2023-04-20
Mattarella detta la politica estera ma rischia di fare il gioco di Parigi
Il capo dello Stato auspica una maggiore integrazione europea (in contrasto col voto degli italiani) e rilancia la difesa comune cara all’Eliseo. In Africa però l’Italia persegue meglio i suoi interessi in accordo con la Nato.Nel corso della sua visita in Polonia, parlando all’Università di Cracovia, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è tornato su un grande classico del suo repertorio: l’appello per una difesa comune europea, che il capo dello Stato ha posto in connessione con una spinta per una più complessiva e intensa integrazione in Ue. Ecco le parole testuali di Mattarella: «Guardiamo a come rendere concreta la prospettiva dell'autonomia strategica dell’Ue […], consapevoli che questo significa rafforzare ulteriormente, e non indebolire, le nostre alleanze […]. Del resto, le stesse somme destinate al rafforzamento della difesa dai singoli Paesi della Ue […], se messe a fattor comune, diverrebbero un volano ineguagliabile a vantaggio anche dell’Alleanza Atlantica. Ma è necessario superare con coraggio e lungimiranza le contraddizioni di voler puntare, da un lato, a una solida cornice di difesa europea senza saper superare, dall’altro, le timidezze di chi esita ad avanzare sulla strada dell’integrazione».E già qui sorgono – con rispetto – almeno quattro ragioni di perplessità.La prima è di metodo. Ferme restando le competenze in materia di difesa che l’articolo 87 della Costituzione indubbiamente conferisce al presidente («Ha il comando delle Forze Armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere»), le scelte strategiche (e politicissime) di politica estera e di sicurezza non possono essere tuttavia sottratte al governo. Dunque, il Quirinale dovrebbe preoccuparsi di non invadere gli spazi dell’esecutivo e del Parlamento, e di non dettare linee autonome di politica internazionale.Le altre perplessità sono di merito. La seconda ha a che fare con l’obiettivo di una più intensa integrazione europea complessiva auspicata da Mattarella, ben al di là della difesa. Non risulta che l’attuale maggioranza politica sia orientata in questo senso (né risulta che gli italiani abbiano di recente votato per premiare programmi e partiti che chiedono «più Europa»). Anzi, storicamente, il gruppo europeo (Ecr) presieduto da Giorgia Meloni ha una linea opposta: sì a un modello confederale rispettoso delle differenze nazionali, no a un eccessivo accentramento ultrafederalista verso Bruxelles.La terza perplessità ha a che fare specificamente con un’idea molto spinta di difesa comune europea. Va dato atto al capo dello Stato, in questa occasione, di avere scelto con cura le parole, e di aver cercato di conciliare l’obiettivo europeo con l’appartenenza alla Nato. E tuttavia, con realismo, come si fa a non vedere che una difesa autonoma dell’Ue sarebbe esposta a una deriva ben diversa (si pensi alle recenti sortite di Emmanuel Macron), e cioè a un posizionamento “terzo” tra Nato e potenze euroasiatiche? E ancora, quarto punto: come si fa a non vedere che i diversi interessi nazionali sono difficili da comporre? Vogliamo far finta che Roma e Parigi abbiano i medesimi obiettivi su tutto, anziché essere in competizione in molti ambiti (dall’Africa all’energia)? Resterebbe dunque la domanda di sempre: un eventuale strumento comune di difesa al servizio di quali obiettivi di politica estera opererebbe? Chi deciderebbe le priorità? È fin troppo facile comprendere che, se il metaforico timone fosse in mani francesi o tedesche, sarebbero quei Paesi a dettare la linea. Un’altra parte dello speech di Mattarella è stata dedicata alla questione africana: «L’Unione europea ha svolto una preziosa funzione sul fronte mediterraneo ed africano. L’attenzione, richiamata anni fa dinanzi all’emergere di fenomeni di terrorismo islamista, lascia oggi luogo a una negligente e pericolosa distrazione». E ancora: «Quello del confine mediterraneo è tema che non riguarda solo i Paesi europei che vi si affacciano. E l’obiettivo di un partenariato più fecondo e più solido tra Unione europea e Unione africana, è una scelta lungimirante, in grado di anticipare tensioni e di contribuire alla causa della pace».Ora, se il tema è un maggiore impegno dell’Ue sia nella collaborazione economica con i Paesi africani sia nel prevenire l’immigrazione irregolare (e su un altro piano il terrorismo), ben venga. Anzi, farebbe bene il Quirinale a sollecitare Bruxelles a dare seguito ai positivi impegni assunti dall’Ue nel penultimo Consiglio europeo, quello di febbraio, quando l’Unione, su impulso della Meloni, si è posta il tema della difesa dei confini esterni, anche riconoscendo la specificità dei confini marittimi. Tuttavia, su un altro piano, non si può far finta di non vedere che (come Giorgia Meloni ha ben chiaro) i piani italiani per una maggiore influenza in Africa e sull’energia sono realizzabili soprattutto in ottica Nato, e cioè tentando di fare noi sul fianco Sud dell’Alleanza ciò che la Polonia si è efficacemente ritagliata come ruolo a Nord-Est. Tra l’altro, proprio quella rilevanza di Varsavia in ambito Nato è diventato il miglior giubbetto antiproiettile per i polacchi contro i colpi che in passato Bruxelles e Parigi avevano cercato di sparare contro il loro governo, contestando la riforma della giustizia e minacciando Varsavia di sanzioni. Se l’Italia (che ha un’economia molto più forte di quella polacca ed è membro del G8) tenterà di usare la leva Nato per pesare di più in Nord Africa e nella partita energetica, ciò sarà oggettivamente in conflitto con le eterne ambizioni francesi e tedesche. Fingere – come fanno gli eurolirici – che non sia così e che l’Ue sia un grande giardino dove tutti si vogliono bene è una pia illusione.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)