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2023-07-05
Il premier a Varsavia in versione colomba
Giorgia Meloni e Mateusz Morawiecki (Getty Images)
«Lei ci proverà fino alla fine, ma non è semplice perché la posizione di Polonia e Ungheria è molto netta»: così una fonte di governo commenta alla Verità le chance che Giorgia Meloni ha di riuscire a convincere il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ad ammorbidire la sua contrarietà al nuovo piano sull’immigrazione elaborato dall’Unione europea. Oggi a Varsavia, la Meloni incontrerà Morawiecki, alle 10.30 al palazzo della Cancelleria; al termine del bilaterale, il premier parteciperà alla sessione principale della Conferenza di Ecr, il gruppo dei Conservatori europei, di cui è presidente, sul tema «Il futuro dell’Unione europea». I leader europei sperano nella mediazione della Meloni per superare il «no» di Polonia e Ungheria che ha impedito che il Consiglio europeo dello scorso 29 e 30 giugno si concludesse con un accordo sull’emergenza immigrazione.
Polonia e Ungheria, ricordiamolo, si oppongono ai ricollocamenti obbligatori dei migranti, e alla sanzione di 20.000 euro per ogni persona non accolta: «La Polonia», ha detto Morawiecki al termine del Consiglio europeo, «sa molto bene cos’è la solidarietà e non abbiamo bisogno che ci venga insegnata. Abbiamo accolto oltre 3 milioni di rifugiati. Un milione e mezzo sono ancora nel nostro Paese. Abbiamo aperto case polacche. Eppure, nel caso dell’Ucraina, la Polonia ha ricevuto scarso sostegno: alcune decine di euro per rifugiato. Nel caso di un rifugiato non accettato dal Medio Oriente dobbiamo essere puniti con una multa di 20.000 euro o più. Non siamo d’accordo». Morawiecki è il leader del partito Diritto e giustizia, azionista di peso dei Conservatori europei guidati dalla Meloni, la quale ha avuto modo, nei giorni successivi al Consiglio europeo, di esprimere la sua comprensione per le diffidenze del premier polacco nei confronti della strategia elaborata dall’Ue. Del resto, il sovranismo è nazionalista per definizione: lo slogan «Prima gli italiani!» può essere tranquillamente declinato in «Prima i polacchi!», «Prima gli ungheresi!» e così via. Intesa piena, invece, anche da parte di Varsavia e Budapest, sulla dimensione esterna dell’immigrazione, ovvero sulla necessità di disciplinare gli ingressi in Europa contrastando la tratta di esseri umani. Altro tema, questo, sul quale la Meloni è protagonista della politica europea: è stata lei infatti a recarsi per ben due volte in Tunisia nell’arco di pochi giorni, prima da sola e poi insieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e al premier olandese, Mark Rutte, per tentare di convincere il presidente Kais Saied a darsi da fare per bloccare le partenze. Saied da parte sua chiede, manco a dirlo, soldi: c’è in ballo il prestito del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi di dollari ai quali la Ue può aggiungere un altro miliardo, ma la trattativa è difficile, poiché il leader tunisino tentenna di fronte alla richiesta di varare riforme strutturali in cambio dei denari.
Tornando alla questione del no della Polonia all’accordo europeo, la Meloni tenterà più che altro di capire se ci sono ancora margini di trattativa, ma in questa fase storica Varsavia ha un peso politico molto importante: la guerra in Ucraina la vede in primissima fila, vero e proprio avamposto della Nato, i rapporti con Washington sono blindati, la stessa Commissione europea non può permettersi di tirare troppo la corda con il governo di destra guidato da Morawiecki. Anche di guerra in Ucraina parleranno oggi la Meloni e Morawiecki, ma su questo fronte non c’è da aspettarsi sorprese: verrà ribadito il sostegno a Kiev a 360 gradi.
Il secondo appuntamento della giornata polacca del presidente del Consiglio è, come dicevamo, la conferenza di Ecr, il partito dei Conservatori europei, sul tema «Il futuro dell’Unione europea». A introdurre i lavori di oggi, alla presenza della Meloni e di Morawiecki, saranno i due presidenti del gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo, il polacco Ryszard Legutko e Nicola Procaccini di Fratelli d’Italia. «I conservatori europei», spiega Procaccini, «sono impegnati nel definire proposte e azioni concrete per affrontare al meglio le grandi questioni che le nazioni e popoli dell’Ue sono chiamati ad affrontare. L’appuntamento di Varsavia riveste una particolare importanza, un confronto sui grandi temi anche In prospettiva delle prossime elezioni europee».
L’obiettivo è quello di costruire, dopo le europee del 2024, una nuova maggioranza al Parlamento europeo, che tenga fuori i Socialisti e comprenda, oltre al Ppe, proprio i Conservatori di Ecr. Naturalmente, il progetto passa necessariamente attraverso un buon risultato dei partiti di centrodestra alle urne, una circostanza non scontata ma facilmente pronosticabile, considerato che il vento elettorale in Europa soffia sempre di più verso l’area moderata. Occorrerà poi sciogliere il nodo del gruppo Identità e democrazia, del quale fa parte la Lega insieme tra gli altri ai francesi di Marine Le Pen, che scontano l’ostilità dei Popolari europei in quanto considerati «euroscettici». L’asse tra Roma e Varsavia può essere utilissimo in questa chiave, ed è probabile che la Meloni e Morawiecki si confronteranno anche sui programmi da sottoporre agli elettori.
Salvini insiste col patto allargato: «Nessuno deve essere escluso»
La campagna elettorale del centrodestra per il voto europeo di giugno 2024 è iniziata, ma il sorpasso a destra di Matteo Salvini sul tema delle alleanze a Strasburgo è stato frenato da Antonio Tajani. «Sulle alleanze in Europa decideranno gli italiani quando andranno a votare», ha detto ieri il ministro delle Infrastrutture nonché leader della Lega ai microfoni di Radio anch’io su Rai Radio 1, cercando di spegnere le polemiche scoppiate nella maggioranza dopo l’alt del leader di Forza Italia alle alleanze possibili con i sovranisti francesi di Marine Le Pen e i tedeschi di Afd. «Discussioni sulle alleanze in Europa? Il governo italiano non c’entra nulla, non è in discussione, la politica europea non c’entra nulla. Piacerebbe a qualche giornale, a Conte, alla Schlein, ma il governo italiano va avanti non solo cinque anni, ma di più».
Il vicepremier leghista ha rivendicato di avere fatto «solo una riflessione normale: c’è un governo di centrodestra, gli italiani apprezzano i risultati perché alle regionali il centrodestra stravince, ho detto agli alleati: facciamo la stessa formula anche in Europa. Non mi sembra una proposta particolarmente intelligente o rivoluzionaria... Visto che metà delle norme arrivano da Bruxelles e sono figlie di politica anti italiana e anti sviluppo, penso sia una grande occasione per portare anche in Europa un governo di centrodestra. Vogliamo provarci o ci arrendiamo a un’altra alleanza con i Socialisti?». E a proposito della videocall con Le Pen, il leader del Carroccio ha ribadito: «Rassemblement National è il primo partito in Francia e abbiamo parlato soprattutto di lavoro perché l’Europa si occupi di famiglie e piena occupazione». Poi Salvini ha «parlato» ai suoi elettori: «Io dico già da oggi che chi sceglierà la Lega avrà chiaro che qualunque sia l’esito del voto la Lega non andrà al governo dell’Ue con i socialisti dell’auto green e della casa da sistemare senza aiuto economico. Non penso che De Gasperi abbia fondato l’Europa per avere l’auto elettrica o danneggiare i pescatori. Sull’immigrazione perché non vogliamo riproporre a livello europeo il governo che in Italia, in otto mesi, ha fatto tanto?».
Governo e centrodestra italiano esteso all’Europa, senza dire no a nessuno, se non ai socialisti e a Macron, ha ribadito ancora il ministro durante l’inaugurazione di due nuove fermate della M4 a Milano non senza una frecciatina all’alleato azzurro Tajani: «È semplicemente un’idea di Europa. Che cosa vuol dire partiti anti europei? Mi domando come qualcuno di centrodestra possa preferire i socialisti».
E ieri è arrivato il primo commento di Fdi per bocca del capogruppo alla Camera, Tommaso Foti: «I veti non sono di una forza politica o di un’altra, bisogna prima creare le condizioni di un’alleanza politica e questa la si ha quando gli elettori con il loro voto daranno forza a quest’area rappresentata dal centrodestra. Nessuno ha detto che la Lega non deve far parte di un’alleanza di centrodestra eventuale in Europa, perciò mi pare che sia proprio sbagliato l’approccio».
Chiarimento «morbido» del vice coordinatore di Fi, Alessandro Cattaneo: «La vera distinzione per la futura maggioranza di governo europea sarà tra chi ha cultura di governo e chi no. Mi viene da sorridere quando sento che la Lega e Salvini non sarebbero adatti a governare in Europa. Si tratta di un pensiero non condivisibile. La Lega e Salvini hanno governato con Mario Draghi, oggi con il centrodestra unito dopo la vittoria delle politiche, inoltre governano in tante regioni ed enti locali del Paese con noi, come si fa a non considerarli in ambito europeo? Sono un alleato fondamentale».
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Missione difficile in Polonia per Giorgia Meloni, che oggi sui migranti proverà a strappare il sì di Mateusz Morawiecki sul piano Ue. Osteggiato pure dall’Ungheria. Previsto anche un incontro dei conservatori per definire le nuove strategie e il rapporto con il gruppo Id.Matteo Salvini chiude la polemica con Antonio Tajani: «Risponderanno gli elettori».Lo speciale contiene due articoli.«Lei ci proverà fino alla fine, ma non è semplice perché la posizione di Polonia e Ungheria è molto netta»: così una fonte di governo commenta alla Verità le chance che Giorgia Meloni ha di riuscire a convincere il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ad ammorbidire la sua contrarietà al nuovo piano sull’immigrazione elaborato dall’Unione europea. Oggi a Varsavia, la Meloni incontrerà Morawiecki, alle 10.30 al palazzo della Cancelleria; al termine del bilaterale, il premier parteciperà alla sessione principale della Conferenza di Ecr, il gruppo dei Conservatori europei, di cui è presidente, sul tema «Il futuro dell’Unione europea». I leader europei sperano nella mediazione della Meloni per superare il «no» di Polonia e Ungheria che ha impedito che il Consiglio europeo dello scorso 29 e 30 giugno si concludesse con un accordo sull’emergenza immigrazione. Polonia e Ungheria, ricordiamolo, si oppongono ai ricollocamenti obbligatori dei migranti, e alla sanzione di 20.000 euro per ogni persona non accolta: «La Polonia», ha detto Morawiecki al termine del Consiglio europeo, «sa molto bene cos’è la solidarietà e non abbiamo bisogno che ci venga insegnata. Abbiamo accolto oltre 3 milioni di rifugiati. Un milione e mezzo sono ancora nel nostro Paese. Abbiamo aperto case polacche. Eppure, nel caso dell’Ucraina, la Polonia ha ricevuto scarso sostegno: alcune decine di euro per rifugiato. Nel caso di un rifugiato non accettato dal Medio Oriente dobbiamo essere puniti con una multa di 20.000 euro o più. Non siamo d’accordo». Morawiecki è il leader del partito Diritto e giustizia, azionista di peso dei Conservatori europei guidati dalla Meloni, la quale ha avuto modo, nei giorni successivi al Consiglio europeo, di esprimere la sua comprensione per le diffidenze del premier polacco nei confronti della strategia elaborata dall’Ue. Del resto, il sovranismo è nazionalista per definizione: lo slogan «Prima gli italiani!» può essere tranquillamente declinato in «Prima i polacchi!», «Prima gli ungheresi!» e così via. Intesa piena, invece, anche da parte di Varsavia e Budapest, sulla dimensione esterna dell’immigrazione, ovvero sulla necessità di disciplinare gli ingressi in Europa contrastando la tratta di esseri umani. Altro tema, questo, sul quale la Meloni è protagonista della politica europea: è stata lei infatti a recarsi per ben due volte in Tunisia nell’arco di pochi giorni, prima da sola e poi insieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e al premier olandese, Mark Rutte, per tentare di convincere il presidente Kais Saied a darsi da fare per bloccare le partenze. Saied da parte sua chiede, manco a dirlo, soldi: c’è in ballo il prestito del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi di dollari ai quali la Ue può aggiungere un altro miliardo, ma la trattativa è difficile, poiché il leader tunisino tentenna di fronte alla richiesta di varare riforme strutturali in cambio dei denari. Tornando alla questione del no della Polonia all’accordo europeo, la Meloni tenterà più che altro di capire se ci sono ancora margini di trattativa, ma in questa fase storica Varsavia ha un peso politico molto importante: la guerra in Ucraina la vede in primissima fila, vero e proprio avamposto della Nato, i rapporti con Washington sono blindati, la stessa Commissione europea non può permettersi di tirare troppo la corda con il governo di destra guidato da Morawiecki. Anche di guerra in Ucraina parleranno oggi la Meloni e Morawiecki, ma su questo fronte non c’è da aspettarsi sorprese: verrà ribadito il sostegno a Kiev a 360 gradi. Il secondo appuntamento della giornata polacca del presidente del Consiglio è, come dicevamo, la conferenza di Ecr, il partito dei Conservatori europei, sul tema «Il futuro dell’Unione europea». A introdurre i lavori di oggi, alla presenza della Meloni e di Morawiecki, saranno i due presidenti del gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo, il polacco Ryszard Legutko e Nicola Procaccini di Fratelli d’Italia. «I conservatori europei», spiega Procaccini, «sono impegnati nel definire proposte e azioni concrete per affrontare al meglio le grandi questioni che le nazioni e popoli dell’Ue sono chiamati ad affrontare. L’appuntamento di Varsavia riveste una particolare importanza, un confronto sui grandi temi anche In prospettiva delle prossime elezioni europee». L’obiettivo è quello di costruire, dopo le europee del 2024, una nuova maggioranza al Parlamento europeo, che tenga fuori i Socialisti e comprenda, oltre al Ppe, proprio i Conservatori di Ecr. Naturalmente, il progetto passa necessariamente attraverso un buon risultato dei partiti di centrodestra alle urne, una circostanza non scontata ma facilmente pronosticabile, considerato che il vento elettorale in Europa soffia sempre di più verso l’area moderata. Occorrerà poi sciogliere il nodo del gruppo Identità e democrazia, del quale fa parte la Lega insieme tra gli altri ai francesi di Marine Le Pen, che scontano l’ostilità dei Popolari europei in quanto considerati «euroscettici». L’asse tra Roma e Varsavia può essere utilissimo in questa chiave, ed è probabile che la Meloni e Morawiecki si confronteranno anche sui programmi da sottoporre agli elettori.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/meloni-varsavia-versione-colomba-2662227713.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="salvini-insiste-col-patto-allargato-nessuno-deve-essere-escluso" data-post-id="2662227713" data-published-at="1688540892" data-use-pagination="False"> Salvini insiste col patto allargato: «Nessuno deve essere escluso» La campagna elettorale del centrodestra per il voto europeo di giugno 2024 è iniziata, ma il sorpasso a destra di Matteo Salvini sul tema delle alleanze a Strasburgo è stato frenato da Antonio Tajani. «Sulle alleanze in Europa decideranno gli italiani quando andranno a votare», ha detto ieri il ministro delle Infrastrutture nonché leader della Lega ai microfoni di Radio anch’io su Rai Radio 1, cercando di spegnere le polemiche scoppiate nella maggioranza dopo l’alt del leader di Forza Italia alle alleanze possibili con i sovranisti francesi di Marine Le Pen e i tedeschi di Afd. «Discussioni sulle alleanze in Europa? Il governo italiano non c’entra nulla, non è in discussione, la politica europea non c’entra nulla. Piacerebbe a qualche giornale, a Conte, alla Schlein, ma il governo italiano va avanti non solo cinque anni, ma di più». Il vicepremier leghista ha rivendicato di avere fatto «solo una riflessione normale: c’è un governo di centrodestra, gli italiani apprezzano i risultati perché alle regionali il centrodestra stravince, ho detto agli alleati: facciamo la stessa formula anche in Europa. Non mi sembra una proposta particolarmente intelligente o rivoluzionaria... Visto che metà delle norme arrivano da Bruxelles e sono figlie di politica anti italiana e anti sviluppo, penso sia una grande occasione per portare anche in Europa un governo di centrodestra. Vogliamo provarci o ci arrendiamo a un’altra alleanza con i Socialisti?». E a proposito della videocall con Le Pen, il leader del Carroccio ha ribadito: «Rassemblement National è il primo partito in Francia e abbiamo parlato soprattutto di lavoro perché l’Europa si occupi di famiglie e piena occupazione». Poi Salvini ha «parlato» ai suoi elettori: «Io dico già da oggi che chi sceglierà la Lega avrà chiaro che qualunque sia l’esito del voto la Lega non andrà al governo dell’Ue con i socialisti dell’auto green e della casa da sistemare senza aiuto economico. Non penso che De Gasperi abbia fondato l’Europa per avere l’auto elettrica o danneggiare i pescatori. Sull’immigrazione perché non vogliamo riproporre a livello europeo il governo che in Italia, in otto mesi, ha fatto tanto?». Governo e centrodestra italiano esteso all’Europa, senza dire no a nessuno, se non ai socialisti e a Macron, ha ribadito ancora il ministro durante l’inaugurazione di due nuove fermate della M4 a Milano non senza una frecciatina all’alleato azzurro Tajani: «È semplicemente un’idea di Europa. Che cosa vuol dire partiti anti europei? Mi domando come qualcuno di centrodestra possa preferire i socialisti». E ieri è arrivato il primo commento di Fdi per bocca del capogruppo alla Camera, Tommaso Foti: «I veti non sono di una forza politica o di un’altra, bisogna prima creare le condizioni di un’alleanza politica e questa la si ha quando gli elettori con il loro voto daranno forza a quest’area rappresentata dal centrodestra. Nessuno ha detto che la Lega non deve far parte di un’alleanza di centrodestra eventuale in Europa, perciò mi pare che sia proprio sbagliato l’approccio». Chiarimento «morbido» del vice coordinatore di Fi, Alessandro Cattaneo: «La vera distinzione per la futura maggioranza di governo europea sarà tra chi ha cultura di governo e chi no. Mi viene da sorridere quando sento che la Lega e Salvini non sarebbero adatti a governare in Europa. Si tratta di un pensiero non condivisibile. La Lega e Salvini hanno governato con Mario Draghi, oggi con il centrodestra unito dopo la vittoria delle politiche, inoltre governano in tante regioni ed enti locali del Paese con noi, come si fa a non considerarli in ambito europeo? Sono un alleato fondamentale».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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