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2022-03-18
La tradizione delle sigaraie sopravvive a Lucca nel segno del made in Italy
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Fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione. Sono gli elementi contenuti nel cosiddetto colpo di genio, ossia quella capacità di individuare all'interno di un problema delle opportunità e trasformarle in soluzione. È esattamente quanto avvenuto più di due secoli fa, nell'estate del 1815 nella Manifattura tabacchi di Firenze, dove una partita di tabacco Kentucky importata dagli Stati Uniti era stata lasciata all'aperto nel cortile della Manifattura e bagnata pesantemente da un improvviso acquazzone. Gli operai, senza farci caso, decisero di aspettare che il sole facesse il suo corso e asciugasse le foglie. Saggia idea, che li portò però a trascurare un elemento: la fermentazione. Acqua, calore e massa del tabacco fecero infatti partire un processo di fermentazione, la «pietra filosofale» per dirla con le parole di Terry Nesti, responsabile della formazione clienti di Manifatture Sigaro Toscano, che ci ha fatto da Cicerone durante la nostra visita allo stabilimento di Lucca. «Pietra filosofale perché è qualcosa che trasforma il ferro in oro, come quasi tutto quello che noi mangiamo o beviamo è frutto di una fermentazione, dal pane alla birra e al vino». Fermentazione che aveva sviluppato nelle foglie di tabacco un odore parecchio pesante di ammoniaca tanto da indurre quasi gli operai a gettare via la partita, come se fosse un cibo scaduto o avariato rimasto a lungo nel frigorifero. Soltanto che a quei tempi il tabacco era la prima fonte di reddito del Granducato di Toscana e non ci si poteva permettere di buttarne via nemmeno una foglia. Serviva inventarsi qualcosa e si decide di sperimentare un «sigaro fatto al risparmio» destinato a chi non poteva permettersene uno. Doveva essere un esperimento che non avrebbe avuto poi occasione di replica. Il risultato invece fu incredibile: nel giro di un paio di settimane, tutti i sigari prodotti con quella partita di tabacco erano andati a ruba.
È questo il mito che racconta la nascita del sigaro fermentato, antenato di quello che oggi è conosciuto come il sigaro Toscano, nato ufficialmente un secolo più tardi, nel 1923, per effetto dei monopoli, anche se tra il popolo il nome era già quello: «il Toscano».
Una delle peculiarità di Manifatture Sigaro Toscano, fin dagli albori, è sempre stata l'elevata presenza femminile all'interno del personale. Nacque così il mestiere delle sigaraie, un lavoro tramandato di generazione in generazione ancora oggi, e punto di riferimento nella storia del femminismo italiano e dell'emancipazione femminile, in quanto furono le prime donne a scioperare e lottare per i propri diritti. Furono loro a far costruire il primo asilo nido all'interno di una fabbrica italiana. Essere sigaraie all'epoca era uno status: «Una volta la sigaraia si riconosceva. Era quella che prendeva l'autobus, che arrivava al lavoro in bicicletta ed era quella che era truccata» ci racconta Terry. Un mestiere praticamente solo femminile, «abbiamo avuto un ragazzo un po' di tempo fa, ma dopo un paio di mesi ha lasciato». Servono determinate «skills» per fare 500 sigari al giorno, ma soprattutto per fare dei buoni sigari: in primis una certa manualità data dalla forma delle mani e dalle dita affusolate, e poi tanta tanta pazienza, oltre a una certa sensibilità che serve per bilanciare «a mano» la giusta quantità di tabacco da mettere sulla foglia. Sono circa 40 le sigaraie che lavorano nello stabilimento di Lucca. Durante il nostro giro ci fermiamo un attimo nel reparto dei sigari fatti a mano per osservare con attenzione i gesti delle sigaraie in fase di preparazione del prodotto: si prende una fascia, la si stende sul banco, si passa sopra un velo di colla, dal grembiule sempre pieno di tabacco lo si prende si comincia a «farlo correre» - come si dice in gergo - ossia lo si pettina come se si volessero districare dei nodi dai capelli, in modo che l'aria possa scorrere senza ostacoli all'interno. Ogni sigaraia, grazie all'esperienza acquisita e a una scrupolosa formazione di 18 mesi, impara a sentire il giusto peso del tabacco sulle mani che diventano delle bilance e sa esattamente quanto deve metterne per fare un buon sigaro. Poi lo arrotola, quasi come si fa quando si fa la pasta fatta in casa, lo posiziona sulla taglierina per togliere le due estremità e il sigaro è pronto per essere invecchiato. Non fumato. Perché è ancora umido e il Toscano ha bisogno di almeno un anno di maturazione all'interno delle celle. Fare un sigaro non è semplice. È un lavoro artigianale fatto con cura e precisione, tanto che le sigaraie sono state definite da qualcuno delle vere e proprie stiliste.
«Penso sia un mestiere unico» - ci dice Daniela, 41 anni, in Manifattura da 17 - «ho iniziato quasi per gioco, poi dopo essere stata presa all'inizio è stata dura. Poi piano piano con tanto impegno ho preso confidenza ed è bello sapere che dalle tue mani può riuscire un bel prodotto fatto bene». Monica, invece, 43 anni di cui gli ultimi 22 in Manifattura, racconta che «non cambierebbe mai e poi mai questo lavoro con nessun altro» e che la passione per questo mestiere le è stata tramandata in famiglia «perché ho avuto la mamma che aveva un altro impiego in Manifattura e la mia bisnonna che faceva proprio i sigari a mano. Ne ho sempre sentito parlare in casa e ho sempre sentito l'odore del tabacco». Prima di concludere la visita in Manifattura, riusciamo a scambiare ancora due chiacchiere anche con Maila, 48 anni, sigaraia dal 2007: «È un lavoro a cui ti ci devi appassionare, altrimenti non si riuscirebbe a fare. A me piace tantissimo questo lavoro anche se è faticoso perché comunque i movimenti sembrano automatici ma ogni sigaro che facciamo è diverso l'uno dall'altro».
Manifatture Sigaro Toscano, che oltre a quello di Lucca può contare anche sugli stabilimenti di Foiano della Chiana in provincia di Arezzo e Cava de' Tirreni in provincia di Salerno, è riuscita come azienda nell'intento di affiancare la produzione manuale a quella industriale, come sottolinea l'amministratore delegato Stefano Mariotti: «Visitare questo luogo è un'esperienza unica perché sembra di essere fuori dal tempo. La parte dei sigari fatti a mano è una tradizione bicentenaria, con le sigaraie che riescono a conservare la stessa manualità di 200 anni fa ed è una cosa molto affascinante» - dice l'ad - «ma devo dire che anche la parte dei sigari a macchina conserva un'artigianalità molto spinta. Noi ovviamente spingiamo sull'efficienza perché siamo un'azienda che si rivolge a un pubblico di oltre 60 Paesi in tutti il mondo e quindi abbiamo necessità di essere efficienti, però il livello di artigianalità è insito nel nostro prodotto ed è quello che ci caratterizza e porteremo sempre avanti». Il sigaro Toscano nei secoli è diventato un prodotto che è entrato nell'immaginario collettivo della cultura popolare italiana e non solo. Dal cinema, come elemento chiave dei film spaghetti western all'italiana con Clint Eastwood, ma anche con Marcello Mastroianni e Totò, alla musica con Giacomo Puccini e Giuseppe Verdi, fino al giornalismo con Gianni Brera, che definì il Toscano «un vulcanetto tascabile, di quelli che eruttano fuoco alla minima scossa (...) è una goduria greve e forte del tutto priva di moine». E poi ancora Giuseppe Garibaldi, il pittore e scultore Amedeo Modigliani o l'allenatore campione del mondo con l'Italia nel 2006 Marcello Lippi. Un segno distintivo che contribuisce a posizionare il sigaro Toscano - il più antico al mondo - come un prodotto premium: «Chiunque è in grado di arrotolare una foglia di tabacco» - afferma Mariotti - «ma noi non vendiamo una foglia di tabacco arrotolata, ma vendiamo un sogno. Quello che è la storia di 200 anni di un prodotto che è stato scelto da tanti grandi italiani e oggi ancora viene scelto da tutti quelli che vogliono avere un momento di riflessione o un momento di socialità che deve essere fatto ovviamente in maniera responsabile, ma è assolutamente un elemento che contraddistingue la nostra italianità».
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Viaggio nella sede principale di Manifatture Sigaro Toscano, dove da oltre due secoli viene prodotta una delle eccellenze italiane più antiche e conosciute in tutto il mondo. E pensare che tutto ebbe inizio da una partita di tabacco bagnata da un improvviso acquazzone estivo che innescò un processo di fermentazione. La produzione a mano oggi è affidata a circa 40 donne per una media di 2,5 milioni di sigari all'anno.Fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione. Sono gli elementi contenuti nel cosiddetto colpo di genio, ossia quella capacità di individuare all'interno di un problema delle opportunità e trasformarle in soluzione. È esattamente quanto avvenuto più di due secoli fa, nell'estate del 1815 nella Manifattura tabacchi di Firenze, dove una partita di tabacco Kentucky importata dagli Stati Uniti era stata lasciata all'aperto nel cortile della Manifattura e bagnata pesantemente da un improvviso acquazzone. Gli operai, senza farci caso, decisero di aspettare che il sole facesse il suo corso e asciugasse le foglie. Saggia idea, che li portò però a trascurare un elemento: la fermentazione. Acqua, calore e massa del tabacco fecero infatti partire un processo di fermentazione, la «pietra filosofale» per dirla con le parole di Terry Nesti, responsabile della formazione clienti di Manifatture Sigaro Toscano, che ci ha fatto da Cicerone durante la nostra visita allo stabilimento di Lucca. «Pietra filosofale perché è qualcosa che trasforma il ferro in oro, come quasi tutto quello che noi mangiamo o beviamo è frutto di una fermentazione, dal pane alla birra e al vino». Fermentazione che aveva sviluppato nelle foglie di tabacco un odore parecchio pesante di ammoniaca tanto da indurre quasi gli operai a gettare via la partita, come se fosse un cibo scaduto o avariato rimasto a lungo nel frigorifero. Soltanto che a quei tempi il tabacco era la prima fonte di reddito del Granducato di Toscana e non ci si poteva permettere di buttarne via nemmeno una foglia. Serviva inventarsi qualcosa e si decide di sperimentare un «sigaro fatto al risparmio» destinato a chi non poteva permettersene uno. Doveva essere un esperimento che non avrebbe avuto poi occasione di replica. Il risultato invece fu incredibile: nel giro di un paio di settimane, tutti i sigari prodotti con quella partita di tabacco erano andati a ruba.È questo il mito che racconta la nascita del sigaro fermentato, antenato di quello che oggi è conosciuto come il sigaro Toscano, nato ufficialmente un secolo più tardi, nel 1923, per effetto dei monopoli, anche se tra il popolo il nome era già quello: «il Toscano».Una delle peculiarità di Manifatture Sigaro Toscano, fin dagli albori, è sempre stata l'elevata presenza femminile all'interno del personale. Nacque così il mestiere delle sigaraie, un lavoro tramandato di generazione in generazione ancora oggi, e punto di riferimento nella storia del femminismo italiano e dell'emancipazione femminile, in quanto furono le prime donne a scioperare e lottare per i propri diritti. Furono loro a far costruire il primo asilo nido all'interno di una fabbrica italiana. Essere sigaraie all'epoca era uno status: «Una volta la sigaraia si riconosceva. Era quella che prendeva l'autobus, che arrivava al lavoro in bicicletta ed era quella che era truccata» ci racconta Terry. Un mestiere praticamente solo femminile, «abbiamo avuto un ragazzo un po' di tempo fa, ma dopo un paio di mesi ha lasciato». Servono determinate «skills» per fare 500 sigari al giorno, ma soprattutto per fare dei buoni sigari: in primis una certa manualità data dalla forma delle mani e dalle dita affusolate, e poi tanta tanta pazienza, oltre a una certa sensibilità che serve per bilanciare «a mano» la giusta quantità di tabacco da mettere sulla foglia. Sono circa 40 le sigaraie che lavorano nello stabilimento di Lucca. Durante il nostro giro ci fermiamo un attimo nel reparto dei sigari fatti a mano per osservare con attenzione i gesti delle sigaraie in fase di preparazione del prodotto: si prende una fascia, la si stende sul banco, si passa sopra un velo di colla, dal grembiule sempre pieno di tabacco lo si prende si comincia a «farlo correre» - come si dice in gergo - ossia lo si pettina come se si volessero districare dei nodi dai capelli, in modo che l'aria possa scorrere senza ostacoli all'interno. Ogni sigaraia, grazie all'esperienza acquisita e a una scrupolosa formazione di 18 mesi, impara a sentire il giusto peso del tabacco sulle mani che diventano delle bilance e sa esattamente quanto deve metterne per fare un buon sigaro. Poi lo arrotola, quasi come si fa quando si fa la pasta fatta in casa, lo posiziona sulla taglierina per togliere le due estremità e il sigaro è pronto per essere invecchiato. Non fumato. Perché è ancora umido e il Toscano ha bisogno di almeno un anno di maturazione all'interno delle celle. Fare un sigaro non è semplice. È un lavoro artigianale fatto con cura e precisione, tanto che le sigaraie sono state definite da qualcuno delle vere e proprie stiliste.«Penso sia un mestiere unico» - ci dice Daniela, 41 anni, in Manifattura da 17 - «ho iniziato quasi per gioco, poi dopo essere stata presa all'inizio è stata dura. Poi piano piano con tanto impegno ho preso confidenza ed è bello sapere che dalle tue mani può riuscire un bel prodotto fatto bene». Monica, invece, 43 anni di cui gli ultimi 22 in Manifattura, racconta che «non cambierebbe mai e poi mai questo lavoro con nessun altro» e che la passione per questo mestiere le è stata tramandata in famiglia «perché ho avuto la mamma che aveva un altro impiego in Manifattura e la mia bisnonna che faceva proprio i sigari a mano. Ne ho sempre sentito parlare in casa e ho sempre sentito l'odore del tabacco». Prima di concludere la visita in Manifattura, riusciamo a scambiare ancora due chiacchiere anche con Maila, 48 anni, sigaraia dal 2007: «È un lavoro a cui ti ci devi appassionare, altrimenti non si riuscirebbe a fare. A me piace tantissimo questo lavoro anche se è faticoso perché comunque i movimenti sembrano automatici ma ogni sigaro che facciamo è diverso l'uno dall'altro». Manifatture Sigaro Toscano, che oltre a quello di Lucca può contare anche sugli stabilimenti di Foiano della Chiana in provincia di Arezzo e Cava de' Tirreni in provincia di Salerno, è riuscita come azienda nell'intento di affiancare la produzione manuale a quella industriale, come sottolinea l'amministratore delegato Stefano Mariotti: «Visitare questo luogo è un'esperienza unica perché sembra di essere fuori dal tempo. La parte dei sigari fatti a mano è una tradizione bicentenaria, con le sigaraie che riescono a conservare la stessa manualità di 200 anni fa ed è una cosa molto affascinante» - dice l'ad - «ma devo dire che anche la parte dei sigari a macchina conserva un'artigianalità molto spinta. Noi ovviamente spingiamo sull'efficienza perché siamo un'azienda che si rivolge a un pubblico di oltre 60 Paesi in tutti il mondo e quindi abbiamo necessità di essere efficienti, però il livello di artigianalità è insito nel nostro prodotto ed è quello che ci caratterizza e porteremo sempre avanti». Il sigaro Toscano nei secoli è diventato un prodotto che è entrato nell'immaginario collettivo della cultura popolare italiana e non solo. Dal cinema, come elemento chiave dei film spaghetti western all'italiana con Clint Eastwood, ma anche con Marcello Mastroianni e Totò, alla musica con Giacomo Puccini e Giuseppe Verdi, fino al giornalismo con Gianni Brera, che definì il Toscano «un vulcanetto tascabile, di quelli che eruttano fuoco alla minima scossa (...) è una goduria greve e forte del tutto priva di moine». E poi ancora Giuseppe Garibaldi, il pittore e scultore Amedeo Modigliani o l'allenatore campione del mondo con l'Italia nel 2006 Marcello Lippi. Un segno distintivo che contribuisce a posizionare il sigaro Toscano - il più antico al mondo - come un prodotto premium: «Chiunque è in grado di arrotolare una foglia di tabacco» - afferma Mariotti - «ma noi non vendiamo una foglia di tabacco arrotolata, ma vendiamo un sogno. Quello che è la storia di 200 anni di un prodotto che è stato scelto da tanti grandi italiani e oggi ancora viene scelto da tutti quelli che vogliono avere un momento di riflessione o un momento di socialità che deve essere fatto ovviamente in maniera responsabile, ma è assolutamente un elemento che contraddistingue la nostra italianità».
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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