
Le priorità fissate dal governo su cuneo fiscale e legge Fornero rendono impraticabile il taglio delle accise sul carburante.Da settembre si comincia. Ripartono i tavoli per scrivere la Nadef, il documento programmatico per l’economia, e le lunghe riunioni che porteranno alla legge finanziaria 2024. Un assaggio c’è stato in occasione dell’incontro informale tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini in una masseria della Puglia. I due non hanno solo discusso di flussi migratori ma dei pilastri della prossima manovra. Almeno di quegli interventi a cui il governo non vuole e non può proprio rinunciare.Al momento, c’è un elenco ricco di uscite. Oltre al cuneo (spese obbligate stimate in 6 miliardi), c’è la riduzione dell’Irpef a tre aliquote per cui si cercano almeno 4 miliardi, la replica della tassazione agevolata sui premi di produttività e i fringe benefit cui servono circa 2 miliardi, si aggiunge il delicato capitolo delle pensioni. Senza un intervento mirato scatterà per la maggior parte delle persone (se si tolgono le agevolazioni alle donne e ai lavoratori usurati) il grande scalone della legge Fornero. Ovviamente, ci si aspetta un intervento mitigatore, ma facilmente sarà una copia di quanto fatto negli ultimi due anni. In ogni caso in molti si aspettano un costo di circa 800 milioni. Teniamo conto che i recenti interventi della magistratura amministrativa hanno reso nulle le possibilità di raccogliere ulteriore gettito dall’intervento sugli extra profitti destinato alle società energetiche dal governo di Mario Draghi. Un buco che rischia di valere poco più di 7 miliardi di euro. Per terminare la lista della spesa vanno aggiunti altri 10/12 miliardi che servono a finanziare la macchina dei ministeri, missioni all’estero e interventi nel comparto scuola e sanità. Basta prendere il pallottoliere per capire che andrà trovata una cifra compresa tra i 29 e 31 miliardi di euro. Mica poco.A oggi la voce entrate conta solo i 4,5 miliardi ricavati in deficit dal Def e i 300 milioni per il 2024 previsti dalla spending review dei ministeri. Cui vanno aggiunte le risorse che il governo punta a raccogliere dal nuovo rapporto «collaborativo» tra fisco e contribuente (almeno 6/7 miliardi) e dalla nuova tassa sugli extraprofitti delle banche, da cui sono attesi circa 2,5 miliardi. Sebbene a noi appaia una stima estremamente ottimistica. Proprio sugli extraprofitti si lavora alle possibili modifiche in vista della conversione in Parlamento: l’obiettivo sarebbe di garantire il massimo gettito per il 2023, alleggerendo il peso per le banche e la soluzione cui si guarda è quella del credito d’imposta. Un’ipotesi subito apprezzata dal mercato, con le banche in luce a Piazza Affari. Mentre il governo esclude che la tassa venga estesa ad altri settori (ipotesi che aveva preoccupato Farmindustria): «Non abbiamo intenzione di fare altro: non ci sono altri settori in cui ci sia una così evidente divaricazione», ha per fortuna assicurato ieri il ministro dell’Industria, Adolfo Urso. Insomma, tirando la linea oggi si arriva sì e no alla metà dei fondi necessari per chiudere la partita. Difficile immaginare che il governo opzioni la strada del deficit. Così come la speranza di tutti è che il nuovo Patto di stabilità venga perfezionato a fine gennaio e quindi intervenga sui conti del 2025. In effetti un adeguamento già per il prossimo anno sarebbe un problema. Lo schema descritto fino a ora rischia di pesare nella migliore delle ipotesi 7 miliardi all’anno per un quadriennio. Il che significherebbe un taglio lineare o l’abbandono dell’idea del cuneo. Eppure anche ieri Matteo Salvini ha ribadito che l’intervento sulle buste paga è imprescindibile. «Al centro c’è il lavoro, che vuol dire stipendi, confermare il taglio delle tasse, ad esempio chiedere che le banche diano una piccola parte dei loro guadagni per aumentare stipendi e pensioni, è un dovere sociale», ha detto Salvini in visita istituzionale nella Repubblica di San Marino. «Abbiamo di fronte quattro anni», ha aggiunto, «non bisogna fare tutto e subito. Nell’arco dei quattro anni ci siamo proposti la flat tax da estendere, l’azzeramento della legge Fornero, la pace fiscale. Come maggioranza decideremo, in assoluta sintonia, qual è il primo obiettivo di questa manovra economica. Penso che la conferma del taglio del cuneo fiscale sia la priorità». Un’uscita che se confermata da Giorgia Meloni rende le strade praticabili molto strette. È chiaro che nessuno toccherà le accise, perché sono fondi che servono a finanziare il taglio del cuneo. L’idea avanzata lo scorso gennaio di utilizzare l’extragettito del carburante per limarne il prezzo finale, nel caso in cui superi determinate soglie, sembra che sarà accantonata. Per il resto la coperta corta non dovrebbe in alcun modo impattare sulla delega fiscale. Sempre ieri, parlando dal palco del Meeting di Rimini il viceministro Maurizio Leo ha ricordato che «l’obiettivo dell’iter della delega è quello di fare in modo di consentire al governo di avere un quadro di riferimento completo dell’intera manovra». «Teniamo presente che alcuni provvedimenti non necessitano di coperture, penso a tutti quelli che riguardano i procedimenti: quello di accertamento, contenzioso, riscossione, adempimenti e versamenti dei contribuenti che pertanto potranno entrare in vigore già nel 2024». Per altri, invece, «come i tributi in particolare, penso a Irpef, Ires, Iva e Irap richiedono delle coperture e per questo dobbiamo verificare se ci saranno queste coperture con la Nadef». Facile che la rimodulazione delle aliquote slitti e anche sul cuneo non si usi l’accetta. Il dibattito identitario è molto importante e noi stessi lo sosteniamo. Ma non dimentichiamo che da un governo di centrodestra tutti si aspettano meno tasse.
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
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Evento La Verità Lunedì 15 settembre 2025.pdf
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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