2024-12-11
Ma sindacati e sinistra scioperano contro la sicurezza
Maurizio Landini (imagoeconomica)
Nemmeno il Natale sarà risparmiato. Per la vigilia, infatti, è fissato lo sciopero dei lavoratori di un istituto di vigilanza, che verrà replicato anche dopo Santo Stefano. Nell’insieme, da qui al 25 dicembre le astensioni previste sono una cinquantina e attraversano tutti i settori, dai servizi all’industria. Del resto, non c’è da stupirsi: secondo la presidente della commissione Garanzia, nello scorso anno mediamente sono stati proclamati più di 1.600 scioperi, oltre 1.100 dei quali effettivamente eseguiti, gran parte limitati a cortei per le vie del centro. Tuttavia, se date retta a sindacati e partiti di sinistra, in Italia il governo Meloni lavora per impedire ai lavoratori di scendere in piazza. E per tale ragione ovviamente che si fa? Si sciopera. Dalla scuola ai trasporti, l’astensione dei prossimi giorni avrà tra le diverse motivazioni anche il nuovo disegno di legge sulla Sicurezza, nel quale è prevista una stretta sui blocchi stradali. Invadere i binari per fermare i treni o stoppare la circolazione delle auto sdraiandosi sull’asfalto non ha nulla a che fare con il diritto di sciopero o di manifestare. Tuttavia, l’ultima spiaggia dei compagni è questa: sostenere che la nuova legge voluta dal centrodestra sia liberticida e impedisca di protestare, violando i diritti di lavoratori e studenti.Faccio una premessa: negli anni Settanta ho seguito come cronista un’infinità di cortei a sostegno di vertenze sindacali e, a dire il vero, non ne ho mai vista alcuna che si sia risolta perché gli operai avevano occupato la sede stradale o i binari. Quando la Fiat decise di smantellare lo stabilimento di Arese, nonostante i numerosi blocchi inscenati da lavoratori dell’Alfa Romeo, le procedure di chiusura proseguirono. Dicono che sfilare serva a coinvolgere l’opinione pubblica nella lotta in corso, ma per esperienza posso dire che la sola reazione che ho notato durante le manifestazioni sia stata l’impazienza di chi era costretto ad aspettare, in macchina o in treno, che la protesta si concludesse. Insomma, la mia sensazione è che i blocchi non servano alla battaglia dei lavoratori, ma solo agli organizzatori, e i più infastiditi siano altri lavoratori, i quali sono impossibilitati a raggiungere l’ufficio o la fabbrica. Per di più, visto che a occupare le strade sono spesso i cosiddetti ambientalisti, si rischia pure di fare un danno alla causa, legittima, del rispetto della natura.Del resto, come si fa a scioperare in difesa del diritto di bloccare un treno? Come si fa a contestare una legge che inasprisce le pene per chi occupa abusivamente le case, progetta attentati o commette violenza contro un pubblico ufficiale? Come si può scendere in piazza in difesa delle donne che, pur prese con le mani nel sacco mentre rubano, non finiscono mai in carcere e possono continuare il loro «mestiere» di ladre perché sfornano un figlio dietro l’altro? Queste sono le norme del disegno di legge Sicurezza, quelle contro cui i sindacati, spalleggiati dalla sinistra, si scagliano.Possibile che le organizzazioni dei lavoratori, ma anche i partiti che dicono di voler rappresentare i più deboli, non abbiano altre cause a cui votarsi? Possibile che mentre la produzione industriale scende, segnata in particolare dal rallentamento delle vendite di auto, sindacati di base e confederali non abbiano nulla di meglio da dire? E il Pd, la cui segretaria peraltro ha voluto intrattenersi ai cancelli di Pomigliano d’Arco con operai e impiegati che rischiano il posto, non sia in grado di parlare di qualche cosa di concreto oltre a sostenere che quanto sta accadendo è tutta colpa del governo Meloni? È di ieri una notizia che pare quasi una beffa. Infatti, mentre da un lato mette in cassa integrazione i lavoratori e rinvia i piani di investimento in Italia, ciò che resta della Fiat (pardon, di Stellantis) annuncia l’apertura di una giga factory in Spagna del valore di 4 miliardi. Ma a sinistra non hanno nulla da dire di fronte alla palese presa per i fondelli e al ricatto occupazionale che viene fatto al Paese? Elly Schlein insiste nella proposta di un piano di incentivi per sostenere il settore. Ma questo significa una sola cosa: dare altri soldi alla famiglia Agnelli, che così domani, grazie alle auto vendute con i finanziamenti dei contribuenti, potrà staccarsi un nuovo maxi dividendo. Abbiamo visto che fine fanno gli aiuti: contribuiscono ai maxi stipendi. E poi ci si stupisce se qualcuno, come Fausto Bertinotti, sostiene che la sinistra ha dimenticato i lavoratori. Se al largo del Nazareno c’è una radical chic che non ha il coraggio di fermare il green deal appoggiato in Europa dal suo partito e dice che bisogna dare altri miliardi agli Elkann, che ci si può aspettare? Uno sciopero contro la legge Sicurezza.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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