2025-04-01
Il martirio di Bulgakov sotto Stalin è una lezione per i pensatori liberi
Esattamente un secolo fa lo scrittore russo vive il suo anno fatale: all’apice della popolarità, conosce il peso della censura comunista. Non piega la testa, ma la sua opera è silenziata. Oggi il suo esempio è più vivo che mai.Per Michail Bulgakov (1891-1940), il 1925 fu un anno fatale. Per cominciare, era ancora vivo non soltanto come essere umano ma - faccenda che gli interessava di più - come scrittore. Aveva da poco completato il racconto fantastico-satirico Diavoleide (che torna ora in libreria in edizione economica per Feltrinelli) e si accingeva a licenziarne altri dello stesso registro: Cuore di cane e Le uova fatali. Allo stesso periodo di fervente creatività risalgono pure il romanzo la Guardia bianca e gli Appunti di un giovane medico. Aveva appena divorziato dalla moglie Tatiana, che tuttavia continuava a vivere sotto lo stesso tetto con lui e il suo nuovo amore, Ljubov’ Belozerskaja, che sarebbe poi divenuta la seconda moglie. Solo tempo dopo avrebbe incontrato Elena, la donna che gli sarebbe stata a fianco fino alla fine dei suoi giorni come terza moglie (e anche a lei, sembra, Michail propose di condividere l’alloggio con la cara Ljuba). Il 1925, tuttavia, è anche l’inizio della persecuzione. Un attimo prima, Bulgakov è un autore che si fa notare e ottiene apprezzamenti. Viene celebrato per il suo talento, è corteggiato da registi teatrali che gli propongono di mettere in scena La guardia bianca, il Bolshoi gli compra le commedie, le raccolte di articoli e racconti satirici vengono stampate con entusiasmo. Ma un istante dopo, il vuoto. Dopo il 1925, Michail Bulgakov, uno dei più grandi scrittori di ogni tempo, non pubblicherà più nulla. Cuore di cane diviene «improponibile», i suoi libri vengono ritirati, le riviste si accaniscono con ferocia contro di lui, i recensori iniziano a definirlo un reazionario che dovrebbe essere rieducato a suon di botte, i lavori teatrali vengono letti e commentati dagli addetti ai lavori, ma regolarmente rifiutati. I giorni dei Turbin, il dramma tratto da La guardia bianca, è definito una apologia del nemico di classe. Bulgakov diviene un morto che cammina, il suo orizzonte è l’appartamento di Mosca in cui convive con la moglie di turno. Non è ricco, non può pubblicare, ma non rientra nel novero degli «scrittori proletari», dunque la sua voce va cancellata: peggio, il «bulgakovismo» va letteralmente estirpato dalla letteratura sovietica. Nel 1926 subisce la prima perquisizione, nel 1929, disperato, Michail indirizza una intensa lettera a Stalin: «Sono dieci anni dacché ho iniziato a occuparmi di letteratura in Urss», scrive. «Tutte le mie opere hanno ricevuto giudizi terribili e malevoli, il mio nome è stato diffamato non solo sulla stampa periodica, ma anche in edizioni quali la Grande Enciclopedia Sovietica e l’Enciclopedia Letteraria. Incapace di difendermi, ho presentato richiesta per il permesso di andare all’estero, sia pure per un breve periodo. Mi è stato rifiutato». Bulgakov chiede di poter espatriare, ma di nuovo lo ignorano. Così, nel marzo del 1930, decide di scrivere una nuova lettera al governo dell’Urss. Un testo di incredibile e disperato coraggio. Qui scrive, tra le altre cose: «Lo riconosco. La lotta contro la censura, qualunque essa sia, e quale che sia il potere per il quale essa opera, è mio dovere di scrittore, così come anche l’appellarmi per la libertà di stampa. Io sono un fervente sostenitore di questa libertà e ritengo che se a un qualche scrittore venisse in mente di voler dimostrare che essa non gli occorra, non sarebbe diverso da un pesce che volesse dichiarare pubblicamente di non aver alcun bisogno dell’acqua». Gesto inaudito: uno scrittore censurato e maledetto invia ai suoi persecutori una lettera di spietata sincerità, in cui spiega di non potere in alcun modo firmare un’opera comunista, e prega di essere cacciato o, per lo meno, impiegato come regista in teatro. Sarà Stalin in persona - rara eccezione - a rispondergli con una telefonata: Bulgakov avrà il lavoro in teatro. Ma il prezzo è il silenzio totale, la morte in vita: «Il mio destino è strano e ingarbugliato. Adesso mi conduce al silenzio, e per uno scrittore questo equivale alla morte». In realtà, Bulgakov non fu messo definitivamente a tacere. Continuò a scrivere, benché inedito, e produsse uno dei più lucenti capolavori di ogni epoca: Il Maestro e Margherita. Alla stesura di questo libro immenso Michail lavorò per tutti gli ultimi anni della sua vita, dal 1928 al 1940. In quelle pagine riversò il disprezzo per la società letteraria moscovita e gli intellettuali di regime, ma riuscì ad andare molto oltre la satira. Scrisse un testo mistico, un’opera definitiva sul bene e il male. Il romanzo comincia con l’arrivo del Diavolo a Mosca. Satana in persona, il grande accusatore che in effetti disvela i peccati di tutti. Si comincia da quelli degli scrittori sovietici, arroganti sostenitori del progresso, la cui prima colpa è negare l’esistenza di Dio e del diavolo stesso: di questa incredulità fa le spese Berlioz, celebrato direttore di una rivista letteraria, che finisce decapitato da un tram, ucciso dalla tecnica. Ci sono poi i peccati della gente comune, che si fa corrompere dal denaro, dalle ambizioni, dal desiderio di potere. E infine il peccato più grande: la vigliaccheria. Quella dei russi - intellettuali in primis - che non hanno il coraggio di dire la verità, di ribellarsi al regime e di smascherarlo. E quella degli uomini tutti, che si piegano alle lusinghe del mondo.La viltà, l’indifferenza di fronte alla verità, è anche il peccato di Ponzio Pilato, protagonista di un romanzo nel romanzo. Nel libro, infatti, appare la figura del Maestro, scrittore perseguitato autore di un romanzo storico dedicato proprio al procuratore della Giudea. La vicenda di Pilato procede parallela al racconto della calata del demonio su Mosca, e le due storie si intrecciano anche se apparentemente senza toccarsi. Il bene e il male si inseguono e non possono che esistere insieme: ecco la lezione di Bulgakov. Occorre riconoscere l’esistenza del male e affrontarlo, luce e ombra si danno insieme e non possono essere negate. L’uomo è completo soltanto se le accoglie entrambe, se congiunge i due opposti, come del resto il Maestro può diventare realmente un eroe (grazie alla sua opera e nonostante la censura) tramite Margherita, incarnazione del femminile, personificazione dell’anima. I due opposti in congiunzione e equilibrio rendono piena la via, garantiscono l’immortalità.Il Maestro e Margherita fu pubblicato molti anni dopo la morte di Bulgakov, nel 1967. Sopravvisse all’autore che - nella depressione più cupa - aveva progettato di distruggerlo. Una volta uscito, ha consegnato Bulgakov alla Storia. Come Giobbe, egli ha patito pene mostruose, il demonio funestò l’intera sua esistenza. Lui, come un mistico, resistette: rifiutò la menzogna e dal suo silenzio in vita è scaturita una voce che ancora ci parla.
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