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2021-12-29
Medicine più costose per pagare stipendi d’oro a Big pharma
Un’altra tegola si abbatte su Pfizer. Non bastavano le inchieste sui guadagni derivanti dal vaccino anti Covid, pubblicate nelle ultime settimane dal Financial Times prima e dall’emittente televisiva britannica Channel 4. Vendite da capogiro, con cifre stimate intorno ai 36 miliardi di dollari (poco meno di 32 miliardi di euro) nel solo 2021 e una quota di mercato pari al 74% negli Usa e dell’80% nella Ue. Numeri destinati senza dubbio a lievitare, complice la necessità in futuro di dover effettuare richiami con cadenza annuale o perfino semestrale.
Stavolta però le grane per l’ad di Pfizer Albert Bourla e soci non arrivano dal vaccino. Lo scorso 10 dicembre, la Commissione di sorveglianza del Congresso americano ha pubblicato un lungo e approfondito rapporto sugli incrementi dei prezzi dei farmaci nel decennio appena trascorso. Tre anni di indagini e un milione e mezzo di pagine di documenti interni per ricostruire le (discutibilissime) strategie commerciali attuate da dieci importanti case farmaceutiche. Le durissime conclusioni della Commissione, guidata dalla progressista e ultrademocratica Carolyn Maloney (paladina dei diritti delle donne e degli omosessuali), lasciano davvero poco spazio alla fantasia. E i giganti di Big pharma, ritratti nel report come lupi travestiti da pecore, ne escono con le ossa rotte.
«Per anni, le case farmaceutiche hanno aumentato in maniera aggressiva i prezzi sui farmaci già in commercio e fissato prezzi altissimi per i nuovi farmaci», si legge nell’introduzione alla relazione, «nel periodo 2016-2020, le case farmaceutiche hanno incrementato i prezzi del 36%, quattro volte l’inflazione». Rincari che hanno danneggiato in primis il sistema sanitario americano, con mancati risparmi del programma di assistenza Medicare quantificati dai membri del Congresso in 25,1 miliardi di dollari (22,2 miliardi di euro) nel quinquennio 2014-2018. Ma, cosa forse ancora più grave, queste politiche hanno danneggiato i contribuenti e i pazienti americani, «impedendo a milioni di persone di curarsi a prezzi accessibili». Ragion per cui la Commissione definisce senza mezzi termini gli incrementi di prezzo «insostenibili, ingiusti e ingiustificabili».
Venendo a Pfizer, gli investigatori del Congresso si sono concentrati sulle dinamiche di prezzo del Lyrica, nome commerciale del pregabalin, utilizzato per trattare l’epilessia, il dolore neuropatico e il disturbo d’ansia generalizzato negli adulti. L’ente regolatore americano ha approvato l’introduzione nel mercato a fine 2004, mentre tre anni dopo il farmaco è stato autorizzato anche per la cura della fibromialgia, una sindrome che presenta un quadro clinico caratterizzato da dolori muscolari, affaticamento, rigidità e sensazione di malessere generale.
Nei confronti di Pfizer, la Commissione formula due distinte accuse. La prima è di aver preso di mira il mercato americano come terreno fertile per il rialzo del prezzo dei medicinali, e la seconda di avere sfruttato a proprio vantaggio la protezione fornita dai brevetti, l’esclusiva di mercato e altre tecniche per ostacolare la concorrenza e tenere alto il costo. Dal lancio nel 2005, il prezzo di una scatola di 90 compresse di Lyrica è passato dai 148,50 dollari ai 772,29 dollari odierno, facendo segnare un aumenta del 420%. Simulando la spesa annuale per un paziente che necessita di due dosi da 75 mg al giorno, l’esborso passa dai 1.200 dollari del 2005 ai 6.300 dollari odierni. Una delle politiche più singolari messa in luce dalla Commissione è stata quella del cosiddetto «detailing», ovvero una strategia di marketing focalizzata sul singolo medico nella speranza che questo prescrivesse con maggiore frequenza il farmaco, e definita nel piano operativo del 2019 la «leva più forte nei confronti degli operatori sanitari».
Politiche che, com’è facile intuire, hanno trainato i ricavi dell’azienda. Dal 2009 al 2018, il Lyrica ha generato un utile netto a livello globale di 43 miliardi di dollari, più della metà dei quali (23,2 miliardi) solo negli Stati Uniti, dove nello stesso periodo il prezzo è raddoppiato di anno in anno. Nel 2018, prima dell’ingresso nel mercato dei relativi generici e la conseguente perdita dell’esclusiva, il farmaco rappresentava il 9% delle vendite complessive di Pfizer. Secondo i membri del Congresso, la casa farmaceutica ha deliberatamente incrementato il prezzo del Lyrica per conseguire i target finanziari. Obiettivi che hanno avuto un impatto diretto sugli stipendi dei top manager se si considera che nel 2018 più dell’80% della retribuzione dei capoccioni di Pfizer era legata agli incentivi di vendita. Nel quinquennio 2016-2020, gli stipendi dell’alta dirigenza della casa farmaceutica hanno toccato quota 287 milioni di dollari, mentre nello stesso periodo la spesa per lo stipendio dell’amministratore delegato è stata pari a 100 milioni di dollari.
Se dalle nostre parti la notizia del rapporto non è di fatto nemmeno approdata, oltreoceano l’eco delle polemiche risulta quasi già esaurito. Il piano annunciato dal presidente Joe Biden lo scorso agosto, che prevedeva la negoziazione obbligatoria del miglior prezzo (oggi proibita per legge) nell’ambito del programma Medicare, ha incontrato una forte resistenza interna ai democratici, e lo stesso Albert Bourla in un videomessaggio ai dipendenti si è detto «profondamente infastidito», dichiarando che le istituzioni americane stanno affrontando il problema dalla prospettiva sbagliata. Una cosa è certa: forte del successo del vaccino anti Covid, Pfizer regge il coltello dalla parte del manico. E tra Biden e Bourla, alla fin della fiera, oggi conta di più il secondo.
Omicron, siero pronto in primavera. Ma sarà il caos sui pass in scadenza
L’unica certezza è che navigano a vista non solo i governi, ma anche i signori dei vaccini. Pfizer ha annunciato ieri che in primavera sarà in grado d’immettere in commercio un vaccino contro il Covid adattato specificamente alla variante Omicron con la quale si sta seminando il panico sotto Capodanno. Naturalmente si tratta di una notizia da salutare con soddisfazione, ma a questo punto la popolazione italiana che sta facendo la terza dose ed è giù prenotata per tutto il mese di gennaio a che destino va incontro? Avrà in mano un (presunto) super green pass da sei mesi che ha solo un valore burocratico, visto che magari a marzo ci sarà il «vero» vaccino? Insomma, si rischia una sfasatura temporale che creerà un caos allucinante. Oltre al fatto che la decisione delle singole Asl di dare il vaccino «Omicron» o normale a questo o quel cittadino potrebbe risultare anche discriminatoria. Insomma, se Pfizer ci stupirà con un nuovo siero, di quelli vecchi che faremo?
Più passa il tempo e più è evidente a tutti che il green pass, oltre a limitare le libertà costituzionali e non garantire nulla dal punta di vista del minor contagio, è un fallimento non solo sanitario ma anche burocratico. E la nuova mazzata a chi ha idolatrato il certificato verde e lo ha utilizzato come forma surrettizia di propaganda per la campagna vaccinale arriva oggi da una casa farmaceutica come Pfizer. Il colosso americano è uscito allo scoperto ieri con un’intervista di Sabine Bruckner, capo della filiale svizzera, al quotidiano elvetico in lingua tedesca Blick. La manager ha annunciato che Pfizer sta lavorando a testa bassa su due fronti: da un lato sta studiando l’efficacia dell’attuale vaccino contro le varianti di Sars-Covid che stanno emergendo, e al medesimo tempo sta lavorando a una nuova versione del prodotto. Bruckner ha spiegato che al momento dopo il booster, «negli adulti la protezione contro la malattia provocata da Omicron è 25 volte superiore. La terza dose ha quindi senso, soprattutto per proteggere da un decorso grave».
Escusatio non petita e ci mancherebbe pure, verrebbe da dire. Come la precisazione, sempre di Pfizer, che questo nuovo vaccino contro Omicron «non si sa ancora se sarà necessario». Certo, a fine dicembre nessuno sembra in grado di dire che cosa servirà davvero a marzo, specie dopo la magra figura della copertura calante degli attuali vaccini, ormai scesa a non più di cinque mesi. Ma intanto, la storia della lotta alla pandemia cinese insegna, specialmente alla corte del ministro Roberto Speranza e del suo ineffabile Cts, che la verità, quando viene detta, viene comunicata per gradi. E soprattutto, in questa morta gora politica anche dell’Europa, Big pharma non solo lavora fin dall’inizio con contratti secretati, ma è in grado di imporre la somministrazione di più o meno quasi tutto su cui investe. Insomma, qui nessuno lavora in perdita e l’annuncio di ieri non è di certo un ballon d’essai.
Se diamo per buono che in primavera avremo questo nuovo super vaccino specifico in grado di spezzare le reni alla variante che ci sta rovinando le feste, ci sarà da capire che senso avranno i green pass di chi si sta correndo a fare la terza dose dei sieri attuali. Il loro green pass, che dal primo febbraio varrà solo sei mesi, finirà per valerne tre o meno? Si farà tutti una quarta dose con il «Pfizer Omicron»? E le attuali scorte che anche il generale Francesco Paolo Figliolo ha messo da parte che fine faranno? Saranno «regalate» ai Paesi poveri, iniettate solo ai decatleti, buttate via? La sensazione è che il governo vada alla cieca, ma che i fatturati ci vedano benissimo.
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Riduci
L’inchiesta della commissione del congresso Usa: in 10 anni le tariffe gonfiate hanno impedito le cure a milioni di malati.Omicron, l’annuncio di Pfizer sul siero pronto in primavera potrebbe frenare i booster. Che fine faranno le vecchie fiale?Lo speciale contiene due articoli.Un’altra tegola si abbatte su Pfizer. Non bastavano le inchieste sui guadagni derivanti dal vaccino anti Covid, pubblicate nelle ultime settimane dal Financial Times prima e dall’emittente televisiva britannica Channel 4. Vendite da capogiro, con cifre stimate intorno ai 36 miliardi di dollari (poco meno di 32 miliardi di euro) nel solo 2021 e una quota di mercato pari al 74% negli Usa e dell’80% nella Ue. Numeri destinati senza dubbio a lievitare, complice la necessità in futuro di dover effettuare richiami con cadenza annuale o perfino semestrale.Stavolta però le grane per l’ad di Pfizer Albert Bourla e soci non arrivano dal vaccino. Lo scorso 10 dicembre, la Commissione di sorveglianza del Congresso americano ha pubblicato un lungo e approfondito rapporto sugli incrementi dei prezzi dei farmaci nel decennio appena trascorso. Tre anni di indagini e un milione e mezzo di pagine di documenti interni per ricostruire le (discutibilissime) strategie commerciali attuate da dieci importanti case farmaceutiche. Le durissime conclusioni della Commissione, guidata dalla progressista e ultrademocratica Carolyn Maloney (paladina dei diritti delle donne e degli omosessuali), lasciano davvero poco spazio alla fantasia. E i giganti di Big pharma, ritratti nel report come lupi travestiti da pecore, ne escono con le ossa rotte.«Per anni, le case farmaceutiche hanno aumentato in maniera aggressiva i prezzi sui farmaci già in commercio e fissato prezzi altissimi per i nuovi farmaci», si legge nell’introduzione alla relazione, «nel periodo 2016-2020, le case farmaceutiche hanno incrementato i prezzi del 36%, quattro volte l’inflazione». Rincari che hanno danneggiato in primis il sistema sanitario americano, con mancati risparmi del programma di assistenza Medicare quantificati dai membri del Congresso in 25,1 miliardi di dollari (22,2 miliardi di euro) nel quinquennio 2014-2018. Ma, cosa forse ancora più grave, queste politiche hanno danneggiato i contribuenti e i pazienti americani, «impedendo a milioni di persone di curarsi a prezzi accessibili». Ragion per cui la Commissione definisce senza mezzi termini gli incrementi di prezzo «insostenibili, ingiusti e ingiustificabili».Venendo a Pfizer, gli investigatori del Congresso si sono concentrati sulle dinamiche di prezzo del Lyrica, nome commerciale del pregabalin, utilizzato per trattare l’epilessia, il dolore neuropatico e il disturbo d’ansia generalizzato negli adulti. L’ente regolatore americano ha approvato l’introduzione nel mercato a fine 2004, mentre tre anni dopo il farmaco è stato autorizzato anche per la cura della fibromialgia, una sindrome che presenta un quadro clinico caratterizzato da dolori muscolari, affaticamento, rigidità e sensazione di malessere generale.Nei confronti di Pfizer, la Commissione formula due distinte accuse. La prima è di aver preso di mira il mercato americano come terreno fertile per il rialzo del prezzo dei medicinali, e la seconda di avere sfruttato a proprio vantaggio la protezione fornita dai brevetti, l’esclusiva di mercato e altre tecniche per ostacolare la concorrenza e tenere alto il costo. Dal lancio nel 2005, il prezzo di una scatola di 90 compresse di Lyrica è passato dai 148,50 dollari ai 772,29 dollari odierno, facendo segnare un aumenta del 420%. Simulando la spesa annuale per un paziente che necessita di due dosi da 75 mg al giorno, l’esborso passa dai 1.200 dollari del 2005 ai 6.300 dollari odierni. Una delle politiche più singolari messa in luce dalla Commissione è stata quella del cosiddetto «detailing», ovvero una strategia di marketing focalizzata sul singolo medico nella speranza che questo prescrivesse con maggiore frequenza il farmaco, e definita nel piano operativo del 2019 la «leva più forte nei confronti degli operatori sanitari».Politiche che, com’è facile intuire, hanno trainato i ricavi dell’azienda. Dal 2009 al 2018, il Lyrica ha generato un utile netto a livello globale di 43 miliardi di dollari, più della metà dei quali (23,2 miliardi) solo negli Stati Uniti, dove nello stesso periodo il prezzo è raddoppiato di anno in anno. Nel 2018, prima dell’ingresso nel mercato dei relativi generici e la conseguente perdita dell’esclusiva, il farmaco rappresentava il 9% delle vendite complessive di Pfizer. Secondo i membri del Congresso, la casa farmaceutica ha deliberatamente incrementato il prezzo del Lyrica per conseguire i target finanziari. Obiettivi che hanno avuto un impatto diretto sugli stipendi dei top manager se si considera che nel 2018 più dell’80% della retribuzione dei capoccioni di Pfizer era legata agli incentivi di vendita. Nel quinquennio 2016-2020, gli stipendi dell’alta dirigenza della casa farmaceutica hanno toccato quota 287 milioni di dollari, mentre nello stesso periodo la spesa per lo stipendio dell’amministratore delegato è stata pari a 100 milioni di dollari.Se dalle nostre parti la notizia del rapporto non è di fatto nemmeno approdata, oltreoceano l’eco delle polemiche risulta quasi già esaurito. Il piano annunciato dal presidente Joe Biden lo scorso agosto, che prevedeva la negoziazione obbligatoria del miglior prezzo (oggi proibita per legge) nell’ambito del programma Medicare, ha incontrato una forte resistenza interna ai democratici, e lo stesso Albert Bourla in un videomessaggio ai dipendenti si è detto «profondamente infastidito», dichiarando che le istituzioni americane stanno affrontando il problema dalla prospettiva sbagliata. Una cosa è certa: forte del successo del vaccino anti Covid, Pfizer regge il coltello dalla parte del manico. E tra Biden e Bourla, alla fin della fiera, oggi conta di più il secondo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/medicine-costose-stipendi-big-pharma-2656172077.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="omicron-siero-pronto-in-primavera-ma-sara-il-caos-sui-pass-in-scadenza" data-post-id="2656172077" data-published-at="1640718221" data-use-pagination="False"> Omicron, siero pronto in primavera. Ma sarà il caos sui pass in scadenza L’unica certezza è che navigano a vista non solo i governi, ma anche i signori dei vaccini. Pfizer ha annunciato ieri che in primavera sarà in grado d’immettere in commercio un vaccino contro il Covid adattato specificamente alla variante Omicron con la quale si sta seminando il panico sotto Capodanno. Naturalmente si tratta di una notizia da salutare con soddisfazione, ma a questo punto la popolazione italiana che sta facendo la terza dose ed è giù prenotata per tutto il mese di gennaio a che destino va incontro? Avrà in mano un (presunto) super green pass da sei mesi che ha solo un valore burocratico, visto che magari a marzo ci sarà il «vero» vaccino? Insomma, si rischia una sfasatura temporale che creerà un caos allucinante. Oltre al fatto che la decisione delle singole Asl di dare il vaccino «Omicron» o normale a questo o quel cittadino potrebbe risultare anche discriminatoria. Insomma, se Pfizer ci stupirà con un nuovo siero, di quelli vecchi che faremo? Più passa il tempo e più è evidente a tutti che il green pass, oltre a limitare le libertà costituzionali e non garantire nulla dal punta di vista del minor contagio, è un fallimento non solo sanitario ma anche burocratico. E la nuova mazzata a chi ha idolatrato il certificato verde e lo ha utilizzato come forma surrettizia di propaganda per la campagna vaccinale arriva oggi da una casa farmaceutica come Pfizer. Il colosso americano è uscito allo scoperto ieri con un’intervista di Sabine Bruckner, capo della filiale svizzera, al quotidiano elvetico in lingua tedesca Blick. La manager ha annunciato che Pfizer sta lavorando a testa bassa su due fronti: da un lato sta studiando l’efficacia dell’attuale vaccino contro le varianti di Sars-Covid che stanno emergendo, e al medesimo tempo sta lavorando a una nuova versione del prodotto. Bruckner ha spiegato che al momento dopo il booster, «negli adulti la protezione contro la malattia provocata da Omicron è 25 volte superiore. La terza dose ha quindi senso, soprattutto per proteggere da un decorso grave». Escusatio non petita e ci mancherebbe pure, verrebbe da dire. Come la precisazione, sempre di Pfizer, che questo nuovo vaccino contro Omicron «non si sa ancora se sarà necessario». Certo, a fine dicembre nessuno sembra in grado di dire che cosa servirà davvero a marzo, specie dopo la magra figura della copertura calante degli attuali vaccini, ormai scesa a non più di cinque mesi. Ma intanto, la storia della lotta alla pandemia cinese insegna, specialmente alla corte del ministro Roberto Speranza e del suo ineffabile Cts, che la verità, quando viene detta, viene comunicata per gradi. E soprattutto, in questa morta gora politica anche dell’Europa, Big pharma non solo lavora fin dall’inizio con contratti secretati, ma è in grado di imporre la somministrazione di più o meno quasi tutto su cui investe. Insomma, qui nessuno lavora in perdita e l’annuncio di ieri non è di certo un ballon d’essai. Se diamo per buono che in primavera avremo questo nuovo super vaccino specifico in grado di spezzare le reni alla variante che ci sta rovinando le feste, ci sarà da capire che senso avranno i green pass di chi si sta correndo a fare la terza dose dei sieri attuali. Il loro green pass, che dal primo febbraio varrà solo sei mesi, finirà per valerne tre o meno? Si farà tutti una quarta dose con il «Pfizer Omicron»? E le attuali scorte che anche il generale Francesco Paolo Figliolo ha messo da parte che fine faranno? Saranno «regalate» ai Paesi poveri, iniettate solo ai decatleti, buttate via? La sensazione è che il governo vada alla cieca, ma che i fatturati ci vedano benissimo.
Con Giuseppe Trizzino fondatore e Amministratore Unico di Praesidium International, società italiana di riferimento nella sicurezza marittima e nella gestione dei rischi in aree ad alta criticità e Stefano Rákos Manager del dipartimento di intelligence di Praesidium International e del progetto M.A.R.E.™.
Christine Lagarde (Ansa)
Come accade, ad esempio, in quel carrozzone chiamato Unione europea dove tutti, a partire dalla lìder maxima, Ursula von der Leyen, non dimenticano mai di inserire nella lista delle priorità l’aumento del proprio stipendio. Ne ha parlato la Bild, il giornale più letto e venduto d’Europa, raccontando come la presidente della Commissione europea abbia aumentato il suo stipendio, e quello degli euroburocrati, due volte l’anno. E chiunque non sia allergico alla meritocrazia così come alle regole non scritte dell’accountability (l’onere morale di rispondere del proprio operato) non potrà non scandalizzarsi pensando che donna Ursula, dopo aver trasformato l’Ue in un nano economico, ammazzando l’industria europea con il folle progetto del Green deal, percepisca per questo capolavoro gestionale ben 35.800 euro al mese, contro i 6.700 netti che, ad esempio, guadagna il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni.
Allo stesso modo funzionano le altre istituzioni dell’Unione europea. L’Ue impiega circa 60.000 persone all’interno delle sue varie istituzioni e organi, distribuiti tra Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo (la Commissione europea, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, la Corte di giustizia dell’Unione europea e il Comitato economico e sociale). La funzione pubblica europea ha tre categorie di agenti: gli amministratori, gli assistenti e gli assistenti segretari. L’Ue contrattualizza inoltre molti agenti contrattuali. Secondo i dati della Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 2019, questi funzionari comunitari guadagnano tra 4.883 euro e 18.994 euro mensili (gradi da 5 a 16 del livello 1).
Il «vizietto» di alzarsi lo stipendio ha fatto scuola anche presso la Banca centrale europea (Bce), che ha sede a Francoforte, in Germania, ed è presieduta dalla francese, Christine Lagarde. Secondo quanto riassunto nel bilancio della Bce, lo stipendio base annuale della presidente è aumentato del 4,7 per cento, arrivando a 466.092 euro rispetto ai 444.984 euro percepiti nel 2023 (cui si aggiungono specifiche indennità e detrazioni fiscali comunitarie, diverse da quelle nazionali), ergo 38.841 euro al mese. Il vicepresidente Luis de Guindos, spagnolo, percepisce circa 400.000 euro (valore stimato in base ai rapporti precedenti, di solito corrispondente all’85-90% dello stipendio della presidente). Gli altri membri del comitato esecutivo guadagnano invece circa 330.000-340.000 euro ciascuno. Ai membri spettano anche le indennità di residenza (15% dello stipendio base), di rappresentanza e per figli a carico, che aumentano il netto effettivo. Il costo totale annuale del personale della Bce è di 844 milioni di euro, valore che include stipendi, indennità, contributi previdenziali e costi per le pensioni di tutti i dipendenti della banca. Il dato incredibile è che questa voce è aumentata di quasi 200 milioni in due anni: nel 2023, infatti, il costo totale annuale del personale era di 676 milioni di euro. Secondo una nota ufficiale della Bce, l’incremento del 2024 è dovuto principalmente a modifiche nelle regole dei piani pensionistici e ai benefici post impiego, oltre ai normali adeguamenti salariali legati all’inflazione, cresciuta del 2,4 per cento a dicembre dello scorso anno. La morale è chiara ed è la stessa riassunta ieri dal direttore, Maurizio Belpietro: per la Bce l’inflazione va combattuta in tutti i modi, ma se si tratta dello stipendio dei funzionari Ue, il discorso non vale.
Stessa solfa alla Corte di Giustizia che ha sede a Lussemburgo: gli stipendi variano notevolmente a seconda della posizione (avvocato, cancelliere, giudice, personale amministrativo), ma sono generalmente elevati, con giuristi principianti che possono guadagnare da 2.000 a 5.000 euro al mese e stipendi più alti per i magistrati, anche se cifre precise per i giudici non sono facilmente disponibili pubblicamente. Gli stipendi si basano sulle griglie della funzione pubblica europea e aumentano con l’anzianità, passando da 2.600 euro per il personale esecutivo a oltre 18.000 euro per alcuni alti funzionari.
Il problema, va precisato, non risiede nel fatto che le persone competenti siano pagate bene, com’è giusto che sia, ma che svolgano bene il proprio lavoro e soprattutto che ci sia trasparenza sui salari. Dei risultati delle politiche di Von der Leyen e Lagarde i giudici non sono esattamente entusiastici, ma il conto lo pagano, come al solito, i cittadini europei.
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