2023-02-25
Una perla bianca in un mondo di solito viola
La melanzana dal colore lattiginoso è un ortaggio a rischio di estinzione. Un gioiello vegetale che non ha la fortuna della sorella malgrado molti la preferiscano per il gusto delicato che ricorda i funghi e il retrogusto assai meno amaro. Si cucina in tanti modi.È nivea come una luna piena. Lattiginosa e oblunga come una gigantesca perla barocca cresciuta, strato dopo strato, tra le valve di una tridacne ciclopica. Una perla bianca in un mondo di perle viola. Quando diciamo melanzana tutti pensiamo al color prugna, al lilla. Pochi, pochissimi, sanno che la melanzana viola ha una sorella candida come la neve: la melanzana bianca. È conosciuta da un numero sempre più esiguo di persone perché è un ortaggio di cui ci stiamo scordando, a rischio di estinzione. Non trovandola nei supermercati e neppure nei «normali» negozi di ortofrutta, l’abbiamo lasciata cadere nel dimenticatoio. Soltanto in qualche mercato contadino o negli orti privati si trovano ancora melanzane bianche.Se la melanzana viola indossa la porpora dei cardinali, quella bianca è vestita con il candido talare del papa. È un gioiello vegetale che non ha la fortuna commerciale della sorella solanacea nonostante parecchi buongustai la preferiscano alla viola per il gusto delicato e il retrogusto assai meno amaro: la differenza tra le due c’è, non esagerata, ma i palati allenati ai sapori la colgono. È così buona che la bocca si riempie solo a parlarne. Basta il nome, non c’è nemmeno bisogno dell’aggettivo, per cominciare a masticare: me-lan-za-na. Più che un quadrisillabo, è un piatto intero. E pensare che un nome così bello ha una pessima origine. Melanzana - bianca o viola che sia -, deriva da malum insanum. Mela insana. Ovvero pomo che provoca la pazzia. Nel medioevo si pensava che la solanacea, parente stretta di pomodori, peperoni e patate, facesse impazzire chi ne abusava. Una fetta di verità, nella credenza medioevale, c’è. Originaria dalle regioni calde della Cina e dell’India, introdotta in occidente dagli Arabi nell’ottavo secolo, la melanzana, come recita il nome scientifico Solanum melongena, contiene solanina, un alcaloide tossico che assunto in discrete quantità provoca allucinazioni. Ma con la maturazione del frutto la solanina pian piano scompare. E sparisce del tutto con la cottura. Mai, dunque, consumarla cruda.Il sapore della bianca, più della viola, ricorda quello dei funghi. Un risotto con la melanzana bianca può tranquillamente essere confuso con un delicato risotto di prataioli tagliati a pezzetti e trifolati con olio, aglio e prezzemolo. Oltre al colore e alla differenza di gusto, la melanzana bianca presenta altre diversità rispetto alla più famosa sorella: ha la buccia più sottile e meno semi. È priva di antociani, i pigmenti che danno la tinta purple all’altra varietà. Nonostante ciò è ricca di antiossidanti.Si cucina in tantissimi modi, come la viola: in funghetto; alla parmigiana; grigliata e condita con olio d’oliva e cosparsa di prezzemolo; gratinata al forno, impanata. È un ottimo ingrediente per risotti, involtini, ripieni e pastasciutte. Fritta è preferibile alla sorella perché assorbe meno grassi. Celeberrimi i maccheroni alla Norma, ricetta catanese che è una sinfonia di gusto. Fu Nino Martoglio, commediografo, a battezzare Norma il piatto. Davanti ad un piatto di rigatoni condito con un ragù di melanzane, pomodori, ricotta e altri ingredienti di grande bontà, proruppe in un gioioso applauso: «Questa è una Norma». Tanta delizia, secondo Martoglio, meritava d’essere accostata all’opera del concittadino Vincenzo Bellini. La Norma va provata con il sugo di melanzana bianca fritta, pomodoro, ricotta e basilico per sentire un tono musicale più delicato, un’aria lirica in cui sentirete la bianca gorgheggiare come un soprano.Ecco la ricetta dei maccheroni alla Norma con la melanzana bianca. Vanno bene anche penne o mezze maniche o sedani purché sia pasta col buco che catturi e trattenga il sugo. Ingredienti: maccheroni, melanzane bianche, pomodori a pezzetti, ricotta secca di pecora, olio extravergine d’oliva, aglio, basilico. Si tagliano a dadini o a listarelle le melanzane e si dispongono in un colapasta. Si cospargono di sale grosso per liberarle dall’acqua e - soprattutto le viola - dall’amaro. Si friggono in abbondante olio d’oliva. A parte si prepara una salsa con polpa di pomodoro, olio d’oliva, sale, pepe, spicchi d’aglio. Si cuociono i maccheroni al dente in acqua salata e, dopo averli scolati, si tuffano nella salsa di pomodoro con le melanzane bianche fritte. Si cosparge il tutto di abbondante ricotta stagionata di pecora grattata al momento.La melanzana è un ortaggio di origine asiatica. Da quale zona, di preciso, non si sa. Chi dice l’India e chi la porta più vicina al Mediterraneo, in Anatolia, la moderna Turchia. Fino a tutto l’800 il Solanum melongena era più conosciuto come petonciano o petronciano, vocabolo derivante dall’arabo badingian. Il profeta della cucina italiana Pellegrino Artusi aveva del petonciano un’altissima considerazione. Nel libro Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, 1891, scrive: «Il petonciano o melanzana è un ortaggio da non disprezzarsi per la ragione che non è né ventoso, né indigesto. Si presta molto bene ai contorni ed anche mangiato solo, come piatto d’erbaggi. Sono da preferirsi i petonciani piccoli e di mezzana grandezza, nel timore che i grossi non siano amari per troppa maturazione. Petonciani e finocchi, quarant'anni or sono, si vedevano appena sul mercato di Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei, i quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de' cristiani». Nel Settecento, curiosamente, «andar ad ingrassare i petronciani» era diventato una metafora di «morire». Giuseppe Parini la usa nella cinquantanovesima lirica delle Poesie di Ripano Eupilino: «Signori cari, fate di star sani/ almeno almen finché non vi malate, / e per amor del cielo vi guardate/ di non ire a ingrassare i petronciani». La melanzana bianca è ricca di calcio, fosforo, potassio, vitamine A e C e di acqua (il 93 per cento), di fibre. È poverissima di calorie: 16 ogni 100 g. È indicata per diete dimagranti facendo, ovviamente, attenzione ai condimenti e al procedimento di cottura: il fritto, anche se la melanzana bianca assorbe meno grassi della viola, è sempre sconsigliato nelle diete. Stimola l’attività del fegato, è antiossidante, ipocolesterolemizzante, depurativa, antinfiammatoria, diuretica e lassativa. Combattendo la ritenzione idrica aiuta ad eliminare la cellulite.È utilizzata anche nella cosmesi per maschere idratanti e nutrienti. Insomma, una farmacia con annesso reparto estetico.In Italia la bussola della melanzana punta decisamente a sud. A parte qualche piatto tradizionale toscano o laziale, bisogna varcare il Volturno per assaporare in pieno il trionfo del petronciano. Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e, soprattutto, Sicilia, hanno posto sul trono la bacca. Se nelle altre regioni è raro trovare la melanzana albina, in Puglia, Basilicata e Sicilia si trova, soprattutto negli orti di famiglia. Oltre ai maccheroni alla Norma altri piatti con la melanzana protagonista sono entrati nella lista degli italian best foods: la caponata- tripudio di melanzane con vari tipi di verdure, uvetta, pinoli, acciughe-, lo scapece (conserva di ortaggi marinati), le melanzane alla parmigiana, piatto siciliano conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, i mulinciani ammuttunati, melanzane imbottite di aglio e caciocavallo. L’Accademia italiana della cucina, istituzione culturale della Repubblica italiana, ha riconosciuto nel 2006 il ruolo fondamentale della Sicilia nella diffusione della melanzana organizzando a Palermo le Olimpiadi della melanzana alle quali parteciparono cuochi provenienti da Portogallo, Spagna, Francia, Grecia, Turchia, Marocco, Siria, Libano, Tunisia.Curiosità finale: negli Usa la melanzana è chiamata eggplant, e cioè «pianta delle uova» perché alla metà del Settecento la varietà di melanzane che si conosceva era di colore bianco e somigliava a un uovo di oca.
Nel riquadro il professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana (iStock)
Il 10 ottobre Palermo celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale con eventi artistici, scientifici e culturali per denunciare abbandono e stigma e promuovere inclusione e cura, su iniziativa della Fondazione Tommaso Dragotto.
Il 10 ottobre, Palermo non sfila: agisce. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, la città lancerà per il secondo anno consecutivo un messaggio inequivocabile: basta con l’abbandono, basta con i tagli, basta con lo stigma. Agire, tutti insieme, con la forza dei fatti e non l’ipocrisia delle parole. Sul palco dell’evento – reale e simbolico – si alterneranno concerti di musica classica, teatro militante, spettacoli di attori provenienti dal mondo della salute mentale, insieme con tavoli scientifici di livello internazionale e momenti di riflessione pubblica.
Di nuovo «capitale della salute mentale» in un Paese che troppo spesso lascia soli i più fragili, a Palermo si costruirà un racconto, fatto di inclusione reale, solidarietà vera, e cultura della comunità come cura. Organizzato dalla Fondazione Tommaso Dragotto e realizzato da Big Mama Production, non sarà solo un evento, ma una denuncia trasformata in proposta concreta. E forse, anche una lezione per tutta l’Italia che alla voce sceglie il silenzio, tra parole come quelle del professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana che ha detto: «I trattamenti farmacologici e psicoterapici che abbiamo oggi a disposizione sono tra i più efficaci tra quelli disponibili in tutta la medicina. È vero che in molti casi si parla di trattamenti sintomatici e non curativi, ma molto spesso l’eliminazione del sintomo è di per sé stesso curativo. È bene - continua Fiorillo - diffondere il messaggio che oggi si può guarire dai disturbi mentali, anche dai più gravi, ma solo con un approccio globale che miri alla persona e non alla malattia».
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