2024-09-05
Punk capitalismo: ascesa e declino del matrimonio fra controculture e multinazionali
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Dipendenti di Google al Googleplex di Mountain Wiew, California (Getty Images)
Un saggio di qualche tempo fa preconizzava la fusione di mode alternative giovanili e libero mercato. Qualcosa, però, nel frattempo è andato storto.Non è invecchiato benissimo Punk capitalismo, il saggio di Matt Mason che nel 2008 annunciava l'avvento di un modello in cui l'economia di mercato si fondeva con le controculture, in cui hacker e artisti di strada entravano nelle multinazionali. Basti pensare che Mason è stato una firma importante di Vice e che proprio la rivista canadese era presentata, nel libro, come esempio lampante di punk capitalismo. Vice, però, ha dichiarato bancarotta nel 2023, dopo una serie di investimenti decisamente troppo ambiziosi e una serie di episodi poco edificanti. Tanto basta a confutare le tesi del saggio? No, ma, come vedremo, c'è qualcosa nella parabola di Vice che in effetti ben esemplifica quali siano i vicoli ciechi in cui un certi modello rischia di andare a cacciarsi.Ma torniamo alla definizione: che cos'è il punk capitalismo? Scrive Mason: «Gli slogan antiestablishment sono diventati un segno di riconoscimento dei grandi brand interessati a promuovere se stessi dando l’impressione di volerci emancipare attraverso l’estetica del Diy [“do it yourself” – ndr]. “Image Is Nothing”, dice la Sprite con tono di sfida, vendendo bevande gassate. “Go Create”, ci esorta la Sony. “Don’t Be Evil”, consiglia Google. “Have It Your Way”, grida Burger King. “Just Do It”, ruggisce la Nike. Alle folle che si radunano tutte le volte che apre un nuovo punto vendita, la Apple dice: “Think Different”, e poi organizza seminari Diy per gli utenti Mac, insegnando loro come sfruttare software musicali dal nome vagamente punk come GarageBand».È una tendenza segnalata anche dal sociologo Vanni Codeluppi: «Per rendere efficaci le loro strategie di “bio-branding”, le imprese cercano di sintonizzarsi con le principali tendenze in corso nella cultura sociale. Negli Stati Uniti, ciò è avvenuto già nel corso degli anni sessanta, quando di fronte alla contestazione del sistema industriale e capitalistico da parte di numerosi giovani, le imprese, anziché combatterli, hanno cercato di “incorporarli”. […] Le imprese hanno dunque sfruttato la ribellione giovanile per vendere i loro prodotti e rivitalizzare la loro comunicazione, proponendo la marca come soluzione dei problemi personali».I giganti della Silicon Valley hanno forse segnato il punto più «punk» della storia del capitalismo, riempiendo gli uffici di giovani vestiti in modo informale, ma anche di videogiochi e altri passatempi per stimolare la creatività e creare un ambiente di lavoro non ingessato. Lo stesso Mark Zuckerberg, quando era il ragazzo d’oro del capitalismo americano, ha indossato per anni solo felpe col cappuccio, fregandosene delle convenzioni e del bon ton.Cosa è andato (parzialmente) storto, allora, in questo modello? Un indizio ce lo aveva dato Frank Zappa, in una sua famosa intervista, in cui spiegava: «Quello che accadeva negli anni '70 è che la musica più inusuale e sperimentale veniva registrata e veniva pubblicata. Ora, provate a dare un'occhiata a chi erano i produttori di quei tempi: non erano giovani alla moda. Erano vecchi col sigaro, che guardavano il prodotto che arrivava e dicevano “Che ne so? Non ho idea di cosa sia. Registriamolo e pubblichiamolo, se poi vende, bene!”. Stavamo molto meglio con quei tizi, invece che con questi giovani produttori esperti, che decidono cosa le persone devono vedere e ascoltare sul mercato. I giovani sono più conservatori e più pericolosi per l'arte dei vecchi col sigaro».Il punk capitalismo nasce dalla constatazione che nelle controculture giovanili c’era energia, dinamismo, inventiva, creatività, oltre che una naturale propensione alla viralità. Era naturale che il capitalismo cercasse di intercettare questo flusso, dato che le potenzialità economiche di una simile dinamica sono evidenti. I problemi sono sorti quando le controculture, forse proprio in seguito a questa istituzionalizzazione, si sono irrigidite. I punk sono diventati sorveglianti, i pirati hanno cominciato a mettere un’infinità di paletti. Le controculture funzionavano perché, in una società di divieti e regole, raccoglievano coloro che dicevano «chi se ne frega». Da un certo punto in poi, però, le controculture hanno cominciato a darsi un tono impegnato e pensoso, dando la caccia a quelli che, nel resto della società, dicevano a loro volta «chi se ne frega» (in particolar modo a chi se ne fregava di certe battaglie minoritarie e ideologiche). Proprio la deriva di Vice è significativa in questo senso: nata come rivista corsara che parlava seriamente di cose sciocche e scioccamente di cose serie, a un certo punto era diventata una specie di parodia in cui sentinelle etiche con i capelli fucsia giudicavano e sanzionavano il resto della società retrograda. Ma un punk che ti fa la morale, ti mette delle regole o cerca di tacitarti non è più un punk. Meglio tornare ai vecchi col sigaro.
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