
Da Laura Boldrini a Nicola Zingaretti passando per Repubblica, progressisti compatti nel tirare per la giacca il cantante italoegiziano vincitore del Festival. Trattamento opposto per il Volo: un video mostra i giornalisti che insultano i tre tenori. Ai competenti resta solo Sanremo. A sinistra tifavano per il potere al popolo, ora difendono con le unghie, i denti e i tweet l'ultimo baluardo di democrazia «temperata». Cioè, la kermesse musicale dove è possibile correggere il voto popolare e populista con un voto «impegnato», pregno di coscienza civile. Il Festival, invero, ha avuto tre vincitori: uno morale (Loredana Bertè, acclamata dal pubblico dell'Ariston), uno popolare (Ultimo) e uno «politico», Alessandro Mahmood, che al televoto era arrivato terzo dietro il Volo, ma è stato incoronato grazie alla giuria degli esperti. Un trionfo «tecnodiretto». Come se Mario Draghi avesse destituito il governo gialloblù. Come se i mercati ci avessero «insegnato a votare». Sarà stato questo paragone ideale a far prorompere la sala stampa sanremese in grida di giubilo, alla proclamazione di Mahmood. Un'esultanza scomposta che avrà indisposto il secondo classificato, Ultimo, durissimo con i giornalisti. Durante la conferenza stampa è stato contestato per aver definito Mahmood un «ragazzo». E in un video su Instagram si è tolto un po' di sassolini dalla scarpa, lamentando la scarsa influenza del televoto: «Perché fate pagare la gente a casa per votare, se poi a decidere sono i giornalisti?». Gli stessi giornalisti, per intenderci, che come ha mostrato un altro video, pubblicato da Francesco Facchinetti, hanno accolto il terzo posto del Volo in modo poco «british»: «Merde, coglioni». Si vede che ai tre tenori non è bastato rifiutare l'invito di Donald Trump alla Casa Bianca, per accreditarsi presso gli anti populisti.Il cantante italo egiziano, in realtà, è stato arruolato dalla sinistra solo suo malgrado. Non ha ancora chiesto di «restare umani» o di aprire i porti. E nel 2016, al Comune di Milano, aveva pure sostenuto un giovane candidato di Forza Italia. Nondimeno, il sindaco del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala, già lo vorrebbe a Palazzo Marino per complimentarsi personalmente, come ha scritto su Twitter. Politici e giornalisti che tifano per il melting pot hanno già fatto partire la staffetta sui social network. C'è pure chi approfitta della polemica a distanza tra Matteo Salvini ed Elisa Isoardi. Lui commenta la vittoria di Mahmood con un «mah», lei addirittura se ne esce con «l'incontro di culture differenti» che «genera bellezza». Per poi subire a sua volta la frecciatina di Salvini, che indirettamente risponde: «Chi mi conosce potrebbe osservare un rispettoso silenzio». Anche perché, nel frattempo, era scattata la corsa al ritweet della Isoardi. Gara probabilmente vinta da Laura Boldrini, che si è detta d'accordo con la ex compagna del leader leghista.Mahmood, comunque, un risultato l'ha sicuramente ottenuto. Ha catalizzato l'attenzione degli illuminati intellò verso una manifestazione orribilmente (anzi, «ovvibilmente», con la erre moscia) nazionalpopolare, trasformata alla bisogna in una passerella politicamente impegnata. Tipo menata di Spike Lee sui neri a Hollywood, o discorso ambientalista di Leonardo Di Caprio alla consegna degli Oscar. Nella galleria cibernetica di tifosi del cantautore «multietnico», è comparso pure Sandro Ruotolo. Un altro giornalista, in questi giorni al centro delle polemiche per l'eliminazione della sua scorta (aveva subito minacce dal clan dei Casalesi). La scorta l'ha riavuta. E ha trovato il tempo di polemizzare con il titolare del Viminale: «C'è un ragazzo che ha raggiunto il cielo e tu con quel “mah"… Sì, io oggi mi chiamo Mahmood, Amjad, Adham, Karim». Meglio abbondare: è il «molti» culturalismo, bellezza. Ma ai giornalisti piace troppo fare le vittime. E così, su Repubblica, Natalia Aspesi ha addirittura evocato la «minaccia di bavaglio generale», che i poveri cronisti starebbero subendo a causa della loro crociata per Mahmood. Perché dove voi vedete il Festival di Sanremo, loro già hanno scoperto l'eterno ritorno del fascismo. Naturalmente, tra gli aedi dell'artista italo egiziano non poteva mancare l'aspirante nuova classe dirigente del Partito democratico. Nicola Zingaretti, ad esempio, ha rilanciato un post di Ermal Meta pr manifestare la sua soddisfazione per la vittoria di Mahmood. Sostenendo, tutto sommato, qualcosa di vero: «La musica non ha passaporti». Ma forse i primi a doverselo ricordare sono quelli che si sono aggreppiati al ritornello sanremese per creare l'ennesima querelle sul razzismo. La dirigente dem, Anna Rita Leonardi, si è detta «molto più orgogliosa di essere connazionale di Mahmood che non della “signora" Maglie». Proprio così, signora tra virgolette. Aver criticato il meticciato, Maometto e il ramadan, probabilmente deve costare a Maria Giovanna Maglie l'espulsione dal consesso umano. Con il verdetto di Sanremo, ha scritto la Leonardi, a Salvini sarà servita «acqua e zucchero». In verità, pare che il ministro dell'Interno abbia telefonato a Mahmood, pregandolo di non lasciarsi strumentalizzare politicamente. Giusto. Il «ragazzo» si goda la fama, il successo. Pensi alla musica. Oppure solo ai «soldi».
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