Dati Eurostat 2025: il 19,9% degli italiani tra 16 e 74 anni ha usato strumenti come ChatGpt o Gemini, contro una media europea del 32,7%. Peggio solo la Romania, mentre Danimarca, Estonia e Malta guidano la classifica.
L’Italia si colloca tra gli ultimi Paesi dell’Unione europea per utilizzo di strumenti di Intelligenza artificiale generativa. Nel 2025, solo il 19,9% delle persone tra i 16 e i 74 anni ha dichiarato di aver utilizzato, negli ultimi tre mesi, applicazioni come ChatGpt, Gemini o strumenti analoghi. Un dato nettamente inferiore alla media europea, che si attesta al 32,7%. Peggio del Belpaese fa soltanto la Romania, ferma al 17,8%.
A certificare il quadro è Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, che ha diffuso i risultati dell’indagine sull’uso delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) nelle famiglie e tra gli individui. I dati sono stati pubblicati il 16 dicembre 2025 all’interno del report «Statistiche dell’economia e della società digitale - famiglie e individui».
Il confronto tra Stati membri evidenzia un’Europa che viaggia a più velocità. In testa alla classifica si collocano la Danimarca, dove il 48,4% della popolazione utilizza strumenti di Ia generativa, seguita da Estonia (46,6%) e Malta (46,5%). All’estremo opposto, oltre a Romania e Italia, compare la Bulgaria con il 22,5%. Il divario tra Nord e Sud, e tra Paesi più e meno digitalizzati, emerge in modo netto.
Secondo Eurostat, l’uso dell’Ia generativa è prevalentemente legato alla sfera personale: il 25,1% degli europei che ricorrono a questi strumenti lo fa per scopi privati. Seguono gli utilizzi professionali, che coinvolgono il 15,1% degli intervistati, e quelli legati all’istruzione formale, pari al 9,4%. Il dato conferma come l’Intelligenza artificiale generativa stia progressivamente entrando nella quotidianità, andando oltre l’ambito strettamente lavorativo o specialistico.
Resta però ampia la platea di cittadini europei che non fa uso di questi strumenti. Oltre due terzi della popolazione dell’Ue dichiara di non aver utilizzato applicazioni di Ia generativa nel 2025. Le motivazioni principali riguardano la percezione di inutilità: il 39% degli intervistati afferma di non averne bisogno. Seguono la mancanza di competenze adeguate (8%) e la scarsa conoscenza dell’esistenza stessa di questi strumenti (5%). Più contenuta, ma comunque presente, la quota di chi cita timori legati a privacy e sicurezza dei dati, pari al 4%.
La motivazione della «mancanza di necessità» risulta particolarmente diffusa in alcuni grandi Paesi europei. In Polonia il 54% dei non utilizzatori indica questa ragione, mentre in Germania la quota sale al 49%. Dati che suggeriscono come la resistenza all’adozione dell’Ia generativa non sia soltanto un problema di arretratezza tecnologica, ma anche di percezione del valore aggiunto offerto da questi strumenti.
Nel caso italiano, il basso livello di utilizzo solleva interrogativi più ampi sullo stato della trasformazione digitale del Paese. Il dato del 19,9% segnala un ritardo che rischia di riflettersi sulla competitività del sistema produttivo, sull’innovazione nei servizi e sulla capacità di cogliere le opportunità offerte dall’economia digitale. Un divario che si inserisce in un contesto già segnato da differenze territoriali e generazionali nell’accesso e nelle competenze digitali.
Nonostante le forti disparità tra Stati membri, il quadro complessivo delineato da Eurostat indica una tendenza in crescita. Un europeo su tre utilizza oggi strumenti chatbot, un dato destinato a crescere nei prossimi anni. La diffusione di queste tecnologie pone però nuove sfide sul piano della formazione, delle competenze e della regolamentazione.



