2025-08-09
Macché apocalisse: l’economia globale vola
Jamie Dimon, presidente di JPMorgan Chase, la più grande banca americana (Ansa)
Smentiti i gufi delle gabelle: a luglio la crescita ha accelerato per il terzo mese consecutivo e l’indice di J.P. Morgan si è attestato a 52,4 punti, il massimo da sette mesi. «Questo incremento ha sorpreso anche noi», ammette la banca d’affari americana.C’era una volta – ma non troppo tempo fa – un coro planetario, composto da esperti, analisti, commentatori, premi Nobel, che descriveva il collasso imminente dell’economia globale. Il motivo? I dazi. Sì, quei famigerati balzelli commerciali introdotti da Donald Trump, che secondo le Cassandre di professione avrebbero dovuto spalancare le porte a una nuova era di stagnazione, recessione e – perché no? – carestie e cavallette.Ora, lasciando da parte l’entomologia, siamo nell’agosto del 2025, e ci tocca registrare un dato sorprendente: l’economia mondiale non è solo viva e vegeta, ma cresce. E non parliamo di una crescita stentata, anestetizzata dai tassi zero o drogata da politiche fiscali fantasiose. No: la crescita globale ha accelerato per il terzo mese consecutivo a luglio, toccando il ritmo più rapido da inizio anno. L’indice globale di J.P. Morgan (una delle grandi banche d’affari di Wall Street) e S&P Global (diretta emanazione dell’occhiuta agenzia di rating) si è attestato a 52,4 punti, massimo da sette mesi.E adesso? Dov’è il cratere lasciato dall’implosione economica tanto attesa? Dov’è l’Apocalisse dei dazi?La verità, per chi ha la bontà di leggerla nei dati, è che l’economia globale sta sfoderando una forza sorprendente, anche sotto il peso di costi di produzione in aumento, tensioni geopolitiche e tariffe doganali sempre più spigolose. Certo, l’impatto dei dazi si vede, specialmente negli Stati Uniti, dove l’inflazione è risalita ai massimi da due anni, con molte imprese che segnalano come causa proprio i rincari doganali.Ma se l’obiettivo dei dazi era riportare la produzione in patria, stimolare la domanda interna e riequilibrare i deficit commerciali. non c’è che dire: il bilancio non è così tragico come temuto. Gli Stati Uniti sono oggi tra i motori della crescita globale, subito dopo l’India, che si è confermata locomotiva dell’economia mondiale. Ma gli Usa nonostante tutto – dazi, inflazione, guerre culturali e primarie tossiche – continuano a correre.Piuttosto, il vero elemento di rilievo – e qui sì che serve uno sguardo non ideologico – è la netta divergenza tra i settori: da un lato un manifatturiero che arranca, anzi arretra per la seconda volta in tre mesi; dall’altro, un settore terziario in piena espansione, con servizi finanziari, ai consumatori e alle imprese in pieno fermento. È nei servizi, infatti, che si concentra la nuova linfa dell’occupazione: terzo mese consecutivo di crescita dei posti di lavoro, con contributi forti da Italia, Spagna, Stati Uniti e India. E se l’industria licenzia, i servizi assumono.Il mondo cambia: la produzione di beni rallenta, il commercio internazionale continua a contrarsi (quarto mese di fila in negativo), ma la domanda di servizi – in particolare quelli avanzati e digitali – cresce. Altro che crollo: si chiama trasformazione.Naturalmente, non è tutto rose e fiori. Le tensioni internazionali continuano a minacciare la stabilità dei mercati, e la fiducia futura tra le imprese – dice ancora J.P. Morgan – è ai minimi post-pandemia. La Russia e il Brasile arrancano, la Cina e il Giappone si muovono col freno a mano tirato, e in Europa la locomotiva tedesca sbuffa a fatica. Ma ciononostante, il sistema tiene.In modo quasi comico, la stessa Maia Crook, economista globale di J.P. Morgan, ammette candidamente che «l’incremento del Pmi globale ha sorpreso anche noi», mentre era atteso un rallentamento. Un «oops» scientifico che vale più di mille grafici.A questo punto, ci permettiamo una piccola – ironica, ma doverosa – riflessione: che fine hanno fatto tutti coloro che prevedevano il baratro? Dove sono i megafoni del mainstream che gridavano al suicidio economico di fronte a ogni barriera doganale? Davvero pensavamo che l’economia mondiale, così complessa, interconnessa e dinamica, fosse un castello di carte destinato a cadere al primo colpo di vento trumpiano?La verità è che l’economia non è un algoritmo, ma un organismo. Reagisce, si adatta, cambia pelle. Quella del 2025 non è l’economia del 2015, e chi pretende di applicare modelli lineari a scenari così mutanti è destinato a rimanere spiazzato.Sì, i dazi stanno avendo un impatto. Ma non quello previsto. Il mondo non è tornato agli anni Trenta. Non è esplosa una guerra commerciale totale. Non è finita la globalizzazione – si è solo riconfigurata.Mentre l’occupazione cresce, i servizi trainano, la domanda resiste e persino la fiducia – tra un timore e l’altro – si mostra più coriacea del previsto, è tempo di dire le cose come stanno: il crollo non c’è stato. I dazi non hanno distrutto l’economia mondiale. Piuttosto, hanno obbligato governi e imprese a ricalibrare strategie, a innovare, a orientare catene del valore. In poche parole: ad adattarsi.E l’economia, checché ne dicano i profeti di sventura, sa farlo meglio di chiunque altro
Brunello Cucinelli (Ansa)
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