2024-10-02
Lavezzi: «Le canzoni nascono dai propri tormenti»
Mario Lavezzi, compositore e cantautore (Getty)
Il grande musicista: «Mogol è un vulcano, non è mai rimasto tranquillo. Lucio Battisti non lasciava nulla al caso. Lucio Dalla era il manager di sé stesso: intuiva quali brani avrebbero “spaccato”. Con Loredana Bertè siamo rimasti amici ma non ci parliamo, non ha il cellulare».Conversando con Mario Lavezzi, si colgono subito spessore ed esperienza di un musicista proveniente dall’alta scuola di Mogol e Lucio Battisti. Con Mogol, componendo parole e musica di brani interpretati dai nomi più acclamati della canzone ma anche da lui medesimo, oltre che producendoli discograficamente, ha conquistato le vette della musica leggera italiana per oltre mezzo secolo. Milano, 8 maggio 1948, la sua nascita. «Sono nato nel quartiere di piazza Napoli, nella zona ovest di Milano, dove inizia via Giambellino. Giorgio Gaber aveva scritto “c’è il Cerutti Gino”, a via Giambellino. In questo quartiere, con i miei amici, siamo stati tutti presi dalla nuova musica che andava nei Paesi anglosassoni, Beatles, Rolling Stones, ci trovavamo nelle panchine dei giardini di piazza Napoli a suonare le chitarre». Formò, a 15 anni, il primo gruppo, i Trappers. «Sì, oggi va il rap e il trap. Andava bene, suonavamo il sabato e la domenica pomeriggio nei locali di Milano. L’attuale Quadrilatero della moda era allora il Quadrilatero della musica e del cinema, 20-30 locali da ballo e almeno una ventina di cinema. Oggi, alle dieci e mezza, nel Quadrilatero della moda, Vittorio Emanuele, piazza San Babila, non c’è più nessuno. Una volta c’era un fermento di gente». Professione dei suoi?«Mio padre era avvocato. Mia madre casalinga, ma scriveva delle novelle. Credo che la creatività l’abbia acquisita da lei. A mio padre piaceva molto il jazz e mimava di suonare il pianoforte sul tavolo». Con i Trappers c’entra anche Teo Teocoli.«Sììì, Teo ci sentiva nei locali a suonare e ci assoldò per fare una stagione a Finale Ligure allo Scotch Club. Allora non c’erano i dj che facevano ballare la gente, ma un imperativo era che un gruppo sapesse fare tre lenti e tre veloci, in modo che la gente potesse fare anche i lenti, perché il lento era il modo per poter “cuccare”, come si dice».Prima Antonio Cripezzi, anche lui del gruppo, e poi lei, entraste nei Camaleonti. «Loro avevano, come cantante, Ricky Maiocchi, che andò via. Tonino disse “perché non chiamiamo Mario?”, quindi entrai anch’io, straordinariamente contento di questo. Poi, purtroppo, dovetti lasciare per andare a fare il servizio militare. Non avevo ancora scritto canzoni. Nel libro E la vita bussò, scrivo che la vita ti dà grandi gioie e poi te le toglie. Mi ha dato quella di essere entrato nei Camaleonti, me l’ha tolta per fare il militare. Ma se fossi rimasto nei Camaleonti, sarei ancora con loro o avrei preso la mia strada di compositore?». Dove fece la leva e suoi commilitoni sapevano che suonava in un gruppo famoso?«Car a Messina, 5° reggimento fanteria Aosta, poi Genova, poi ospedale militare di Milano. Pesavo 62 chili, ma con il terremoto di Gibellina mi hanno richiamato nelle “forze assenti”. Sììì, sapevano. Appena sono arrivato, il furiere mi fece andare in fureria perché voleva imparare a suonare la chitarra».Perse i Camaleonti, ma durante il militare scrisse Il primo giorno di primavera. Sgorgò da un momento di solitudine? «È nata in un momento di estrema sofferenza, perché la creatività è quasi sempre stimolata da qualche tormento». Come incontrò Mogol, alla fine degli anni Sessanta?«Lo conobbi, di sfuggita, alla Ricordi, quando ci aveva proposto per delle canzoni con i Camaleonti. Quando è venuto da me e Cristiano Minellono a sentire la canzone, lì l’ho conosciuto e la strofa “mentre nasce una primula / sto morendo per te” l’ha scritta lui, c’è la sua penna, si sente no? Poi aprì la Numero Uno e io, siccome con quella canzone ho fatto un milione di copie… in quel periodo gli editori cercavano autori che scrivessero canzoni di successo. La discografia era una delle industrie che maggiormente tirava. Ricordiamoci che fecero baronetti i Beatles perché avevano fatto crescere il Pil».Come descriverebbe la personalità del suo sodale?«Vulcanica. Abbiamo scritto L’avventura proprio perché lui è dedito a cercare le avventure. Ha creato il Centro Europeo Tuscolano, in Umbria, perché cercava qualcosa. Non è mai stato tranquillo a godersi quello che guadagnava con le canzoni che ha scritto». E quella di Lucio Battisti?«Ho avuto la fortuna di viverlo, persona straordinaria, è stato il mio riferimento perché aveva la capacità di andare nel profondo di quello che faceva, sia nello scrivere canzoni sia nel realizzarle. Non lasciava nulla al caso. Anche la tonalità doveva essere adatta per il testo scritto da Mogol. Ad esempio Giardini di marzo o Emozioni non le cantava a squarciagola, erano momenti di riflessione da trasmettere attraverso ciò che cantava. Oggi sentiamo gente che canta delle canzoni, che dovrebbero essere di riflessione, a squarciagola: non ha senso».Mario Lavezzi, quale la canzone di sua composizione che ama di più?«Domanda che mi fanno in tanti, ma io, purtroppo, non ne ho una sola… Il primo giorno di primavera per forza, perché mi ha lanciato come compositore. Non posso dimenticare però E la luna bussò, che ho scritto per Loredana, o In alto mare. Per non parlare di Vita, che ho scritto con Mogol e mai avrei immaginato che Lucio Dalla scegliesse. Ho toccato il cielo con un dito… Uno come lui che sceglie una mia canzone…». Di Vita, nel 1989, Dalla e Morandi fecero un successone. «Non si intitolava Vita, ma Angeli sporchi. Mogol la scrisse per una ragazza, un’amica di mia moglie. Si era innamorato, la portò a Londra, a New York, poi s’innamorò anche lei e gli raccontò cos’aveva fatto prima di conoscerlo, come s’era divertita e anche parecchio. La canzone, Angeli sporchi, iniziava con “Cara, in te ci credo, / le nebbie si diradano e ormai ti vedo. / Non è stato facile uscire da un passato / che ti ha lavato l’anima / fino a renderla un po’ sdrucita”. Lucio la sentì e disse a Mogol: “O Giulio, possiamo cantarci, io e Gianni: Vita in te ci credo…”. Lucio, un genio, ha cambiato il soggetto, “Vita, che mi ha lavato l’anima / fino a renderla un po’ sdrucita”, il contrario. Non chiese niente di diritti d’autore, perché era a un altro livello». Fantastico.«Era talmente il manager di sé stesso che, quando faceva un album, intuiva la canzone che poteva “spaccare” la hit o no. Quando scelse il grande evento con Morandi, sentì che Vita poteva fare la differenza. Altrettanto quando ha scelto Attenti al lupo, di Ron, o Canzone, di Bersani. Quale cantautore ha fatto una hit con una canzone scritta da qualcun altro che non fosse lui? Nessuno. Poi sentiamo album di qualcuno, che sembrano tutti uguali». In alto mare (1980), cantata da Loredana Bertè, con la quale ha anche duettato. «Tra i rumori di una via / tranquillanti in farmacia / figli dell’ideologia / E non possiamo starci in alto mare…». «L’ho scritta con Mogol e Oscar Avogadro. Avogadro era nel periodo dell’impegno politico, aveva questa tendenza, parlava di questo, gente che prendeva gli ansiolitici, diceva “se siamo messi così, non possiamo sognare di andare in alto mare”, capito? Però, un bravissimo autore di testi, ha scritto Indocina, mi ha portato il testo e io l’ho musicato, al contrario, diciamo, perché prima si fa la musica e poi il testo, Mogol sostiene che il testo è già nella musica, lui lo codifica».Sono note la sua storia d’amore con la Bertè e le canzoni scritte per lei, come E la luna bussò. Siete rimasti amici? «Sì sì, siamo rimasti amici, adesso non ci sentiamo perché lei comunica attraverso la sua assistente, non ha neanche il cellulare. In ogni caso, sono legato sentimentalmente con Loredana, come amicizia ovviamente, non c’è dubbio». Chi fu, dei due, a lasciare l’altro?«Nooo, è una cosa finita così, si è esaurita». Si osserva che parole e musica di una canzone sono firmati da più autori. «Mogol, per Il primo giorno di primavera, ha fatto la differenza. Ma le canzoni non si scrivono con due parolieri e comunque quando ho scritto con Avogadro, ho scritto solo con lui, stessa cosa con Mogol. Quando oggi vediamo canzoni scritte da sei autori, è tutta fuffa, è una cosa assurda…». Nella sostanza, il paroliere è uno solo…«Assolutamente. Anche la musica. Magari un arrangiatore può cambiare qualcosa, ma al massimo si può essere in tre».Collabora con la Siae. Accadono ancor oggi quei giochetti dei discografici sui diritti d’autore, tipo quelli subiti da Bobby Solo e Don Backy?«La cosa non è legata alla Siae, ma a rendiconti che facevano le case discografiche. Don Backy sosteneva che il clan Celentano non gli aveva dichiarato quello che aveva venduto realmente. Per le case discografiche non c’erano i controlli di oggi. Oggi il numero di streaming fatti li vedi direttamente sul Web. E gli unici vantaggi economici si hanno attraverso i live, i concerti dal vivo. All’epoca non si facevano gli stadi, ma le balere, al massimo un palazzetto dello sport».Con le canzoni scaricate, i cantanti guadagnano pochissimo e dischi e cd stanno entrando nell’archeologia. «Un mio direttore editoriale, alla Numero Uno, mi diceva “dai Mario, se arriviamo a 100.000 copie ce l’abbiamo fatta”. Se uno, con un 45 giri, vendeva 50.000 copie, che oggi sarebbe il doppio disco di platino, non era niente. Era comunque un guadagno, basta moltiplicare 50.000 copie per il valore di un 45 giri dell’epoca. Oggi, se calcoliamo che 1.000 streaming, mille, fanno 1.000 euro, un milione fanno 10.000 euro».C’è una canzone pop italiana che le sarebbe piaciuto scrivere lei? «Quando ho sentito L’essenziale di Marco Mengoni, nella prima serata di Sanremo, ho pensato: “Porca miseria, perché non è venuta a me ’sta canzone?”».
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
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