2019-05-25
Mai dire May, il fallimento di Theresa. Dimissioni in lacrime per la Brexit
Il premier britannico la sua battaglia non l'ha mai combattuta, più preoccupata di trovare un accordo con Bruxelles che di costruire una maggioranza parlamentare: «Ho provato di tutto». Lascerà il 7 giugno.L'abito dello stesso colore di quello scelto da Margaret Thatcher nel novembre del 1990 per annunciare il suo passo indietro dopo essere stata scaricata, anche lei, dal suo partito e dal suo governo. Le analogie tra gli unici due premier donna nella storia del Regno Unito, però, finiscono qui. La Lady di ferro si arrese dopo oltre 11 anni di battaglie, da quelle economiche a quelle sociali. Trasformò il suo Paese, rendendolo, assieme agli Stati Uniti di Ronald Reagan, uno dei due fari di un Occidente in grado di sconfiggere l'Unione sovietica e porre fine alla Guerra fredda. Theresa May, invece, la sua battaglia non l'ha mai combattuta. Forse non l'ha mai voluta combattere. Ha gettato al vento molte occasioni, preoccupata forse più di trovare un accordo con Bruxelles che di costruire una maggioranza parlamentare attorno alla sua visione di Brexit.Ieri mattina la sessantaduenne «figlia del vicario» è apparsa in lacrime fuori dal numero 10 di Downing Street: «Ho provato di tutto ma ho fallito», ha dichiarato annunciando le sue dimissioni, che diventeranno effettive il 7 giugno prossimo. Giusto il tempo di riaprire il Parlamento, chiuso la settimana prossima, e di ricevere il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, il 3 giugno. È questa, l'onore di ospitare il principale alleato, l'ultima concessione del Partito conservatore a Theresa May, il cui passo indietro apre la strada a un nuovo primo ministro che dovrebbe entrare in carica entro fine luglio dopo le primarie per la leadership del Partito conservatore.Si è presentata con al suo fianco il marito Philip, che pare abbia avuto un ruolo nel convincerla al passo indietro simile a quello svolto 29 anni fa da Denis Thatcher con la moglie Margaret. Con la voce spezzata dalle lacrime, ha ringraziato di aver potuto «servire il Paese che amo». «Compromesso non è una parola sporca, la vita è fatta di compromessi», ha detto riferendosi a quei compromessi sulla Brexit che aveva raggiunto con Bruxelles ma non a Londra. Per mesi ha infatti cercato di costruire una maggioranza a Westminster attorno alla sua proposta di uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. Ma non c'è stato verso: ha dovuto gettare la spugna nonostante la Brexit fosse la missione della sua vita politica. «Ci sono 650 deputati alla Camera dei Comuni e ci sono 650 idee diverse di Brexit», ha ripetuto spesso puntando il dito contro il Parlamento che ha bocciato la proposta per ben tre volte.Divenuta premier nel luglio 2016 dopo la vittoria del Leave e le conseguenti dimissioni del premier remainer David Cameron, Theresa May era arrivata perfino a trattare con il nemico, cioè il Partito laburista, a promettere il passo indietro in cambio del sì dell'Aula al suo accordo. Niente da fare. L'ultima sua proposta probabilmente non verrà neppure discussa in Parlamento, affossata dal litigiosissimo e spaccatissimo Partito conservatore. E anche se fosse discussa, sarebbe stata soltanto una sofferenza in più per lei.Il discorso della May è stato accolto con favore dal leader dell'opposizione, il laburista Jeremy Corbyn, che ha parlato di scelta giusta, quanto inevitabile, convinto che un nuovo leader conservatore non possa fare meglio. Per questo, il capo dei laburisti ha invocato elezioni anticipate.È corso a riposizionarsi anche il favorito per la successione di Theresa May, Boris Johnson, che negli ultimi giorni, convinto di poter recuperare senza troppe difficoltà i voti che il Partito conservatore ha perso a favore del Brexit party di Nigel Farage alle elezioni europee, ha instaurato un intenso dialogo con gli esponenti dell'anima più centrista della destra britannica. L'eccentrico ex sindaco di Londra, che nella campagna per il referendum del 2016 fu il capopopolo degli euroscettici e che della May è stato per due anni ministro degli Esteri fino alla rottura per divergenze sulla Brexit, ha dichiarato: «Un discorso di grande dignità da Theresa May, ora è tempo di andare avanti verso ciò che lei ha chiesto: unirci e attuare la Brexit». Parole da campagna elettorale, a cui si aggiunge anche un'idea chiara sul divorzio: «Il Regno Unito uscirà in ogni caso dall'Unione Europea il prossimo 31 ottobre, con o senza accordo». Johnson non esclude quindi il cosiddetto no deal, che prevederebbe una frontiera al confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d'Irlanda, mettendo ancor più a rischio la già precaria pace sull'isola. Ma questo scenario allarma anche l'Europa, con la Germania di Angela Merkel che teme pesanti ripercussioni per le sue imprese, soprattutto quelle automobilistiche.La deadline del 31 ottobre e le difficoltà a superare il nodo gordiano del confine nord irlandese sono i due elementi che hanno affossato gli sforzi della May e che spaventano i contendenti alla sua successione. In corsa, tutti a inseguire il favoritissimo Johnson, ci sono diversi sostenitori della Brexit dura e senza compromessi, come Andrea Leadsom, ex ministro per i Rapporti con il Parlamento che si è dimessa questa settimana, e Jeremy Hunt, ministro degli Esteri. Ma occhio a Michael Gove, ministro dell'Ambiente, l'uomo che nel 2016 scaricò Johnson dopo esserne stato amico e braccio destro nella battaglia per il Leave, impedendogli di succedere a Cameron.
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