2018-06-10
«Il mio Foglio sbaglia: troppi pregiudizi su questo esecutivo»
Valter Mainetti, editore del quotidiano diretto da Claudio Cerasa, contesta la linea: «Vorrei che si tornasse al respiro che aveva Giuliano Ferrara».Alla strategia della tensione preferisce quella dell'attenzione. «Un'attesa costruttiva nei confronti del nuovo governo, una linea di credito culturale come insegnava Aldo Moro, non uno dei tanti». Valter Mainetti, imprenditore romano titolare del gruppo Sorgente e proprietario del Foglio, ha voglia di spiegare una scelta controcorrente come quella di dissentire dalla linea del suo giornale. Lo ha fatto pubblicamente, con un articolo a sua firma (titolo ironico della redazione «La voce del padrone») al quale il direttore Claudio Cerasa ha risposto: «Mainetti ha le sue idee, Il Foglio le sue. È padrone di una comunità di ribelli disciplinati». Un intervento deciso, nel quale l'editore scrive che «ci si aspettava una tregua e invece ecco critiche e sberleffi», parla di «débâcle dei partiti tradizionali per incapacità di rinnovarsi».Il mondo degli indignados in servizio permanente ha subito gridato allo scandalo, all'occupazione del Palazzo d'inverno della libertà di stampa. E invece è uno spaccato di puro illuminismo in un panorama grigio, da trincea, che non concede nulla alla strana alleanza M5s-Lega e critica con riflesso pavloviano, a prescindere, la maggioranza costruita con il voto popolare. Una trincea nella quale trova posto anche Il Foglio.Presidente Mainetti, la lettura del suo articolo in contrasto con la linea ispirata dal direttore ha creato scompiglio.«Era prevedibile, la mia non vuole essere una critica nei confronti di Claudio Cerasa, ma l'esternazione di una diversa sensibilità. Mi sono accorto che dopo la formazione del nuovo governo molti media italiani, e anche Il Foglio, sono partiti in quarta con la critica preventiva, con lo sberleffo fine a sé stesso. Non sono grillino, ma avverto una narrazione forzata. A tutti, ma proprio a tutti, si danno i fatidici cento giorni. A questi non sono stati dati neppure cento minuti».Secondo lei questo governo può andare al di là delle promesse?«Il professor Conte mi sembra una persona equilibrata e il contratto fra due forze giovani può avere un buon impatto nello scardinare le vecchie consorterie che paralizzano il nostro Paese, ma anche nel ridefinire il perimetro di armonie internazionali confuse, in bilico. Le promesse sono tante, vedremo quante verranno trasformate in realtà. Senza scandalo e senza dimenticare le vacue promesse elettorali che negli scorsi decenni tutti gli altri avevano fatto e sono rimaste tali».Questo significa che la fiducia dovrà essere a tempo?«Saranno i fatti a confermare o a modificare le opinioni. Quando il governo sbaglierà noi non dovremo essere generosi o indulgenti. Il Foglio non è il Corriere della Sera che deve orientare un'opinione pubblica, ma è un giornale che si rivolge a un'élite con notizie scelte e commenti raffinati. Il registro della critica non è l'unico a nostra disposizione. Anche perché quello italiano non è un paradiso».Lei scrive che bisogna riformare quel «sottobosco burocratico-amministrativo che i cittadini subiscono da tempo». Cosa intende?«Qui non funziona più niente, dai contratti per l'energia elettrica alle buche di Roma il Paese si consuma in un declino al quale i cittadini assistono con inquietudine. Spero che questo governo possa fare più di altri. È vero che le buche sono intestate all'amministrazione grillina di Virginia Raggi, ma la speranza è che un governo omogeneo recuperi maggiore funzionalità operativa anche nelle piccole cose».Presidente, le imputano la chiusura di Tempi, adesso questo warning al Foglio. S'annunciano momenti difficili?«Premesso che non ho chiuso Tempi, anzi sto dando una consistente mano ai giornalisti che lo editano, il mio al Foglio è solo un richiamo al valore della critica costruttiva. Ho la massima stima del direttore, ma ho preferito che le divergenze di opinione venissero alla luce».Chi legge il suo giornale dalla nascita ha colto nello scambio di opinioni di ieri un recupero dell'identità iniziale, della dialettica cara a Giuliano Ferrara che fondò quel Club dell'intelligenza.«Vorrei che si tornasse a quella stagione e a quegli orizzonti larghi. Quando ho proposto, con l'articolo, di raccontare pubblicamente le nostre diverse sensibilità, il direttore ha condiviso il senso della cosa, a dimostrazione che la dialettica interna rimane un valore assoluto. Sennò potremmo riaprire l'Unità».Perché i media italiani hanno accolto il nuovo governo scavando trincee?«Bisogna tornare alla diffidenza, anzi alla paura iniziale nei confronti del M5s. A questo si è aggiunta l'apprensione per la maniera tortuosa, complicata, con cui si è formato il governo. Ma noi dobbiamo fare come il presidente Mattarella, riconoscere dignità e dare un'apertura di credito a queste persone. Che ovviamente giudicheremo dai fatti».Nell'articolo lei si rifà agli insegnamenti di Aldo Moro, che fu suo relatore di laurea all'università. «Bisogna sempre ispirarsi ai politici che hanno illuminato il passato e ci hanno insegnato ad avere una strategia costruttiva. So anche io che flat tax e reddito di cittadinanza insieme sono obiettivi difficili, ma la politica è un'evoluzione naturale della campagna elettorale, non una sua pedissequa riproposizione. Pazienza, per favore. E cento giorni, non cento minuti».