2021-01-01
Mattarella ringrazia Ue e Papa. Glissa sul governo
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Sergio Mattarella prima della diretta di fine anno (Ansa)
Quattordici lunghissimi minuti di tradizionale predica, resa ancora più retorica dal Coronavirus. Così, Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno non ha risparmiato nulla di ciò che si poteva agevolmente immaginare. Intanto, il consueto repertorio eurolirico, omettendo di menzionare la fuga in avanti tedesca sui vaccini. Elogi sperticati a Bruxelles, capace di compiere un balzo in avanti, con l'Italia definita "protagonista in questo cambiamento" rispetto alle risposte inadeguate che l'Europa diede anni fa alla crisi finanziaria. Sul fronte interno invece un astuto tentativo di muoversi su due binari: Conte potrà ricavarne la sensazione di essere stato implicitamente puntellato dalla richiesta presidenziale di unità, ma Matteo Renzi e gli avversari del premier potranno obiettare che da parte del Capo dello Stato non sia giunta alcuna difesa esplicita del governo, anzi nemmeno una marginale menzione.Quattordici lunghissimi minuti di tradizionale predica, resa ancora più retorica dal Coronavirus. Così, Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno, con mascherina ben in vista sul leggio, non ha risparmiato nulla di ciò che si poteva agevolmente immaginare. Intanto, il consueto repertorio eurolirico, omettendo di menzionare la fuga in avanti tedesca sui vaccini. Dal Capo dello Stato sono giunti elogi sperticati a Bruxelles, capace di compiere un balzo in avanti, con l'Italia definita "protagonista in questo cambiamento" rispetto alle risposte inadeguate che l'Europa diede anni fa alla crisi finanziaria.Poi, una ricostruzione edulcorata e assolutoria di quest'anno di emergenza. Mattarella ha ammesso i "limiti e i ritardi italiani", ha aggiunto che "ci sono stati anche errori", si è retoricamente chiesto se si potesse fare di più, ma poi si è affrettato a precisare che "non si può ignorare quanto è stato fatto di buono". Una evidente copertura offerta al governo e alla struttura commissariale. È pur vero che però il ringraziamento esplicito di Mattarella è arrivato solo per medici e infermieri, per le Forze armate, e, su un piano diverso, per il Papa. Dunque, nessuna menzione espressa del governo. È parso per alcuni versi elusivo anche il racconto dei mesi passati, con il virus definito "sconosciuto e imprevedibile" (senza citare mai le responsabilità di Pechino) e l'incomprensibile richiamo al "diffuso rilassamento" estivo degli italiani, con quella che Mattarella ha definito "l'illusione dello scampato pericolo". Come se fosse colpa dei cittadini aver sprecato i mesi estivi per allestire terapie intensive e per preparare adeguatamente il sistema dei trasporti e il ritorno a scuola. Non è mancato un lungo passaggio sull'appello a vaccinarsi («Io mi vaccinerò appena possibile, vaccinarsi è un dovere e un atto di responsabilità»). Peccato che il Presidente abbia omesso di segnalare il clamoroso ritardo organizzativo che si annuncia in Italia, preferendo anche qui tenersi sul vago ("a tutti dovrà essere consentito di vaccinarsi") e celebrare la mitica solidarietà europea. Quanto al Recovery plan e agli interventi per la ripartenza, Mattarella ha evocato la necessità di "serietà, collaborazione, senso del dovere"; ha auspicato che la declinazione italiana del piano europeo sia "concreta, rigorosa, senza disperdere risorse: non bisogna perdere tempo, è qualcosa che i cittadini si attendono"), con relativo prevedibile invito all'"unità": "Non si tratta di annullare le diversità", ha aggiunto, ma di far valere le "convergenze di fondo".Insomma, politicamente parlando, un astuto tentativo di muoversi su due binari: Giuseppe Conte potrà ricavarne la sensazione di essere stato implicitamente puntellato dalla richiesta presidenziale di unità, ma Matteo Renzi e gli avversari del premier potranno obiettare che da parte del Capo dello Stato non sia giunta alcuna difesa esplicita del governo, anzi nemmeno una marginale menzione. In fondo, questo doppio registro interpretativo era già stato anticipato dagli spifferi contraddittori provenienti dal Colle negli ultimi quindici giorni. Il messaggio di Mattarella era infatti stato preceduto, la mattina del 30 dicembre, da un retroscena molto favorevole al governo Conte firmato dal quirinalista del Corriere della Sera, Marzio Breda. Breda, in una sequenza dettagliata, aveva attribuito al Colle l'esclusione di praticamente tutti gli scenari alternativi alla permanenza del Conte bis: no al rimpasto ("il suo timore è che, se si comincia a cambiare qualche mattone all'edificio del governo, poi venga giù tutto di colpo"), no alla sostituzione del premier (una "mission impossible"), no a due o tre vicepremier. E infine la classica evocazione dello scioglimento delle Camere ("le urne come inevitabile sbocco") come oggettivo modo per spaventare i peones. Dunque, un articolo volto - non sappiamo se rendendo un buon servizio al Presidente - a presentarlo come un difensore assoluto dello status quo, un puntellatore di Conte. Tuttavia, se questa impostazione fosse confermata, saremmo davanti a qualcosa di clamoroso: Conte si sentirebbe legittimato, in caso di defezione dei renziani, a cercare in Senato un manipolo di cosiddetti "responsabili", raccattando un pugno di parlamentari disposti a qualunque pastrocchio pur di prolungare la legislatura.Eppure, sempre tramite Marzio Breda, a metà dicembre, era giunto dal Quirinale un segnale completamente diverso, escludendo "disco verde a maggioranze raccogliticce e precarie", e accreditando cioè l'idea di una valutazione non solo strettamente numerica dell'eventuale sostegno a un esecutivo. Nel momento in cui, ed è la storia delle ultime trentasei ore, la tensione tra Renzi e Conte è di nuovo al suo massimo, con il premier che ha chiamato il fiorentino allo showdown in Parlamento, e il secondo che ha fatto filtrare l'intenzione di "andare fino in fondo", lo scenario di una conta in Senato si fa più concreto. E a quel punto, se davvero Conte ce la facesse, ma solo attraverso una caccia un po' disperata all'ultimo senatore, che farebbe il Colle? Si accontenterebbe di una fiducia rimediata così o prenderebbe atto dell'oggettivo esaurimento di un'esperienza politica? A quale delle due linee darebbe effettivamente corso?La sensazione è che Mattarella si sia tenute aperte tutte le strade. E forse la risposta a questi quesiti non verrà solo dal Quirinale. Da giorni, e se ne è fatto interprete Paolo Gentiloni in una intervista di peso su Repubblica, anche a Bruxelles si manifesta nervosismo verso la paralisi del governo italiano. E se pure i danti causa europei fossero davvero irritati e delusi, la navigazione di Conte si farebbe sempre più difficile.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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