclusione è la priorità per l’Europa? La somministrazione si conferma come uno strumento potente, capace di superare barriere, ridurre le disuguaglianze e favorire l’ingresso nel mondo del lavoro per le persone più vulnerabili. È un percorso che non riguarda solo l’oggi, ma che guarda al futuro, dove ogni individuo ha la possibilità di costruirsi una carriera stabile e qualificata. Perché, allora, la somministrazione è così importante? Perché è una risposta concreta e flessibile alle sfide del mercato del lavoro moderno. Semplice! Eppure, ci sono ancora degli ostacoli da superare. La recente interpretazione sulle missioni superiori ai 24 mesi per i contratti a tempo indeterminato, che potrebbe mettere in discussione quanto finora acquisito, ci ricorda che è necessario un confronto costruttivo. Non possiamo permetterci di lasciare spazio a incertezze. Abbiamo bisogno di un quadro chiaro, che permetta alle Agenzie di agire con sicurezza. Ma come affrontare questo cambiamento senza rischiare di compromettere quanto di buono è stato fatto? Penso che, nel giorno del 1° Maggio, dovremmo ricordare che la somministrazione non è solo un contratto: è una scelta per tante persone. Lavoratori assunti a tempo indeterminato dalle Agenzie per il Lavoro beneficiano di un contratto stabile, di un’indennità nei periodi senza missione, di percorsi di formazione continua. Non è forse questa la vera essenza del lavoro, che deve dare sicurezza, opportunità e crescita personale? In un momento in cui il contrasto al lavoro nero è più urgente che mai, le Agenzie per il Lavoro giocano un ruolo cruciale nel rafforzare la legalità. Le aree in cui sono più radicate vedono un tasso di lavoro nero significativamente inferiore, segno che l’impegno nel costruire un mercato del lavoro più pulito e giusto è tangibile. Come presidente di Assosomm (associazione italiana delle agenzie per il Lavoro), sono profondamente convinto che la somministrazione rappresenti una risorsa fondamentale per costruire un mercato del lavoro più moderno, più equo, e soprattutto più umano. Ogni riforma che rafforza le tutele, semplifica le regole e celebra le buone pratiche è un passo in avanti verso una società più giusta.È un impegno che ci portiamo nel cuore ogni giorno, perché crediamo che, insieme, possiamo costruire una realtà in cui il lavoro sia davvero un diritto per tutti. Nel giorno del 1° Maggio, vogliamo rinnovare il nostro impegno a lavorare fianco a fianco con le istituzioni, affinché le politiche del lavoro rispondano alle vere esigenze di lavoratori e imprese. La somministrazione, ben regolata e ben compresa, può essere il motore di un’occupazione più giusta, sicura e inclusiva. Perché il futuro del lavoro si costruisce insieme, ogni giorno.Rosario Rasizza, Presidente di Assosomm
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






