2023-06-10
Meloni chiude al Mes: «È uno stigma». Prima si tratti sul patto di Stabilità
Il premier delude chi spinge per la ratifica: «Non ha senso parlarne senza conoscere le regole Ue su conti». E poi tira dritto sul presidenzialismo : «Con la legislatura posso rendere la democrazia italiana più solida».Intervistata da Bruno Vespa al “Forum in Masseria”, Giorgia Meloni ha stroncato le illusioni degli eurolirici sul Mes, e contemporaneamente ha fatto capire che l’Italia negozierà a testa alta e a schiena dritta sulla riforma del patto di Stabilità. Non si sa per quale ragione (al di là della calendarizzazione parlamentare di un documento di indirizzo sul Mes), da settimane si era infatti diffusa (o era stata sapientemente alimentata dai tifosi del Mes) la convinzione che il governo fosse pronto alla ratifica, capovolgendo le convinzioni più volte esternate dalla Presidente del Consiglio, e contemporaneamente privando l’Italia di una potente arma negoziale nel semestre in cui si entrerà nel vivo della discussione sulla (pessima) proposta della Commissione Ue sulla reintroduzione (con modifica) del patto di Stabilità. «Il Mes», ha detto Meloni, «è un tema che sarebbe stupido aprire adesso, per due ragioni: la prima è che non ho cambiato idea sul Mes, ma è parte di una serie di strumenti che vanno discussi nel loro complesso. Non ha senso ratificare la sua riforma se non sai cose prevede il nuovo patto di Stabilità e crescita. Non sono convinta sulla proposta della Commissione». E ancora: «Il Mes è uno stigma che ora rischia di tenere bloccate delle risorse in un momento in cui invece stiamo tutti cercando risorse: poi non verrebbe utilizzato da nessuno. Non è forse questo il dibattito da aprire? Spero che si affronti questo tema in modo pragmatico e non, come in Italia, in modo ideologico. Ratificare la riforma senza capire il meccanismo che ne segue sarebbe stupido». Come si vede, il messaggio è tanto chiaro quanto articolato. Primo: resta il giudizio negativo sul Mes indipendentemente dal suo eventuale uso. Già la sola ratifica produrrebbe l’effetto “stigma” su un paese a debito elevato. Secondo: occorre preventivamente conoscere tutto il resto delle norme in cantiere (da quelle bancarie al patto di Stabilità riformato). Terzo: non si vede perché l’Italia, dicendo subito sì al Mes a scatola chiusa, debba arrivare disarmata alla trattativa sulla bozza presentata da Paolo Gentiloni sul patto di Stabilità. Quarto: non si capisce perché dovremmo correre a ratificare una norma (e a versare denaro a richiesta) per salvare banche non italiane. Sul resto dei temi economici, la Meloni ha fissato un primo impegno per la legge di bilancio, e cioè rendere permanente il taglio del cuneo deciso il Primo Maggio scorso: «L’obiettivo è rendere il taglio del cuneo strutturale: dipende dalle entrate dello Stato, che a loro volta dipendono dalla crescita». Per il resto la leader di Fdi ha rivendicato i buoni numeri del primo trimestre di quest’anno: «Il dato più importante è il Pil italiano che cresce oltre la media europea. Il governo deve dare i suoi segnali, l’economia risponde e lo sta facendo, ma non è un fuoco di paglia. L'Italia ha appena raggiunto il record storico di numero di occupati e di contratti stabili, e tutto è trainato dall’occupazione femminile». Quindi, la presidente del Consiglio ha articolato gli obiettivi di intervento sul piano fiscale: «Noi lavoriamo per favorire il lavoro, quindi se si tratta di rivedere l’Ires, bisogna dire che noi la abbassiamo ma se si investe in forza lavoro. Bisogna insomma favorire le aziende che hanno un’alta densità di manodopera». E ancora, allargando la prospettiva: «Quello che vogliamo fare è rivedere le aliquote Irpef con l’obiettivo di abbassare le tasse a tutti, e vogliamo lavorare per favorire l'occupazione nella tassazione delle imprese».Quanto alle riforme, la premier ha definito «irrinunciabili» due elementi: «I governi li decidono gli italiani, e quindi bisogna riconoscere l’esito delle elezioni, e il secondo elemento è la stabilità del governo».Dopo di che, pur senza citarlo, la presidente del Consiglio è sembrata replicare alle preoccupazioni di Giuliano Amato sparate l’altro giorno in prima pagina da Repubblica: «Sarebbe irresponsabile da parte mia, proprio nel momento in cui ho un orizzonte di cinque anni, non pormi il problema di cosa lascio dopo di me. Ho l’occasione di rendere la democrazia italiana più solida, lo stato italiano più efficiente e più credibile a livello internazionale». Non è mancato un passaggio esplicitamente critico verso Elly Schlein, a partire dall’episodio di intolleranza verificatosi contro Eugenia Roccella al Salone del Libro di Torino: «Più ancora che questi signori che vogliono impedire di parlare a un ministro, sono stupita che la segretaria del Pd dica che siamo allergici al dissenso: se confonde il dissenso con l’autoritarismo abbiamo un problema. Escludo che gli italiani credano che siamo in un regime di autoritarismo». E ancora: «So che la preoccupazione della segretaria del Pd è reale, non strumentale, lei è davvero preoccupata. La voglio tranquillizzare: il centrodestra da sempre difende le libertà di cittadini, famiglie e imprese, questo noi stiamo dimostrando e gli italiani lo capiscono». Conclusione: «Se il nuovo corso del Pd è andare dritti sulla strada che li ha portati alla sconfitta elettorale, non sono nessuno per dirgli di cambiare strategia». Colpiti e affondati.
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