2023-04-26
Macché riforma «morbida». Il nuovo Patto di stabilità riporta l’austerity nella Ue
Il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner (Ansa)
Si eviterà l’automatismo nel taglio del debito, ma le regole che oggi la Commissione presenterà restano recessive. E anzi aumentano poteri e discrezionalità di Bruxelles.È già partita una narrazione sostanzialmente fraudolenta a proposito della riforma del Patto di stabilità. Il gioco è presto svelato: nell’ambito di un’eurofregatura che rimane clamorosa (dagli inevitabili effetti recessivi e con un probabile accentuato commissariamento delle politiche economiche nazionali), ci si limita a ritoccare un particolare, e – oplà – si inizia a raccontare che la riforma è «friendly» e «morbida». Ma le balle restano balle, le misure restrittive pure, e il sostanziale ritorno dell’austerity anche. La cosiddetta «novità» (quella per cui è già partita la grancassa) è che, nell’ambito della nuova proposta che oggi dovrebbe essere avanzata dalla Commissione Ue, sarebbe stata cancellata una modifica peggiorativa che a un certo punto era stata prospettata. In altri termini, Germania e Olanda, in una certa fase, avevano sollecitato l’inserimento addirittura di una cifra fissa di riduzione annua del debito per i Paesi fortemente indebitati. Ma poiché questa eventuale correzione, oltre a colpire Roma e Atene, avrebbe finito per danneggiare pure Parigi, questo ulteriore tocco di eurosadismo dovrebbe saltare. Morale: non ci dovrebbe essere più una cifra fissa bensì un misterioso «benchmark», cioè un parametro di riferimento. Ma attenzione: resterebbe tutto il rimanente repertorio di insidie. E in ogni caso i mitici Paesi frugali fanno già sapere di essere insoddisfatti in vista del prossimo Ecofin. E lo stesso ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner tira la corda: scrivendo sul Financial Times, chiede «disposizioni di salvaguardia per garantire un’effettiva diminuzione dei rapporti debito/Pil» e insiste sul fatto che il Patto di stabilità vada «rafforzato, non indebolito», con «più responsabilità». Stringere ancora il guinzaglio, in altre parole. A nostro avviso, siamo in presenza di un autentico trappolone, di una gabbia capace di combinare la storica propensione dell’Ue a produrre stagnazione (anziché crescita) e l’attitudine delle burocrazie bruxellesi all’arbitrio, alla discrezionalità, alla trattativa estenuante e – in ultima analisi – al bullismo nei confronti dei governi politicamente sgraditi.Tanto per cominciare restano – come principio – le regole più assurde, quelle che non a caso erano state sterilizzate da tempo (nei fatti) e comunque erano state sospese durante l’emergenza pandemica e quella energetica: 3% (rapporto deficit/Pil), 60% (rapporto debito/Pil), cioè esattamente i vecchi contestatissimi paletti che, se si aggiunge quanto era previsto alla lettera nel Fiscal Compact, avrebbero addirittura dovuto portare (per la quota eccedente rispetto al 60%) al taglio di 1/20 del debito all’anno. Tradotto in soldoni: aumenti di tasse forzosi, o tagli di spesa forzosi, comunque un percorso a passi veloci verso la recessione. E allora dove sarebbero le «novità»? Bontà sua, l’Ue preparerebbe per ogni Paese un’ipotesi eufemisticamente detta di «aggiustamento» spalmata su 4 anni. A quel punto, il Paese presenterebbe delle controdeduzioni, e alla fine si arriverebbe all’adozione di un «percorso» che potrebbe essere allungato nel tempo fino a 7 anni se il paese si obbliga a mitiche «riforme».Non basta ancora questo palese incaprettamento? Ecco un’altra squisitezza: si adotterebbe sistematicamente, come altalena premiale o punitiva, un meccanismo di condizionalità: non ti sei comportato bene? E allora ti sospendo i fondi. Senza dire che si faciliterebbe l’innesco di una procedura per debito eccessivo.Resta da capire con quale coraggio si continui a usare la parola «crescita» accanto a «stabilità» (la definizione resta infatti: «Patto di stabilità e crescita»): semmai, questa è un’autostrada verso la stagnazione o proprio verso la recessione. Intendiamoci: chi scrive non ha mai negato che l’Italia debba fare qualcosa di rilevante per ridurre il suo stock di debito, né che debba mettere mano a un ragionevole ma serio taglio degli sprechi. Ma attraverso quanto propone Bruxelles si rende drammaticamente impervia anche un’operazione pro-crescita volta a sforare con un forte taglio di tasse. In più si conferma e si aggrava un elemento di intollerabile asimmetria. Da molti anni (anche extra pandemia e crisi energetica) quelle regole erano applicate in modo incostante (gli ottimisti dicevano: «flessibile»). Il che ha portato alla solita distinzione tra figli e figliastri: l’Italia era quasi sempre bacchettata benché avesse sforato poche volte rispetto all’asticella del 3%, mentre la Francia veniva regolarmente «assolta» benché avesse scavalcato quello stesso limite del 3% per 10 anni consecutivi, dal 2007 al 2016, inclusi gli anni in cui al governo c’era Pierre Moscovici, che poi, una volta nominato commissario Ue, sarebbe diventato uno dei cerberi più scatenati contro l’Italia. Adesso ci si dice, come abbiamo visto, che la «grande novità» sarebbe l’idea di trattare a livello bilaterale tra Bruxelles e il singolo Stato. Ma si tratta della versione 2.0, cioè di un mero aggiornamento (con i peggioramenti descritti), di ciò che de facto già avviene da anni e che non ci è mai piaciuto: una trattativa estenuante, caso per caso, anno per anno, con i commissari Ue nei panni degli esaminatori e i governi nei panni degli scolari. Inutile far finta che non sia così: questo sistema continuerebbe a portare con sé enormi rischi di discrezionalità e arbitrarietà. A un governo «gradito» si praticherà un trattamento, mentre a uno «sgradito» – con ogni probabilità – sarà riservato un trattamento diverso. Il tutto in mezzo a un gioco sapiente di attacchi mediatici e magari (il futuro può sempre ispirarsi ai «classici» del passato) di un nuovo utilizzo del manganello dello spread.Per queste ragioni, sarà bene che l’Italia sia determinata nel cercare alleanze per contrastare e modificare questo schema, e comunque non si faccia infilare al collo il solito cappio, ancora più insidioso rispetto al passato. Ci vogliono commissariare: è bene esserne consapevoli e reagire di conseguenza.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.