2020-04-10
«Medici e infermieri sono a rischio. Su di loro il vaccino Tbc può servire»
Andrea Crisanti (TEDxWarwick)
Il virologo Andrea Crisanti: «La profilassi anti tubercolosi dà un'immunizzazione massiccia, per questo testarla su un gruppo esposto come i sanitari non sarebbe male. I bambini dimostrano che soffrono meno il Covid».Il ruolo della tubercolosi nel proteggere dall'infezione da coronavirus non è escluso, ma richiede tempo per la verifica. Se si vuole ripartire, servono (perché non ci sono) i dati reali sulla situazione dei contagiati in Italia, secondo quanto riferisce alla Verità uno dei massimi esperti in materia, Andrea Crisanti, professore di epidemiologia e virologia presso l'azienda ospedaliera-Università di Padova e già professore di parassitologia molecolare all'Imperial College di Londra. Negli ospedali sono pochi gli immigrati e gli africani con Covid-19. Crede che l'esposizione a malattie tropicali e in particolare alla tubercolosi sia un fattore determinante nel dare a queste persone un assetto immunitario ostile al coronavirus?«Sicuramente la Tbc dà una immunizzazione massiccia, cioè stimola il sistema immunitario in modo da poter reagire più efficacemente. Il fatto che anche la vaccinazione contro questo micobatterio possa proteggere dall'infezione da coronavirus ha una valenza sul piano teorico, ma non è ancora provato».Su che basi scientifiche il vaccino per la Tbc ha dimostrato di ridurre il rischio di infezioni?«Il fatto che i bambini siano protetti dal coronavirus ci dice che l'assetto del sistema immunitario è importante, ma questo si può ottenere non solo con il vaccino per la tubercolosi, ma anche, ad esempio, con quello del morbillo. I bambini vaccinati si ammalano meno, anche di Covid. I neonati, invece, che non hanno ancora iniziato le vaccinazioni, hanno un rischio più alto di infezione. Non abbiamo però studi in proposito».Nei pazienti con Covid stiamo usando farmaci anche solo testati in laboratorio. Questo vaccino per la tubercolosi, di cent'anni fa, è poco costoso e non ha particolari effetti collaterali. In attesa di quello per il Sars-Cov2, lo si potrebbe utilizzare per proteggere la popolazione dal coronavirus? «C'è un problema etico: un conto è dare, in mancanza di terapie specifiche, farmaci sperimentali a persone malate; un altro è somministrare, in persone sane, un vaccino la cui attività richiede tempi variabili di risposta protettiva e di cui è anche più complessa la verifica di efficacia, visto che siamo sul piano della prevenzione». In Olanda, Germania e America stanno partendo degli studi con l'impiego del vaccino per la Tbc. In Australia, ad esempio l'hanno somministrato in 4.000 operatori sanitari. Se funzionasse contro il Covid si potrebbe tornare prima alla normalità?«Questo aspetto merita attenzione. Lo vedrei molto bene su una popolazione a rischio, come il personale sanitario che, tra l'altro, sarebbe esposto sia alla Tbc che al Covid. Certo, bisognerebbe pensare bene a come fare lo studio e reclutare il personale perché il campione fosse omogeneo. Su base volontaria, però, si potrebbe inoculare a medici e operatori del settore sanitario».Da un mese l'Italia è bloccata a casa e la riapertura non sembra così vicina. Ogni giorno che passa aumentano i problemi psico-sociologici e i danni economici. Non potrebbero intanto riprendere le attività coloro che sono immunizzati, cioè che da positivi sono diventati negativi, o quelli che dimostrassero, con i test sierologici, di avere gli anticorpi per il Sars-Cov2? «Non sappiamo ancora molto sulla durata dell'immunizzazione. I test sierologici attuali, inoltre, hanno ancora qualche problema».Anche sul piano dei farmaci i risultati non sono entusiasmanti. «Le terapie più efficaci, al momento, sono la clorochina (antimalarico) con l'azitromicina (un antibiotico) che, in associazione, interferiscono con alcuni processi e rallentano la moltiplicazione del virus».In assenza di cure e di test attendibili, anche se la curva del contagio cala, siamo condannati a restare ancora mesi a casa?«La ripartenza è possibile e anche non troppo in là nel tempo».Come?«È una scelta politica».Certo, ma abbiamo imparato che è meglio se la politica ascolta gli esperti. Lei ha un piano per sbloccare la situazione?«Ci servono i numeri reali dell'incidenza, cioè il rischio di contagio, su base quotidiana. È il dato che ci manca».Ogni giorno alle 18 c'è il bollettino della Protezione civile.«Abbiamo bisogno dei dati reali della situazione e questi si ottengono facendo più diagnosi, cioè più tamponi, e tracciando i contatti dei positivi. Servono diagnosi, intercettazione dei possibili contagiati e mascherine per neutralizzare sul nascere i focolai».Facciamo fatica ad avere le mascherine: crede che ci doteremo di una app per segnalare i possibili contagiati?«Non lo so, ma al momento, se vogliamo uscirne, dobbiamo tracciare i contatti e isolare i positivi per bloccare il contagio».A proposito di positivi, nello studio che ha realizzato a Vo' Euganeo - il paese di 3.000 anime nel Padovano dove è stato scoperto e spento il primo focolaio veneto di Covid - dai dati raccolti con i tamponi fatti all'inizio dell'epidemia e dopo due settimane a praticamente tutta la popolazione, ha visto interi nuclei familiari positivi e asintomatici. Ha scoperto il motivo di questa resistenza?«Non ancora, ma ci stiamo lavorando e siamo fiduciosi: i dati dicono sempre qualcosa».
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson