2022-03-18
La tradizione delle sigaraie sopravvive a Lucca nel segno del made in Italy
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Viaggio nella sede principale di Manifatture Sigaro Toscano, dove da oltre due secoli viene prodotta una delle eccellenze italiane più antiche e conosciute in tutto il mondo. E pensare che tutto ebbe inizio da una partita di tabacco bagnata da un improvviso acquazzone estivo che innescò un processo di fermentazione. La produzione a mano oggi è affidata a circa 40 donne per una media di 2,5 milioni di sigari all'anno.Fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione. Sono gli elementi contenuti nel cosiddetto colpo di genio, ossia quella capacità di individuare all'interno di un problema delle opportunità e trasformarle in soluzione. È esattamente quanto avvenuto più di due secoli fa, nell'estate del 1815 nella Manifattura tabacchi di Firenze, dove una partita di tabacco Kentucky importata dagli Stati Uniti era stata lasciata all'aperto nel cortile della Manifattura e bagnata pesantemente da un improvviso acquazzone. Gli operai, senza farci caso, decisero di aspettare che il sole facesse il suo corso e asciugasse le foglie. Saggia idea, che li portò però a trascurare un elemento: la fermentazione. Acqua, calore e massa del tabacco fecero infatti partire un processo di fermentazione, la «pietra filosofale» per dirla con le parole di Terry Nesti, responsabile della formazione clienti di Manifatture Sigaro Toscano, che ci ha fatto da Cicerone durante la nostra visita allo stabilimento di Lucca. «Pietra filosofale perché è qualcosa che trasforma il ferro in oro, come quasi tutto quello che noi mangiamo o beviamo è frutto di una fermentazione, dal pane alla birra e al vino». Fermentazione che aveva sviluppato nelle foglie di tabacco un odore parecchio pesante di ammoniaca tanto da indurre quasi gli operai a gettare via la partita, come se fosse un cibo scaduto o avariato rimasto a lungo nel frigorifero. Soltanto che a quei tempi il tabacco era la prima fonte di reddito del Granducato di Toscana e non ci si poteva permettere di buttarne via nemmeno una foglia. Serviva inventarsi qualcosa e si decide di sperimentare un «sigaro fatto al risparmio» destinato a chi non poteva permettersene uno. Doveva essere un esperimento che non avrebbe avuto poi occasione di replica. Il risultato invece fu incredibile: nel giro di un paio di settimane, tutti i sigari prodotti con quella partita di tabacco erano andati a ruba.È questo il mito che racconta la nascita del sigaro fermentato, antenato di quello che oggi è conosciuto come il sigaro Toscano, nato ufficialmente un secolo più tardi, nel 1923, per effetto dei monopoli, anche se tra il popolo il nome era già quello: «il Toscano».Una delle peculiarità di Manifatture Sigaro Toscano, fin dagli albori, è sempre stata l'elevata presenza femminile all'interno del personale. Nacque così il mestiere delle sigaraie, un lavoro tramandato di generazione in generazione ancora oggi, e punto di riferimento nella storia del femminismo italiano e dell'emancipazione femminile, in quanto furono le prime donne a scioperare e lottare per i propri diritti. Furono loro a far costruire il primo asilo nido all'interno di una fabbrica italiana. Essere sigaraie all'epoca era uno status: «Una volta la sigaraia si riconosceva. Era quella che prendeva l'autobus, che arrivava al lavoro in bicicletta ed era quella che era truccata» ci racconta Terry. Un mestiere praticamente solo femminile, «abbiamo avuto un ragazzo un po' di tempo fa, ma dopo un paio di mesi ha lasciato». Servono determinate «skills» per fare 500 sigari al giorno, ma soprattutto per fare dei buoni sigari: in primis una certa manualità data dalla forma delle mani e dalle dita affusolate, e poi tanta tanta pazienza, oltre a una certa sensibilità che serve per bilanciare «a mano» la giusta quantità di tabacco da mettere sulla foglia. Sono circa 40 le sigaraie che lavorano nello stabilimento di Lucca. Durante il nostro giro ci fermiamo un attimo nel reparto dei sigari fatti a mano per osservare con attenzione i gesti delle sigaraie in fase di preparazione del prodotto: si prende una fascia, la si stende sul banco, si passa sopra un velo di colla, dal grembiule sempre pieno di tabacco lo si prende si comincia a «farlo correre» - come si dice in gergo - ossia lo si pettina come se si volessero districare dei nodi dai capelli, in modo che l'aria possa scorrere senza ostacoli all'interno. Ogni sigaraia, grazie all'esperienza acquisita e a una scrupolosa formazione di 18 mesi, impara a sentire il giusto peso del tabacco sulle mani che diventano delle bilance e sa esattamente quanto deve metterne per fare un buon sigaro. Poi lo arrotola, quasi come si fa quando si fa la pasta fatta in casa, lo posiziona sulla taglierina per togliere le due estremità e il sigaro è pronto per essere invecchiato. Non fumato. Perché è ancora umido e il Toscano ha bisogno di almeno un anno di maturazione all'interno delle celle. Fare un sigaro non è semplice. È un lavoro artigianale fatto con cura e precisione, tanto che le sigaraie sono state definite da qualcuno delle vere e proprie stiliste.«Penso sia un mestiere unico» - ci dice Daniela, 41 anni, in Manifattura da 17 - «ho iniziato quasi per gioco, poi dopo essere stata presa all'inizio è stata dura. Poi piano piano con tanto impegno ho preso confidenza ed è bello sapere che dalle tue mani può riuscire un bel prodotto fatto bene». Monica, invece, 43 anni di cui gli ultimi 22 in Manifattura, racconta che «non cambierebbe mai e poi mai questo lavoro con nessun altro» e che la passione per questo mestiere le è stata tramandata in famiglia «perché ho avuto la mamma che aveva un altro impiego in Manifattura e la mia bisnonna che faceva proprio i sigari a mano. Ne ho sempre sentito parlare in casa e ho sempre sentito l'odore del tabacco». Prima di concludere la visita in Manifattura, riusciamo a scambiare ancora due chiacchiere anche con Maila, 48 anni, sigaraia dal 2007: «È un lavoro a cui ti ci devi appassionare, altrimenti non si riuscirebbe a fare. A me piace tantissimo questo lavoro anche se è faticoso perché comunque i movimenti sembrano automatici ma ogni sigaro che facciamo è diverso l'uno dall'altro». Manifatture Sigaro Toscano, che oltre a quello di Lucca può contare anche sugli stabilimenti di Foiano della Chiana in provincia di Arezzo e Cava de' Tirreni in provincia di Salerno, è riuscita come azienda nell'intento di affiancare la produzione manuale a quella industriale, come sottolinea l'amministratore delegato Stefano Mariotti: «Visitare questo luogo è un'esperienza unica perché sembra di essere fuori dal tempo. La parte dei sigari fatti a mano è una tradizione bicentenaria, con le sigaraie che riescono a conservare la stessa manualità di 200 anni fa ed è una cosa molto affascinante» - dice l'ad - «ma devo dire che anche la parte dei sigari a macchina conserva un'artigianalità molto spinta. Noi ovviamente spingiamo sull'efficienza perché siamo un'azienda che si rivolge a un pubblico di oltre 60 Paesi in tutti il mondo e quindi abbiamo necessità di essere efficienti, però il livello di artigianalità è insito nel nostro prodotto ed è quello che ci caratterizza e porteremo sempre avanti». Il sigaro Toscano nei secoli è diventato un prodotto che è entrato nell'immaginario collettivo della cultura popolare italiana e non solo. Dal cinema, come elemento chiave dei film spaghetti western all'italiana con Clint Eastwood, ma anche con Marcello Mastroianni e Totò, alla musica con Giacomo Puccini e Giuseppe Verdi, fino al giornalismo con Gianni Brera, che definì il Toscano «un vulcanetto tascabile, di quelli che eruttano fuoco alla minima scossa (...) è una goduria greve e forte del tutto priva di moine». E poi ancora Giuseppe Garibaldi, il pittore e scultore Amedeo Modigliani o l'allenatore campione del mondo con l'Italia nel 2006 Marcello Lippi. Un segno distintivo che contribuisce a posizionare il sigaro Toscano - il più antico al mondo - come un prodotto premium: «Chiunque è in grado di arrotolare una foglia di tabacco» - afferma Mariotti - «ma noi non vendiamo una foglia di tabacco arrotolata, ma vendiamo un sogno. Quello che è la storia di 200 anni di un prodotto che è stato scelto da tanti grandi italiani e oggi ancora viene scelto da tutti quelli che vogliono avere un momento di riflessione o un momento di socialità che deve essere fatto ovviamente in maniera responsabile, ma è assolutamente un elemento che contraddistingue la nostra italianità».