2025-01-11
Dall’antica Roma fino a Sant’Antonio. Il maialino finisce nell’iconografia
La X Legio, i «marines» degli imperatori, lo portava impresso sugli scudi. Le immagini sacre del monaco cristiano lo ritraggono con un suino. Che nel Medioevo sfamava tutti: da qui nasce la nomea di «salvadanaio».Il 17 gennaio è una tappa fondamentale lungo la golosa via crucis dei peccatori di gola, giusta redenzione dopo le pacciate a ritmo di panettoni e brindisi di Capodanno.Sant’Antonio abate è una figura complessa, la cui iconografia, da secoli, lo associa a un maialino gioiosamente posto al suo fianco. In realtà, ma questo la innocente creatura non poteva saperlo, il giorno che ricorda il suo patrono rappresenta l’apertura ufficiale del calendario di mattanza suina, quello in cui, sino a prima del boom economico e, quindi, della produzione industriale di insaccati e cotenne, vi era la riunione di famiglie e buon vicinato laddove le donne assistevano nelle varie fasi i padri di famiglia posto che, dopo il sacrifico della piccola creatura alimentata da mesi nell’aia, si trattava di valorizzarne carne e ciccioli associati con una varietà di usi e prodotti che, con narrazioni diverse, viaggia dalle Alpi sin giù alle isole.Antonio è stato un monaco cristiano vissuto in Egitto tra il terzo e quarto secolo che, scelse fin da giovane di fare l’eremita che non gli impedì, tuttavia, di essere benefattore per quanti venivano da lui per consolare l’anima e lo spirito. Un’eredità ripresa poi, nel Medioevo, con la formazione di un ordine monastico a suo nome, che si dedicò alla cura degli ammalati e degli indigenti con sedi via via diffuse in tutta Europa. Ed è così che si materializza la figura iconica del maialino a fianco del santo eremita. Nell’Italia del tempo, dove molti monasteri erano diventati avamposti della salvaguardia di allevamenti e colture dopo le distruzioni barbariche, la piccola creatura grufolante era divenuta un piccolo salvadanaio per le rispettive comunità.Come ben ricordato da vari storici e pure in un ironico Testament del porc di metà Ottocento, di questi non si buttava via niente. Le setole erano utili per i pittori; i denti «usati come raschietti per cancellare gli errori sulle pergamene, le cotiche per i fabbricanti di sapone» e che dire delle unghie «usate per spegnere le luminarie nelle vie delle città». I monaci antoniani si inventarono il balsamo di Sant’Antonio, basandosi su precedenti esperienze di Antimo, un medico di origine greca al servizio dell’imperatore Teodorico. Una miscela di lardo con erbe officinali utile per lenire le piaghe da herpes zoster dovute a un fungo che infestava le graminacee utili per fare il pane. Da qui il termine di fuoco di Sant’Antonio, una sorta di omaggio alle benedizioni impartite dai suoi monaci anche se, dietro le quinte, era indubbia la fonte di tanto beneficio, ovvero quanto aveva donato di sé il piccolo maialino sacrificale.Maiali ben presenti negli ospedali del tempo, utili sotto vari aspetti, oltre a quello farmacologico. Con regolare campanellino al collo, potevano girare indisturbati lungo i borghi, nutriti dal popolo riconoscente, fonte di reddito per i monaci una volta trasfigurati in salsicciotti e porchette. Nonostante gli evidenti benefici che i maialini a zoccolo libero potevano apportare alla popolazione, senza essere costretti a rincorrerli lungo i boschi dove si cibavano di ghiande a volontà, ben presto anche nei borghi medioevali si impose la necessità di porre dei limiti. Piccole legioni maialose oramai correvano per i vicoli senza controllo, spesso travolgendo persone inermi, come capitò a Giotto di Bondone, il maestro del Rinascimento. Mentre camminava soprappensiero tra un affresco e l’altro all’Opera del Duomo, venne travolto da piccola orda maialosa. Se la cavò con tipica ironia toscana come ben descritto da Cristina Casini, sostenendo «di aver ricevuto la giusta punizione per aver sempre mancato di gratitudine nei confronti di quegli animali, nonostante dovesse tutta la sua fama e la sua ricchezza alle loro setole».Progressivamente i centri abitati vennero preclusi ai maiali, con una eccezione, come da editto di papa Bonifacio VIII, lo stesso che indisse il primo Giubileo nel 1300: suo il «privilegio del porco», concesso agli antoniani per poter allevare i maiali necessari alla conduzione della vita ospedaliera. Diventa conseguente pensare che l’abbinamento tra l’eremita dell’epoca romana e il maialino posto ubbidiente ai suoi piedi sia più un merito dovuto all’opera dei monaci che al santo in prima persona.Accanto alla lettura religiosa del maialino dispensatore di salute e calorie vi è anche quella laica, dalle radici ancora più lontane. Nell’antica Roma la X Legio, i «marines» al servizio dell’imperatore, aveva come emblema sugli scudi dei suoi valorosi combattenti l’immagine di un maialino selvatico. Negli usi familiari, «durante i matrimoni si ungevano le imposte della nuova casa degli sposi con il grasso del maiale per tenere lontano il malocchio». Maiale altruista e generoso nel donare tutto di sé, ma con regole ben precise, sempre rifacendosi al già citato Testament ricordato da Bruno Pollini. «Indico che la mia sepoltura deve essere fatta nei ventri di mangiatori nobili, non per via della nobiltà di sangue, ma per la nobiltà di gusti giustamente golosi». Se i maialini medioevali hanno sperimentato per primi le chiusure al (loro) traffico nei centri urbani, comunque hanno lasciato nel tempo una eredità arrivata sino a noi.Troviamo così Porcia, ridente borgo a lui dedicato nel ridente Friuli e pochi forse ricordano che l’attuale Punta Ala venne ribattezzata così quale omaggio all’eroe delle trasvolate atlantiche Italo Balbo ma per secoli registrata sulle mappe del tempo come Punta Troia. E chi non conosce la storica via Panisperna a Roma, un tempo sede dei geniali scienziati che ruotavano attorno al maestro Enrico Fermi? Tradizione racconta come qui vi fosse un piccolo monastero dove i monaci distribuivano ai poveri panis (pane) e perna (prosciutto). L’acronimo è conseguente. Queste sono solo alcune delle mille citazioni che si possono fare attorno all’universo suino e alle sue svariate declinazioni a tutta penisola che trovano nella giornata di Sant’Antonio abate un riferimento che si è mantenuto solido nel corso del tempo, dei costumi e delle diete più o meno caloriche a seguire.Innumerevoli lungo tutto lo stivale gli eventi che, ancora oggi e più che mai, tendono a tenere vivo quell’invidiabile patrimonio, anche di tradizione suina, che accompagna usi e costumi delle nostre comunità. Fra tutte merita una citazione l’eclettico Porcomondo, «un festival suin generis sul mondo del maiale» che si svolge da alcuni anni nella trevigiana e cattolicissima Riese Pio X, dove ebbe i natali papa Giuseppe Sarto. Genius loci è Matteo Guidolin e la sua band, nel senso letterale del termine, ovvero «Los massadores», tradotto «i macellai». Una serie di eventi che, nell’arco di un mese, si svolgono tra Veneto, Friuli, Trentino arricchendo di contaminazioni diverse le varie tradizioni che trovano nel maiale il comune centro di gravità permanente. Con eventi golosi e narrazioni conseguenti si ragiona di cren, la meravigliosa salsa derivata dalla radice grattugiata del rafano, a concorsi che mirano a valorizzare la «resistenza» nei piccoli borghi di antiche lavorazioni artigianali, dal museto, con regolare «campionato mondiale», alle intriganti polpette suine, meglio conosciute come martondele, e così vale per la disfida del salame; cene a base di ossada (le ossa bollite a fine macellazione, piatto oramai introvabile), ma anche intriganti gemellaggi, quali ad esempio una cenerentola come il museto con il nobile e intrigante champagne.La data? 14 febbraio, San Valentino, con l’assegnazione del «Suin generis», una sorta di Oscar suino, a testimoni importanti della cucina italiana. Quest’anno sarà premiato Massimiliano Alajmo, il più giovane tristellato di sempre.
Carlo III e Donald Trump a Londra (Ansa)
Tyler Robinson dal carcere dello Utah (Ansa)