2025-12-26
L’Italia resta indietro sull’Ia generativa: solo un cittadino su cinque la utilizza
App di Intelligenza artificiale (iStock)
A certificare il quadro è Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, che ha diffuso i risultati dell’indagine sull’uso delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) nelle famiglie e tra gli individui. I dati sono stati pubblicati il 16 dicembre 2025 all’interno del report «Statistiche dell’economia e della società digitale - famiglie e individui».
Il confronto tra Stati membri evidenzia un’Europa che viaggia a più velocità. In testa alla classifica si collocano la Danimarca, dove il 48,4% della popolazione utilizza strumenti di Ia generativa, seguita da Estonia (46,6%) e Malta (46,5%). All’estremo opposto, oltre a Romania e Italia, compare la Bulgaria con il 22,5%. Il divario tra Nord e Sud, e tra Paesi più e meno digitalizzati, emerge in modo netto.
Secondo Eurostat, l’uso dell’Ia generativa è prevalentemente legato alla sfera personale: il 25,1% degli europei che ricorrono a questi strumenti lo fa per scopi privati. Seguono gli utilizzi professionali, che coinvolgono il 15,1% degli intervistati, e quelli legati all’istruzione formale, pari al 9,4%. Il dato conferma come l’Intelligenza artificiale generativa stia progressivamente entrando nella quotidianità, andando oltre l’ambito strettamente lavorativo o specialistico.
Resta però ampia la platea di cittadini europei che non fa uso di questi strumenti. Oltre due terzi della popolazione dell’Ue dichiara di non aver utilizzato applicazioni di Ia generativa nel 2025. Le motivazioni principali riguardano la percezione di inutilità: il 39% degli intervistati afferma di non averne bisogno. Seguono la mancanza di competenze adeguate (8%) e la scarsa conoscenza dell’esistenza stessa di questi strumenti (5%). Più contenuta, ma comunque presente, la quota di chi cita timori legati a privacy e sicurezza dei dati, pari al 4%.
La motivazione della «mancanza di necessità» risulta particolarmente diffusa in alcuni grandi Paesi europei. In Polonia il 54% dei non utilizzatori indica questa ragione, mentre in Germania la quota sale al 49%. Dati che suggeriscono come la resistenza all’adozione dell’Ia generativa non sia soltanto un problema di arretratezza tecnologica, ma anche di percezione del valore aggiunto offerto da questi strumenti.
Nel caso italiano, il basso livello di utilizzo solleva interrogativi più ampi sullo stato della trasformazione digitale del Paese. Il dato del 19,9% segnala un ritardo che rischia di riflettersi sulla competitività del sistema produttivo, sull’innovazione nei servizi e sulla capacità di cogliere le opportunità offerte dall’economia digitale. Un divario che si inserisce in un contesto già segnato da differenze territoriali e generazionali nell’accesso e nelle competenze digitali.
Nonostante le forti disparità tra Stati membri, il quadro complessivo delineato da Eurostat indica una tendenza in crescita. Un europeo su tre utilizza oggi strumenti chatbot, un dato destinato a crescere nei prossimi anni. La diffusione di queste tecnologie pone però nuove sfide sul piano della formazione, delle competenze e della regolamentazione.
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Dati Eurostat 2025: il 19,9% degli italiani tra 16 e 74 anni ha usato strumenti come ChatGpt o Gemini, contro una media europea del 32,7%. Peggio solo la Romania, mentre Danimarca, Estonia e Malta guidano la classifica.L’Italia si colloca tra gli ultimi Paesi dell’Unione europea per utilizzo di strumenti di Intelligenza artificiale generativa. Nel 2025, solo il 19,9% delle persone tra i 16 e i 74 anni ha dichiarato di aver utilizzato, negli ultimi tre mesi, applicazioni come ChatGpt, Gemini o strumenti analoghi. Un dato nettamente inferiore alla media europea, che si attesta al 32,7%. Peggio del Belpaese fa soltanto la Romania, ferma al 17,8%. A certificare il quadro è Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, che ha diffuso i risultati dell’indagine sull’uso delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) nelle famiglie e tra gli individui. I dati sono stati pubblicati il 16 dicembre 2025 all’interno del report «Statistiche dell’economia e della società digitale - famiglie e individui».Il confronto tra Stati membri evidenzia un’Europa che viaggia a più velocità. In testa alla classifica si collocano la Danimarca, dove il 48,4% della popolazione utilizza strumenti di Ia generativa, seguita da Estonia (46,6%) e Malta (46,5%). All’estremo opposto, oltre a Romania e Italia, compare la Bulgaria con il 22,5%. Il divario tra Nord e Sud, e tra Paesi più e meno digitalizzati, emerge in modo netto. Secondo Eurostat, l’uso dell’Ia generativa è prevalentemente legato alla sfera personale: il 25,1% degli europei che ricorrono a questi strumenti lo fa per scopi privati. Seguono gli utilizzi professionali, che coinvolgono il 15,1% degli intervistati, e quelli legati all’istruzione formale, pari al 9,4%. Il dato conferma come l’Intelligenza artificiale generativa stia progressivamente entrando nella quotidianità, andando oltre l’ambito strettamente lavorativo o specialistico.Resta però ampia la platea di cittadini europei che non fa uso di questi strumenti. Oltre due terzi della popolazione dell’Ue dichiara di non aver utilizzato applicazioni di Ia generativa nel 2025. Le motivazioni principali riguardano la percezione di inutilità: il 39% degli intervistati afferma di non averne bisogno. Seguono la mancanza di competenze adeguate (8%) e la scarsa conoscenza dell’esistenza stessa di questi strumenti (5%). Più contenuta, ma comunque presente, la quota di chi cita timori legati a privacy e sicurezza dei dati, pari al 4%.La motivazione della «mancanza di necessità» risulta particolarmente diffusa in alcuni grandi Paesi europei. In Polonia il 54% dei non utilizzatori indica questa ragione, mentre in Germania la quota sale al 49%. Dati che suggeriscono come la resistenza all’adozione dell’Ia generativa non sia soltanto un problema di arretratezza tecnologica, ma anche di percezione del valore aggiunto offerto da questi strumenti.Nel caso italiano, il basso livello di utilizzo solleva interrogativi più ampi sullo stato della trasformazione digitale del Paese. Il dato del 19,9% segnala un ritardo che rischia di riflettersi sulla competitività del sistema produttivo, sull’innovazione nei servizi e sulla capacità di cogliere le opportunità offerte dall’economia digitale. Un divario che si inserisce in un contesto già segnato da differenze territoriali e generazionali nell’accesso e nelle competenze digitali.Nonostante le forti disparità tra Stati membri, il quadro complessivo delineato da Eurostat indica una tendenza in crescita. Un europeo su tre utilizza oggi strumenti chatbot, un dato destinato a crescere nei prossimi anni. La diffusione di queste tecnologie pone però nuove sfide sul piano della formazione, delle competenze e della regolamentazione.
L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
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Donald Trump con il Segretario alla Guerra degli Stati Uniti Pete Hegseth (Getty Images)
«Stasera, su mia indicazione in qualità di Comandante in Capo, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco potente e letale contro la feccia terroristica dell’Isis nel nord-ovest della Nigeria, che ha preso di mira e ucciso brutalmente, principalmente cristiani innocenti, a livelli che non si vedevano da molti anni, persino da secoli», ha scritto il presidente.
L’intervento militare arriva dopo settimane di tensioni tra Washington e Abuja. Trump aveva più volte accusato il governo nigeriano di non riuscire a fermare le violenze contro le comunità cristiane, annunciando già il mese scorso di aver ordinato al Pentagono di predisporre una possibile azione armata. In parallelo, il Dipartimento di Stato aveva comunicato restrizioni sui visti per cittadini nigeriani e familiari coinvolti in uccisioni di massa e persecuzioni religiose. Gli Stati Uniti hanno inoltre inserito la Nigeria tra i «Paesi di particolare preoccupazione» ai sensi dell’International Religious Freedom Act.
Nel suo messaggio, Trump ha rivendicato la continuità tra gli avvertimenti lanciati in precedenza e l’azione militare appena condotta: «Avevo già avvertito questi terroristi che se non avessero smesso di massacrare i cristiani, avrebbero pagato un prezzo altissimo, e stasera è successo». Il presidente ha quindi elogiato l’operato delle forze armate: «Il Dipartimento della Guerra ha eseguito numerosi attacchi perfetti, come solo gli Stati Uniti sono in grado di fare. Sotto la mia guida, il nostro Paese non permetterà al terrorismo islamico radicale di prosperare. Che Dio benedica le nostre forze armate e Buon Natale a tutti, compresi i terroristi morti, che saranno molti di più se continueranno a massacrare i cristiani».
La conferma dell’operazione è arrivata anche dal Comando militare statunitense per l’Africa (Africom), che ha spiegato come l’attacco sia stato condotto su richiesta delle autorità nigeriane e abbia portato all’uccisione di diversi terroristi dell’Isis. «Gli attacchi letali contro l’Isis dimostrano la forza del nostro esercito e il nostro impegno nell’eliminare le minacce terroristiche contro gli americani, in patria e all’estero», ha comunicato Africom. Sulla stessa linea il capo del Pentagono, Pete Hegseth, che ha ricordato come la posizione del presidente fosse stata chiarita già nelle settimane precedenti: «Il presidente era stato chiaro il mese scorso: l’uccisione di cristiani innocenti in Nigeria (e altrove) deve finire. Il Dipartimento della Guerra è sempre pronto, come ha scoperto l’Isis stasera, a Natale. Seguiranno altre notizie», aggiungendo di essere «grato per il sostegno e la cooperazione del governo nigeriano».
Da Abuja è arrivata una conferma ufficiale dei raid. In una nota, il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale della Nigeria ha dichiarato che «le autorità nigeriane continuano a collaborare in modo strutturato con i partner internazionali, compresi gli Stati Uniti, nella lotta contro la minaccia persistente del terrorismo e dell’estremismo violento». La cooperazione, prosegue il comunicato, ha portato «a attacchi mirati contro obiettivi terroristici in Nigeria mediante raid aerei nel nord-ovest del Paese». Il ministero ha inoltre precisato che, «in linea con la prassi internazionale consolidata e gli accordi bilaterali, tale cooperazione comprende lo scambio di informazioni, il coordinamento strategico e altre forme di sostegno conformi al diritto internazionale, il reciproco rispetto della sovranità e gli impegni condivisi in materia di sicurezza regionale e globale».
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Vincent Van Gogh, Campi di grano con falciatore, Auvers, 1890.Toledo Museum of Art, acquistato con fondi del Libbey Endowment, dono di Edward Drummond Libbey
Figura che ama stupire, questa volta Goldin ha ideato un’esposizione che « va cronologicamente a ritroso »: parte dall'astrazione americana del secondo Novecento (con artisti come Richard Diebenkorn, Morris Louis e Helen Frankenthaler), prosegue con l'astrazione europea ( rappresentata da opere di Piet Mondrian, Paul Klee e Ben Nicholson) e si conclude con il passaggio dal Novecento all’Ottocento, con focus su natura morta, ritratto e paesaggio. Tre temi fondamentali, pur nelle loro molteplici declinazioni, rappresentati, in mostra, dalle sfumature poetiche delle nature morte di Giorgio Morandi e Georges Braque e dai ritratti e dalle figure di Matisse, Bonnard e Vuillard, sino ad arrivare a De Chirico e Modigliani (di grande intensità il ritratto di Paul Guillaume del 1815) e alla famosa Donna con cappello nero, uno splendido Picasso cubista del 1909. Davvero straordinaria anche la parte (l’ultima di questo originale percorso al contrario…) dedicata al paesaggio, che regala al visitatore le meravigliose visioni veneziane di Paul Signac, la Parigi di Robert Delaunay e Fernand Léger e una strepitosa sequenza di paesaggi impressionisti e post-impressionisti, tra cui spiccano una delle ultime versioni (forse la più bella… ) delle Ninfee di Monet, accanto a capolavori assoluti di Gauguin, Cezanne, Caillebotte, Renoir e Sisley, a Treviso con il suo celebre L’acquedotto a Marly, realizzato nello stesso anno della prima mostra impressionista, il 1874. A chiudere questo anomalo e ricchissimo percorso espositivo, l’artista più amato e studiato da Goldin: Vincent Van Gogh.
Solitario, a dominare su tutto, quasi a congedare il pubblico, quel capolavoro che è Campo di grano con falciatore ad Auvers del 1890, l’opera con cui l’artista olandese dice addio alla vita e che rappresenta con largo anticipo l’arte futura, quella modernità già raggiunta da Van Gogh nell’incomprensione quasi totale del suo tempo… E sempre a lui, inarrivabile e tormentato genio pittorico , è dedicato film scritto e diretto da Goldin Gli ultimi giorni di Van Gogh, proiettato a ciclo continuo nella sala ipogea del museo trevigiano. Con questa poetica proiezione si conclude il percorso espositivo, che splendidamente rappresenta la qualità altissima delle opere custodite nel Toledo Museum of Art dell’Ohio, il quotatissimo museo americano (nominato nel 2025 il miglior museo degli Stati Uniti) che ha reso possibile questa prestigiosa esposizione, che da sola merita almeno un giorno a Treviso…
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Il primo giorno di esercizio delle Ferrovie Meridionali Sarde alla stazione di Iglesias nel 1926
La Sardegna era rimasta l’ultima regione dell’Italia postunitaria a non avere una strada ferrata. Le difficoltà logistiche dovute alla distanza dal continente erano state il principale ostacolo, seguito dallo scarsissimo sviluppo economico e industriale dell’isola, caratterizzata da una secolare arretratezza. Le prime ferrovie sarde furono infatti realizzate oltre vent’anni dopo la prima linea italiana, la Napoli-Portici del 1839. Solo nel 1862, su concessione del governo unitario, fu costituita a Londra con capitale privato la Compagnia delle Ferrovie Reali Sarde (CFRS) che realizzò in 18 anni la tratta che collegava, percorrendo l’interno della Sardegna, Cagliari a Porto Torres. Negli anni successivi la rete fu ampliata da altre due concessioni ferroviarie realizzate con capitale privato. La prima fu la Società delle Strade Ferrate Secondarie della Sardegna (SFSS), fondata nel 1886, che realizzò linee a scartamento ridotto da 950mm (più agili dell’ordinario per i tratti più tortuosi dell’interno dell’Isola) tra il 1888 e il 1932. Le SFSS coprirono le tratte Cagliari – Isili (1888), Monti – Tempio Pausania (1888), Macomer – Nuoro (1889), Isili – Villacidro (1891), Mandas – Sorgono (1893), Mandas – Seui (1893), Seui – Villanova Tulo (1894), Villanova Tulo – Ussassai (1894), Ussassai – Gairo (1894), Gairo – Tortolì / Arbatax (1894), Villamar – Ales (1915), Sassari – Alghero (1929), Sassari – Tempio Pausania (1931), Tempio Pausania – Palau (1932). Una terza rete ferroviaria fu quella delle Ferrovie Complementari della Sardegna (FCS), una concessione scaturita dalla legge finanziaria del 1912 con capitale pubblico. A scartamento ridotto come le SFSS, le Complementari entrarono in esercizio solo nel 1921. Le tratte coperte furono Chilivani – Tirso (1921), Villamassargia – Carbonia (1926), Decimomannu – Iglesias (1926).
La zona Sud-occidentale invece, rimasta per anni isolata dalla rete ferroviaria, fu coperta negli stessi anni da un’altra rete in concessione, che avrebbe servito negli anni successivi una delle aree segnate dal più intenso sviluppo industriale: il Sulcis delle miniere di carbone. La Società delle Ferrovie Meridionali Sarde (FMS) fu fondata a Busto Arsizio l’11 dicembre 1914 ma si dovettero attendere quasi 10 anni per l’inizio dei lavori a causa dello scoppio della Grande Guerra. L’esigenza primaria dell’ultima rete ferroviaria sarda in ordine cronologico era duplice: fornire un importante supporto logistico all’industria estrattiva in quegli anni in rapida crescita per il trasporto del carbone verso le navi e garantire allo stesso tempo mobilità adeguata ad una popolazione crescente a causa della domanda di forza lavoro nelle miniere del Sulcis Iglesiente. Anche le FMS erano a scartamento ridotto ed i lavori furono appaltati all’impresa Durando&Tomassini, che in soli tre anni dal 1923 al 1926 portò a termine più di 100 km. di linea costruendo 5 gallerie, 34 opere tra ponti e viadotti, 18 stazioni e 55 case cantoniere. Le tratte erano Siliqua-S.Giovanni Suergiu (connessione con FCS) e Calasetta-Iglesias-San Giovanni Suergiu. Nella tratta finale verso Calasetta erano localizzate le stazioni di scarico del carbone come quella di S.Antioco-Ponti, attrezzata con gru portuali per il carico del materiale sulle navi. Il materiale rotabile comprendeva carri passeggeri e merci, trainate inizialmente da locomotive a vapore Breda gruppo 100. Questi convogli servirono le FMS per circa un decennio in cui il traffico sia passeggeri che merci aumentò costantemente, nonostante la velocità di esercizio ridotta a poco più di 40 km/h. Nel 1936 la società acquistò le prime littorine Aln 200, che dimezzarono i tempi di percorrenza grazie ad una velocità omologata di 85 km/h. Quelli delle sanzioni seguite alla guerra d’Etiopia furono gli anni d’oro delle FMS, che arrivarono a garantire fino a 60 convogli giornalieri e a superare il milione di tonnellate/anno di carbone trasportate dai carri merci.
Poi fu la guerra, che portò la prima crisi per la società. A causa della carenza di carburante, le littorine furono accantonate e si tornò alla trazione a vapore. Il trasporto del carbone subì una contrazione di oltre il 60% a causa della mancanza di naviglio mercantile. Poi dal cielo arrivarono i bombardamenti alleati sui porti e sulla linea a meno di 20 anni dall’inizio dell’esercizio, che causarono gravi danni alle strutture e al materiale rotabile. Si salvarono tuttavia le littorine, che durante la guerra erano rimaste nascoste sotto un fogliame mimetico. Nel dopoguerra iniziò la ristrutturazione delle linee, con un piano elaborato nel 1947, che sancì la prima e ultima fase di ripresa delle FMS, grazie anche ai livelli di estrazione del carbone che arrivarono nuovamente a sfiorare il milione di tonnellate. Fu un fattore esterno, alla metà degli anni Cinquanta, a generare una crisi della società dalla quale non si sarebbe più ripresa. Il miracolo economico e i progressi tecnici favorirono la diffusione dei prodotti petroliferi, con conseguente crollo del mercato del carbone. Dal 1960 le FMS furono sottoposte a commissariamento da parte dello Stato, che provò a modernizzare la linea con l’acquisto di 6 nuove automotrici ADe (diesel-elettriche). Ma la carenza ormai cronica di passeggeri fu aggravata anche dalla realizzazione di una linea ferroviaria in concorrenza con le arrancanti FMS. Nel 1956 le Ferrovie dello Stato inaugurarono la linea Villamassargia-Carbonia, che agevolava di molto il transito passeggeri verso Cagliari e serviva l’importante sito minerario di Serbariu, che fino ad allora si era affidato alle FMS. Ormai semideserte ed erose dalla diffusione sempre maggiore del traffico automobilistico privato, le storiche ferrovie del carbone giunsero al binario morto, terminando definitivamente l’esercizio nel 1974.
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