2023-02-10
Il sogno di Mattei: contare in Europa rinnovando la «grande armata» Eni
Enrico Mattei (Getty Images)
Il fondatore avrebbe voluto non limitarsi agli idrocarburi, ma creare l’Ente nazionale energia. Per rilanciare nel continente (e poi nel mondo) l’Italia. Seguendo due pilastri: costruire infrastrutture e una classe dirigente. Pubblichiamo un articolo di Alessandro Aresu, membro del consiglio scientifico di Limes, collabora con Gnosis, Aspenia e Civiltà delle macchine. Autore di L’interesse nazionale, la bussola dell’Italia, coautore Luca Gori, ambasciatore per l’Italia a Belgrado, Le potenze del Capitalismo politico e Il dominio del ventunesimo secolo. Ha svolto e svolge attività con varie istituzioni tra cui presidenza del Consiglio, ministero dell’Università e Ricerca e dicastero dell’Economia.Il 10 febbraio 1953 è la data di nascita dell’Ente nazionale idrocarburi (Eni). La legge numero 136, con 29 articoli e due allegati, delinea le prospettive della creatura di Enrico Mattei. La premessa di quest’evento è un capitolo importante della nostra storia civile: Mattei imprenditore e politico democristiano, era stato nominato nel 1945 commissario dell’Agip, l’Azienda generale italiana petroli nata nel 1926, con l’incarico di procedere alla sua liquidazione.Nel confronto con le persone che lavoravano per Agip, definita scherzosamente già durante il fascismo «Agenzia gerarchi in pensione» per indicare la sua inutilità, Mattei aveva maturato un’opinione completamente diversa. Aveva iniziato a vedere negli idrocarburi e nell’energia una potente leva della rinascita industriale italiana, un elemento di aggregazione in un Paese ferito e indebolito. Già in Agip, Mattei aveva valorizzato le grandi competenze italiane in campo geologico e chimico e aveva maturato una crescente ambizione, non solo nell’ambito nazionale ma anche in politica estera.La nascita dell’Ente nazionale idrocarburi risponde a quest’ambizione, quest’ossessione del rilancio nazionale, con cui Mattei diviene uno dei grandi protagonisti della vita italiana. Allo stesso tempo, è anche una storia istituzionale e legislativa, che lo vede lavorare al fianco di Alcide De Gasperi, il quale sposa il progetto, e soprattutto di Ezio Vanoni, un padre della Repubblica oggi dimenticato, ministro delle Finanze e amico fraterno di Mattei, grande protagonista della stagione delle riforme degli anni Cinquanta prima della sua prematura scomparsa nel 1956, dopo aver pronunciato un accorato discorso in Senato.Il ricordo del settantennale dell’Ente nazionale idrocarburi, oltre all’importanza di quella stagione fondamentale, suscita alcune riflessioni sull’impronta di Enrico Mattei, sulla profonda attualità dei suoi insegnamenti e dell’esempio della sua vita, spezzata da un attentato di cui non sono mai stati individuati i mandanti, e forse mai lo saranno. Dall’istituzione di Eni, Mattei ha davanti a sé meno di dieci anni di azione, in una stagione molto felice per l’economia italiana. In quel periodo, comunque lungo per i nostri standard, è in grado di conseguire importanti risultati, sul piano nazionale e internazionale. A livello interno, la prospettiva di Mattei ha due pilastri lungimiranti: l’ossessione per la realizzazione di infrastrutture e la costruzione di una classe dirigente. Mattei impegna le realtà industriali pubbliche in un grande progetto di infrastrutturazione dell’Italia, che ha anche caratteristiche «violente» perché, per rispondere alle necessità di una società in cambiamento, bisogna fare in fretta, senza essere bloccati da veti. Quel lavoro dimostra l’importanza delle infrastrutture per creare occupazione e benessere in un Paese povero, che cerca di rialzarsi. Inoltre, le persone sono al centro del progetto di Mattei, sia nelle strutture organizzative dell’Ente sia nella volontà di attirare giovani brillanti e promossi velocemente a dirigenti. Inoltre Mattei, che ha un chiaro orientamento politico, è forse la persona della storia d’Italia che ha voluto lavorare meglio con gli altri a prescindere dalle loro convinzioni. Come consulenti e collaboratori, trattiene e attira democristiani, socialisti, fascisti, comunisti. Se l’ex banchiere del Reich, Hjalmar Schacht, poteva essere utile per i progetti energetici in Baviera, Mattei era ben felice di lavorarci. Così come ha mandato il brillante giornalista comunista Mario Pirani a Tunisi come alto ufficiale di collegamento con l’Algeria. Questo era possibile perché la forza di un progetto nazionale funzionava come un magnete, un centro di passione più forte delle varie differenze. Questa prospettiva si riflette anche nel rapporto essenziale tra energia e politica estera, che per Mattei risponde a un doppio schema: l’uscita dell’Italia da alcune limitazioni dello status di Paese sconfitto dalla Seconda guerra mondiale; la volontà di usare l’opportunità della decolonizzazione per fare gli interessi nazionali. Qui si inserisce l’attivismo di Mattei in quello che oggi definiremmo Mediterraneo allargato e in Africa: un elemento fondamentale del suo progetto, ripreso oggi dall’idea di un «Piano Mattei» dell’attuale governo. Ora, non dobbiamo pensare che Mattei volesse distruggere i rapporti di forza dell’energia a livello mondiale. Però voleva di certo cambiarli, visto che cercava un ruolo per l’Italia, che ne era priva. In quest’azione c’erano anche limiti, finanziari e geopolitici. La ricerca storica, al di là di documenti occasionali che non meritano troppa attenzione, ha per esempio mostrato che, all’inizio degli anni Sessanta, Mattei cercava la riconciliazione con Washington.Il fulcro di quella debordante ambizione erano sempre le persone. Pensiamo, per esempio, alla Scuola di studi superiori sugli idrocarburi, un progetto avviato da Mattei per formare quadri e tecnici dell’energia. Non solo italiani ma anche futuri «ambasciatori» in altri Paesi. Nei discorsi alla Scuola degli anni Cinquanta, in cui Mattei espone la sua strategia e in cui sciorina i numeri di tutte le tipologie di tecnici che ha assunto, descrive così il suo Ente: una «grande armata in movimento, che si estende dappertutto, in Italia, nella Valle Padana, nel Centro, nel Sud, in Sicilia, nel mare, in Persia, nel Sahara marocchino e potete essere certi che raggiungerà anche altri Paesi». Pertanto, quello di Mattei è l’esempio più alto di un’ambizione internazionale che si ritrova anche in altre esperienze italiane dimenticate, per esempio le collaborazioni con l’Africa avviate dal banchiere Giordano Dell’Amore. Mattei avrebbe continuato a rilanciare: pensava a un Ene, Ente nazionale dell’energia, per contare ancora di più a livello europeo ed era un grande sostenitore della capacità nucleare italiana, nei tragici anni Sessanta colpita anche dal trattamento riservato a Felice Ippolito.Mattei portò l’Eni nel mondo pensando sempre all’Italia. A una certa idea dell’Italia. Era un provinciale marchigiano, orgoglioso di esserlo. Aveva il gusto dell’Italia interna, dei suoi paeselli. Anche se Milano è stata importante per la sua crescita, sapeva che l’Italia non è né sarà mai ridotta ai grandi centri urbani. L’Italia è fatta diversamente. E Mattei voleva e sapeva portare cambiamento senza inventare modelli astratti.Anche gli aspetti scherzosi del suo radicamento territoriale, a partire dall’acronimo Snam sui dipendenti marchigiani («Siamo nati a matelica»), parlano di questa passione. È ragionevole pensare che anche per questa ragione sia così amato e citato, e continuerà a esserlo. Soprattutto, come gli uomini veramente grandi, Mattei ha dedicato la sua vita a un progetto in grado di sopravvivergli. Il settantennale della sua impresa dedicata all’Italia ci parla ancora di questa impronta unica.
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