2021-10-26
I media hanno insabbiato la notizia: è la cronaca giudiziaria dello struzzo
Enzo Vecciarelli (Ansa-iStock)
Nel resto del mondo i giornali farebbero a gara a pubblicare nuovi dettagli: in Italia è invece calato il silenzio sul nostro scoop. Per ben altre inchieste, però, le implacabili sentenze a mezzo stampa sono arrivate subito.Ma se in America il capo di Stato maggiore dell'esercito risultasse indagato, la cosa potrebbe essere taciuta o nascosta da Wall Street Journal, Washington Post e New York Times? Sarebbe impensabile. O se a Londra venisse fuori la notizia di un'inchiesta a carico del Chief of the general staff, cioè del capo di Stato maggiore del British Army, in quel caso Times, Telegraph e Guardian (anche qui citiamo testate di orientamento politico e culturale tra loro opposto) potrebbero censurare e occultare tutto? Sarebbe incredibile, anzi unbelievable.In qualunque Paese dell'Occidente avanzato, davanti a una notizia di questo tipo, i media scritti e audiovisivi non avrebbero un solo istante di esitazione a pubblicare tutto con massima evidenza, ad aprire la discussione, a offrire all'opinione pubblica il maggior numero possibile di elementi di conoscenza. Di più: partirebbe una gara tra i giornalisti investigativi di punta delle diverse testate per aggiungere dettagli, per superarsi reciprocamente nel dare seguito all'inchiesta, per costringere i concorrenti a «bucare» nuovi e scottanti particolari. Come si dice in questi casi: ci sarebbe una corsa per «coprire» la storia, nel senso di non lasciarla giornalisticamente scoperta.E qui da noi invece? Pure nel nostro caso si può parlare di «copertura», ma nel senso - diametralmente opposto - di un enorme lenzuolo, di un gigantesco velo (non sapremmo dire quanto «pietoso») steso per impedire che il fatto sia materialmente visto da lettori e telespettatori.Ricapitoliamo. La Verità, per tre giorni consecutivi (oggi è il terzo giorno dell'inchiesta), pubblica la notizia, documentata e circostanziata, dell'inchiesta in corso sul capo delle Forze armate italiane, il generale Enzo Vecciarelli. Per sovrammercato, l'effettiva esistenza dell'indagine è stata confermata dall'interessato, che naturalmente ha fornito - com'è sacrosanto dal suo punto di vista - la sua versione e la sua interpretazione dei fatti, ovviamente sostenendo la linearità dei suoi comportamenti.Dov'è l'anomalia, allora? Nel non voluto «monopolio» che tuttora La Verità vanta sul lato giornalistico dell'inchiesta. A meno di nostri errori e omissioni, la censura, altrove, è stata infatti pressoché generale e sistematica. Nulla, neanche una proverbiale «breve», è comparsa sulla stragrande maggioranza delle testate, ad eccezione di uno spazio molto contenuto sul Messaggero e di uno ancora più ristretto sul Corriere della sera. Anche dotandosi di una potentissima lente di ingrandimento o di un microscopio ad alta precisione, l'eventuale curiosità dei lettori sarebbe rimasta delusa.Tutto ciò è forse spiegabile, ma non per questo può risultare giustificabile. Troppe volte abbiamo sentito ripetere la battuta secondo cui i media dovrebbero essere cani da guardia a favore del cittadino rispetto al potere costituito e non cani da compagnia rispetto ai potenti in carica. Giudichi ciascuno cosa stia succedendo in queste ore: con simpatia per ogni tipo di quadrupede, nel nostro caso il rischio è di non vedere nemmeno l'ombra di un pastore tedesco, ma solo una lunga fila di chihuahua o di cani da grembo.Né si tratta di evocare il garantismo contro il giustizialismo. Si può, anzi si deve essere garantisti; si può, anzi si deve ricordare il principio sacro della presunzione di innocenza di qualunque cittadino fino all'eventuale condanna definitiva. Ma ciò non può esentare i media dal dare le notizie, sia pure con la cautela e le accortezze più appropriate. Senza dire che, per moltissime delle testate in edicola, non ricordiamo certo trattamenti in guanti bianchi nei confronti di altri indagati: semmai, senza alcun riguardo garantista, ricordiamo «sentenze mediatiche» emesse istantaneamente e senza appello. Lungi da noi sollecitare comportamenti di questo tipo: ma il doppio standard (feroci con alcuni, silenziosi e ossequiosi verso altri) è così evidente da risultare accecante.E la contraddizione è ancora più stridente se consideriamo i fiumi di inchiostro spesi, da parte dell'informazione «ufficiale», per un verso contro le testate alternative al mainstream e per altro verso contro i media online, tra crociate anti fake news, comitati di esperti (veri o presunti), e lezioni impartite (più o meno ex cathedra, con sussiego e perentorietà, sempre con aria sacerdotale e dogmatica) da vari «pontefici» del giornalismo più paludato. E ora che si fa, da quelle parti? Si nascondono le notizie scomode?Verrà il giorno in cui, sine ira et studio, occorrerà mettere in fila sia le notizie nascoste sia le campagne di sistematica disinformazione condotte in questi anni proprio dalle corazzate dell'informazione, dai media verso cui il cittadino era naturalmente indotto ad avere fiducia e rispetto: sulle banche, sull'Europa, contro Brexit, solo per fare tre esempi. Occorrerà aggiungere anche un ampio capitolo sulla copertura selettiva e intermittente delle inchieste giudiziarie.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi
La commemorazione di Charlie Kirk in consiglio comunale a Genova. Nel riquadro, Claudio Chiarotti (Ansa)