2018-05-23
Boris Johnson minaccia sanzioni per fermare le scorribande russe a Londra
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Nuove tensioni sull'asse Londra-Mosca dopo l'avvelenamento dell'ex spia sovietica Sergej Skripal e il visto negato al miliardario Roman Abramovič, patron del Chelsea. La commissione Affari esteri del Parlamento britannico accusa il Cremlino di usare la City per i «corrotti affari» dei complici di Vladimir Putin e minacciare la sicurezza del Regno Unito. Il ministro degli Esteri valuta nuove misure contro le persone vicine allo zar. Ma, come racconta l'esperto Mark Galeotti, è sempre più difficile distinguere l'uomo d'affari dal gangster-imprenditore agli ordini del presidente ex Kgb.A pochissime ore dalle dimissioni dall'ospedale di Sergej Skripal, il caso del tentato avvelenamento a Salisbury, nell'Sud dell'Inghilterra, a fine marzo dell'ex spia doppiogiochista sessantaseienne e della figlia trentatreenne Yulia che ha complicato le relazioni diplomatiche tra Regno Unito e Russia investe anche il mondo del pallone. Infatti, Londra non ha rinnovato il visto di ingresso al miliardario russo Roman Abramovič. Sarebbe questa la ragione per cui il proprietario del Chelsea non ha potuto assistere alla partita in cui la sua squadra sabato scorso ha vinto la Fa Cup, la coppa nazionale.Abramovič, cinquantunenne il cui patrimonio è stimato a 9,3 miliardi di sterline, avrebbe già tentato qualche mese fa la fuga in Svizzera, chiedendo la residenza - poi negata - a Verbier, e a Jersey, negli Usa - dove invece è stato accolto. Imprenditore che ha fatto la sua fortuna nel mondo delle materie prime e dell'energia dopo la caduta dell'Unione sovietica, il patron del Chelsea ha inoltre da diversi mesi spostato in Russia la società che controlla la squadra allenata da Antonio Conte. Secondo il quotidiano londinese Times, il club avrebbe cercato di minimizzare, parlando di un semplice ritardo burocratico. Ma, sottolinea il giornale, non c'è dubbio che il Cremlino veda negli ostacoli burocratici posti sulla strada di un uomo molto vicino al presidente Vladimir Putin un nuovo gesto di sfida di Londra a Mosca. Il tutto a un mese dall'espulsione di 23 diplomatici come risposta all'avvelenamento dell'ex spia sovietica con un agente nervino, dietro il quale Londra sospetta ci sia lo zampino di Mosca.Saranno anche lungaggini burocratiche ma forse non è soltanto una coincidenza se il mancato rinnovo del visto di Abramovič sia arrivato in un momento in cui il governo britannico sta rivedendo lo status di oltre 700 miliardari russi che risiedono nel Regno Unito. Un recentissimo rapporto della commissione Affari esteri del Parlamento di Londra afferma, infatti, che l'utilizzo della City di Londra come base per i «corrotti affari» dei complici di Putin farebbe parte della strategia della Russia per minare la sicurezza nazionale del Paese. Per questo il gruppo di lavoro nel suo report dal titolo L'oro di Mosca: la corruzione russa nel Regno Unito invita il governo a introdurre sanzioni contro la maggior parte delle persone legate alle strutture governative russe. Possibilità non esclusa dal segretario degli Esteri britannico, Boris Johnson, durante il G20 dei ministri degli Esteri in corso a Buenos Aires.Al report britannico ha risposto da Mosca Anton Morozov, membro del comitato della Duma per gli affari internazionali. Sibillino ha dichiarato all'agenzia di stampa del Cremlino Sputnik: «Il Regno Unito da noi è sempre stato percepito come un luogo dove finisce tutto il denaro rubato. Come regola generale, i beni illeciti vengono depositati proprio a Londra. Quindi, ad essere onesti, penso che se queste sanzioni molto dure contro i nostri truffatori e ladri che sono fuggiti con grandi somme saranno introdotte, ci daranno solo benefici». Così, mentre ringraziava Londra per la lotta al crimine Morozov l'accusava di essere il centro del crimine stesso.Dopo quello che a Mosca definiscono l'«incidente» occorso agli Skripal - lo stesso termine usato per descrivere le cause del ricovero in ospedale di Vladimir Uglev, uno degli scienziati russi che hanno sviluppato l'agente nervino usato a Salisbury, investito da un'auto sulle strade della cittadina di Anapa, sulle coste del Mar Nero - il primo ministro britannico Theresa May aveva promesso di imporre una stretta sugli investimenti russi nel suo Paese. Sul tema dell'operato criminale di alcuni russi all'ombra del Big Ben c'è un libro da poco pubblicato dai tipi di Yale che Misha Glenny, giornalista della BBC e autore di McMafia, ha definito un must read, indispensabile. Si intitola The vory: Russia's super mafia ed è stato scritto da Mark Galeotti, studioso dell'Istituto relazioni internazionali di Praga. In copertina un uomo corpulento, baffuto e tatuato. Il «vor» (al plurale «vory») è il «ladro in legge», l'esponente dell'élite criminale russa, quella che segue un codice d'onore, proprio come la mafia. «L'onore non si può togliere, si può solo perdere», scriveva Anton Čechov. Ai tempi dell'Urss erano criminali spietati pieni di tatuaggi, oggi nascondono i loro tatuaggi sotto camicie bianchi e sono diventati criminali globalizzati facenti parte, scrive Galeotti, in modo quasi ufficializzato mescolandosi con la nuova élite, dello Stato. «Gli anni Novanta sono stati i giorni di gloria dei gangster russi, tuttavia, e da allora, sotto Putin, il gangsterismo nelle strade ha lasciato il posto alla cleptocrazia nello Stato». Tra loro vige una regola soltanto: «Lo Stato è la più grande gang in città». Tanto che risulta difficile distinguere il vero uomo d'affari dall'imprenditore-gangster. Ciò però, sottolinea Galeotti, non significa che la Russia siano uno Stato mafia o che l'ex Kgb Putin controlli crimine organizzato nel suo Paese o ancora, al contrario, che il presidente sia controllato dai vory. La Russia moderna lavora infatti come uno «Stato di mobilitazione», in cui il Cremlino affida compiti a media, hacker, uomini d'affari e criminali. «Piuttosto è corretto dire che la criminalità organizzata prospera sotto Putin perché c'è un livello molto alto di corruzione in Russia, che fornisce un ambiente favorevole alla criminalità organizzata, a tal punto che lo stesso Putin ha riconosciuto pubblicamente, più e più volte, che la corruzione è diffusa». Traffico di persone, droga e armi, ma anche riciclaggio di denaro, hackeraggio di sistemi informativi e omicidi su commissione: tutto ciò avviene, racconta l'esperto nel suo volume, nelle stesse città nelle quali i provenienti dell'illecito vengono poi riciclati. Spesso con in sottofondo i rintocchi del Big Ben.
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