2025-09-19
Potenziata la scorta a premier e vice. Tajani: «Il clima non è dei migliori»
Antonio Tajani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Ansa)
Circolare a prefetti e questori: verificate le condizioni di sicurezza. L’ipotesi di più agenti.A sinistra circola uno strano concetto di democrazia. Va tutto bene fintantoché non sono intaccati i suoi interessi. Lo dimostra la rissa cercata ieri a Montecitorio dopo la vittoria incassata dalla maggioranza nel cammino della tanto agognata riforma della Giustizia. Ma le immagini degli spintoni, delle urla e degli insulti, che hanno fatto il giro dei telegiornali, anche se all’interno di una sceneggiata chiaramente organizzata ma non andata a buon fine, arriva in un contesto particolarmente sbagliato. Dove la tensione è già alta, soprattutto per quello che sta accadendo a livello internazionale, dall’omicidio di Charlie Kirk alla situazione a Est e in Medio Oriente.In questo quadro - dopo la circolare emanata venerdì scorso dal Viminale, che disponeva «un riesame ed eventuale rafforzamento delle misure di profili di rischio» dopo l’assassinio di Kirk - ieri sono stati alzati gli apparati di custodia al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e ai due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini. La tutela inizialmente scelta per i tre leader di partito e vertici dell’esecutivo è ora ritenuta insufficiente da parte degli apparati di sicurezza. E ieri il premier e i due vice sono apparsi in pubblico, circondati da un dispositivo di protezione visibilmente più robusto del solito. Almeno sei gli agenti della scorta intorno a Meloni. Un settimo con una valigetta nera: al suo interno un telo antiproiettile pronto all’evenienza. «Non esattamente il clima migliore», è stato il commento del ministro degli Esteri, Tajani. Anche per questo è stata emanata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi la circolare a prefetti e questori che impone di analizzare la sicurezza delle scorte di esponenti di governo e istituzioni, valutando aumenti di personale e mezzi. Tornando alla separazione delle carriere, per il governo questo voto rappresenta un ulteriore passo in avanti nel raggiungimento di un traguardo inseguito da anni. Forza Italia (soprattutto) esulta e dal suo scranno si festeggia per la «grande vittoria» in nome di Silvio Berlusconi. Dai banchi dell’opposizione urlano e un gruppo cerca di far finire la scena a schiaffi e insulti, mentre commessi e uscieri faticano a riportare l’ordine. Risultato: seduta sospesa. È normale che quando un governo ottiene risultati significativi per la propria compagine, magari raggiungendo traguardi determinanti per la propria identità politica, l’opposizione si metta a menare le mani in segno di protesta? La risposta è no. E basta ripercorrere gli ultimi dieci anni di storia parlamentare italiana per avere conferme, quando al governo - in un modo o nell’altro - c’è stata la sinistra; con l’unica parentesi dell’esecutivo gialloverde, guidato da M5s e Lega. In ordine cronologico. A fine novembre 2014 la Camera (e poi con il voto di fiducia al Senato a inizio dicembre) aveva approvato il Jobs act voluto dall’allora premier Matteo Renzi. A quel tempo i partiti di governo avevano esultato e le opposizioni, in segno di protesta, avevano abbandonato l’aula. Tra loro, oltre ai parlamentari leghisti, Sinistra ecologia e libertà, Movimento 5 stelle e Forza Italia, c’erano anche 40 deputati del Pd. L’11 maggio 2016 veniva approvata il disegno di legge proposto dalla senatrice Monica Cirinnà sulle unioni civili. Con quella norma l’Italia era diventata il ventisettesimo Paese europeo a riconoscere legalmente le coppie dello stesso sesso. La Cirinnà garantiva per gli omosessuali uniti civilmente la reversibilità della pensione ed equiparava il partner dello stesso sesso al coniuge per il diritto di eredità. Nessuno a destra si era messo a picchiare gli esponenti della sinistra per il semplice fatto che fosse passata quella legge. Le unioni civili sono una battaglia identitaria della sinistra tanto quanto la separazione delle carriere nella magistratura lo è per la destra. Dulcis in fundo, forse qualcuno ancora ricorda l’esultanza di Luigi Di Maio & Co., che dai balconi di Palazzo Chigi festeggiavano al grido di «Abbiamo sconfitto la povertà», quando entrò in vigore il reddito di cittadinanza. Quindi: a sinistra è permesso essere fieri dei propri traguardi politici e a destra no?
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