2022-10-08
Meloni ammonita dagli aruspici di Mattarella
Dai quirinalisti fioccano avvisi alla premier in pectore: il Colle sarà leale, purché condivida le nomine nei dicasteri chiave. Evocando il caso Paolo Savona, prefigurano una dura trattativa. La leader di Fdi può spuntarla solo facendo pesare la solidità della sua maggioranza.Nei migliori romanzi gialli, tre indizi fanno una prova. Nel nostro caso, di indizi ce ne sono almeno quattro: quattro firme autorevoli e informate, note per la loro serietà e prudenza, e insieme per la solidità delle loro fonti o interlocuzioni, che, in un fazzoletto di giorni, si sono espresse in modo univoco sull’atteggiamento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, rispetto alla probabilissima presidente del Consiglio incaricata, Giorgia Meloni. Il primo a scrivere è stato Ugo Magri, quirinalista della Stampa, che ha messo nero su bianco alcuni paletti già il 26 settembre, il mattino dopo il voto: un pezzo realisticamente scritto prim’ancora che la Meloni, nel cuore nella notte, pronunciasse il suo discorso di ringraziamento. Tutta la prima parte del testo certifica che «nulla lascia immaginare un Mattarella intenzionato a mettersi di traverso. Sarebbe una sorpresa se, preso atto che tutto quadra, rifiutasse a Giorgia Meloni le chiavi di Palazzo Chigi». E ci mancherebbe pure, potrebbe sussurrare il lettore. E ancora: «Idem (sarebbe una sorpresa, ndr) se negasse» alla Meloni «la stessa leale collaborazione che ha segnato i rapporti» con i predecessori. Tutto liscio, quindi? Occhio alla conclusione: «Poi, si capisce, it takes two to tango, per danzare bisogna essere in due; dunque il futuro dipenderà dalla postura della Meloni, dal grado di rispetto che Giorgia mostrerà verso gli organi di garanzia, da come Giorgia si rapporterà alle istituzioni, se abbagliata dal successo tenterà la grande spallata». E qui, a partire dal confidenziale «Giorgia», il lettore può pensare che si stia parlando non della nettissima vincitrice di libere elezioni, ma di una studentessa che il preside può convocare in presidenza da un momento all’altro per una lavata di capo. È stato sufficiente attendere altre 24 ore per leggere il giorno dopo un secondo analogo avvertimento sul Corriere, a firma del quirinalista Marzio Breda, che addirittura comincia già a discettare (il martedì mattina post voto!) della composizione dell’esecutivo. Ecco qua: «Nel confronto con il presidente, le difficoltà per la leader di Fdi potrebbero venire unicamente dalla composizione del suo governo e dalle scelte su alcuni ministeri, sui quali la vigilanza del Colle è un dovere d’ufficio. Per esempio, per quanto riguarda gli Esteri […]. E ciò vale anche per i delicati dicasteri della Difesa, dell’Economia e dell’Interno […]». Anche qui, formalmente, è tutto vero, anche perché, secondo Costituzione, il premier propone i ministri e il Quirinale li nomina. Però è per lo meno curioso che, a 36 ore da un voto così netto, già partano i «moniti» sulla squadra.Passano pochi giorni (5 ottobre) e arriva il terzo indizio su Repubblica, a firma di Claudio Tito. L’incipit è una sorta di excusatio: «Il Quirinale non ha e non può avere un ruolo attivo nella scelta dei ministri». E ancora: «Spetterà solo al/alla presidente del Consiglio incaricata/o scegliere e selezionare i suoi ministri». E a seguire l’inequivocabile citazione costituzionale sul premier che propone e il Quirinale che nomina («E a questa procedura Mattarella si atterrà in maniera ferrea»). Tutto a posto, quindi? Occhio all’ultima colonna: «Poi, certo, inevitabilmente e com’è sempre accaduto, quando le selezioni saranno completate, la presidenza della Repubblica avrà il dovere di esprimere le sue valutazioni». E pure qui, senza frapporre indugio, arriva l’indicazione delle caselle che saranno oggetto di particolare «attenzione»: Economia, Esteri, Difesa, Interni, Giustizia. Non basta? Per chi non avesse capito l’antifona, ecco il quarto indizio, recapitato ieri - sempre tramite Repubblica - dal costituzionalista Michele Ainis, che passa a un esplicito avviso politico: «Il totoministri di questo pre-governo è un rebus, una sciarada. E oltretutto trascura il ruolo di chi dovrà firmare i decreti di nomina […]. Dimentica che al Quirinale abita pur sempre un presidente, il quale a sua volta ha già dimostrato (caso Savona) di non essere affatto un passacarte. Come dicevano i nostri nonni, guai a fare i conti senza l’oste». Lungi da noi sostenere che le quattro autorevoli firme si siano espresse secondo i desiderata o gli input del Colle: sarebbe inopportuno e intellettualmente disonesto da parte nostra. Diciamo però che si tratta di firme dalle eccellenti fonti e relazioni, e che hanno sviluppato ragionamenti convergenti, dettagliati, non smentiti dal Colle. Il messaggio che ne emerge è univoco, pur accompagnato dalla consueta melassa sull’imparzialità del Quirinale: il Colle è intenzionato a discutere in modo occhiuto, e il memento sul caso Savona prefigura un negoziato potenzialmente durissimo.La sensazione è che la Meloni sia esposta a un duplice rischio: per un verso le minacce di Bruxelles, e per altro verso un felpato ma ferreo tentativo di condizionamento preventivo da parte del Quirinale. Gli ottimisti parleranno di «aiuto», di «ombrello»; i pessimisti correggeranno nel senso del «commissariamento». Troppe volte, e da troppi anni, al Quirinale si è consentito di allargare la «fisarmonica» presidenziale fino a livelli impensabili. C’è da augurarsi che Giorgia Meloni faccia valere una condizione soggettiva e oggettiva che non si riscontrava dal 2008: quella di essere la solida vincitrice di una prova elettorale.