Il report Istat sui primi sette mesi del 2023 sbugiarda i media sull’afa killer: i trapassi sono scesi, pure a luglio. E le stime prevedono meno vittime del 2022. Quando, oltre al virus, incise l’assenza di cure durante i lockdown.
Il report Istat sui primi sette mesi del 2023 sbugiarda i media sull’afa killer: i trapassi sono scesi, pure a luglio. E le stime prevedono meno vittime del 2022. Quando, oltre al virus, incise l’assenza di cure durante i lockdown.Avete presente i titoli con cui a metà luglio alcuni quotidiani spaventarono gli italiani scrivendo che il surriscaldamento globale era causa di decine di migliaia di morti? Repubblica, che di regola ci va con la mano leggera, parlò di strage per il caldo, indicando in 61.000 i decessi dovuti ai colpi di sole. In realtà, gli unici ad aver preso un colpo di sole erano i colleghi del giornale di casa Agnelli, i quali si erano bevuti una ricerca del settimanale britannico Nature sui danni dovuti al cambiamento climatico. Lo strombazzato studio, tra l’altro, segnalava che il maggior numero di vittime si erano registrate in Italia e dunque, apriti cielo, contro i negazionisti del clima, colpevoli di condannare a morte vecchi e bambini.A nessun giornalista di Repubblica ovviamente venne in mente di verificare se davvero le cose stessero come aveva raccontato il periodico inglese o se la prestigiosa testata avesse preso un abbaglio. Soprattutto, nessuno si peritò di mettere a confronto i dati del 2022 – anno preso in esame – con quelli del 2003, quando si verificò un’estate con temperature particolarmente elevate. La semplice comparazione dei numeri avrebbe sconsigliato chiunque dall’usare termini come strage, ecatombe, decimazione eccetera. Infatti, vent’anni fa si registrarono più decessi di quelli dello scorso anno e dunque la teoria che con il caldo oggi si muore di più che all’inizio del secolo sarebbe andata a farsi benedire.Tuttavia, a mettere una parola definitiva sull’allarmismo di certe testate basta un dossier circolato in questi giorni e segnalato dal Messaggero, da cui si evince che nell’anno in corso la mortalità è in calo e sta tornando ai livelli pre-Covid. Certo, non si parla solo di vittime del caldo, ma siccome spesso, quando si fa la conta dei morti si scopre che ad averne fatto le spese sono i soggetti fragili e tra questi gli anziani, non si fa fatica a capire che le temperature di luglio e agosto non hanno provocato alcuna strage, anche se le settimane appena trascorse sono state definite dalle solite testate di pronto allarme le più calde degli ultimi cento anni. Il report riporta numeri inappellabili. Da gennaio a giugno, il totale dei morti nel nostro Paese ha superato di poco quota 384.000, mentre nel 2021 e nel 2022 i decessi registrati erano stati 426.000. Se poi addirittura si fa riferimento all’anno precedente, quando l’Italia fu travolta dalla prima ondata di Covid, le vittime in sette mesi furono 430.000. Dunque, mentre Repubblica e compagni gridavano alla strage per il caldo, a luglio si raggiungeva la quota più contenuta di decessi degli anni precedenti. Scrive testualmente il Messaggero dopo aver preso visione dei dati Istat: a luglio l’ondata di caldo ha avuto un effetto sui decessi molto più contenuto rispetto a quello che si era avuto nello stesso mese del 2022. Il quotidiano romano parla di «elemento interessante», ma sarebbe più corretto dire che i numeri hanno smontato l’ennesima fake new (tradotto: balla colossale) propalata dal sistema mediatico che ruota intorno ad alcuni gruppi editoriali.La cosa più incredibile è che il luglio appena passato era stato presentato come una specie di porta dell’inferno che ci attende, con caldo subsahariano ed effetti devastanti sulla salute delle persone. Sciocchezze già smentite dai dati definitivi sulle temperature medie e sui consumi elettrici, che ovviamente in caso di ondate di calore particolarmente elevate vanno alle stelle a causa dell’uso e dell’abuso dei condizionatori. Ma ora ecco arrivare la certificazione statistica, che oltre a demolire le frottole mette ordine nella narrativa che da tempo ci affligge. I dati sui decessi del 2023 sono addirittura leggermente inferiori a quelli del 2019 e più bassi anche della media dei morti del periodo che va dal 2015 al 2019. Dalla qual cosa si deducono due fatti. Il primo è che non soltanto il caldo non sta avendo alcuna influenza sui decessi, e dunque la strage è davvero un colpo di sole di Repubblica. Il secondo è che il solo periodo in cui si sono registrate più vittime va dal 2020 al 2022. Immagino che i cervelloni si affretteranno a dare la colpa al Covid, ma in realtà potrebbe non essere così, perché lo scorso anno si sono avuti 713.000 morti, contro i presumibili 650.000 che si toccheranno quest’anno se non ci saranno fenomeni particolari. Dunque, che cosa ha favorito i decessi lo scorso anno? Il caldo no, ma forse le mancate cure durante il lockdown sì. E dunque, chi sono i colpevoli? Il caldo no di certo. Però posso aggiungere una cosa: la Svezia, che non ha chiuso in casa nessuno e non ha imposto alcun obbligo di vaccinazione, ha meno morti di noi.
Susanna Tamaro (Getty Images)
La scrittrice Susanna Tamaro: «La società dimentica che la vita non ci appartiene, ma la morte non si affronta con le carte bollate. La lotta con il destino è essenziale perché dalla fragilità dell’esistenza è impossibile scappare».
Il punto di vista di Susanna Tamaro sul tempo presente è sempre originale. Nell’ultimo saggio, intitolato La via del cuore. Per ritrovare senso nella vita (Solferino), sulla scorta dell’inventore dell’etologia, Konrad Lorenz, utilizza le osservazioni sulla natura e gli animali per studiare la società contemporanea. A ben guardare, però, questo memoir può essere letto anche come una lunga preghiera per lo stato del pianeta. «È così», ammette la scrittrice, «non condivido la tendenza all’angelicazione dell’uomo o a vederlo come frutto dell’evoluzione».
Il principale operatore della rete elettrica nazionale registra ricavi pari a 2,88 miliardi (l’8,9% in più rispetto al 2024) e accelera nei progetti Tyrrhenian Link e Adriatic Link, al centro della strategia per la decarbonizzazione. Aumenta il peso delle rinnovabili.
Nei primi nove mesi del 2025 Terna, principale gestore della rete elettrica nazionale, ha consolidato la propria posizione strategica nel settore, segnando un’intensa crescita economico-finanziaria e un’accelerazione significativa degli investimenti a supporto della transizione energetica. Il consiglio di amministrazione, guidato da Igor De Biasio e con la presentazione dell’amministratore delegato Giuseppina Di Foggia, ha approvato risultati che provano la solidità del gruppo e il suo ruolo determinante nel percorso di decarbonizzazione del Paese.
Nel periodo gennaio-settembre, il fabbisogno elettrico italiano si è attestato a 233,3 terawattora (TWh), di cui circa il 42,7% è stato coperto da fonti rinnovabili. Tale quota conferma la crescente integrazione delle fonti green nel panorama energetico nazionale, un processo sostenuto dal potenziamento infrastrutturale e dagli avanzamenti tecnologici portati avanti da Terna.
Sul fronte economico, i ricavi del gruppo hanno raggiunto quota 2,88 miliardi di euro, con un incremento dell’8,9% rispetto agli stessi mesi del 2024. L’Ebitda, margine operativo lordo, ha superato i 2 miliardi (+7,1%), mentre l’utile netto si è attestato a 852,7 milioni di euro, in crescita del 4,9%. Risultati, questi, che illustrano non solo un miglioramento operativo, ma anche un’efficiente gestione finanziaria; il tutto, nonostante un lieve aumento degli oneri finanziari netti, transitati da 104,9 a 131,7 milioni di euro.
Elemento di rilievo sono gli investimenti, che hanno superato i 2 miliardi di euro (+22,9% rispetto ai primi nove mesi del 2024, quando il dato era di 1,7 miliardi), un impegno che riflette la volontà di Terna di rafforzare la rete di trasmissione e favorire l’efficienza e la sicurezza del sistema elettrico. Tra i principali progetti infrastrutturali si segnalano il Tyrrhenian Link, il collegamento sottomarino tra Campania, Sicilia e Sardegna, con una dotazione finanziaria complessiva di circa 3,7 miliardi di euro, il più esteso tra le opere in corso; l’Adriatic Link, elettrodotto sottomarino tra Marche e Abruzzo; e i lavori per la rete elettrica dedicata ai Giochi olimpici e paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026.
L’attenzione ai nuovi sistemi di accumulo elettrico ha trovato un momento chiave nell’asta Macse, il Meccanismo di approvvigionamento di capacità di stoccaggio, conclusosi con l’assegnazione totale della capacità richiesta, pari a 10 GWh, a prezzi molto più bassi del premio di riserva, un segnale di un mercato in forte crescita e di un interesse marcato verso le soluzioni di accumulo energetico che miglioreranno la sicurezza e contribuiranno alla riduzione della dipendenza da fonti fossili.
Sul piano organizzativo, Terna ha visto una crescita nel personale, con 6.922 dipendenti al 30 settembre (502 in più rispetto a fine 2024), necessari per sostenere la complessità delle attività e l’implementazione del Piano industriale 2024-2028. Inoltre, è stata perfezionata l’acquisizione di Rete 2 S.r.l. da Areti, che rafforza la presenza nella rete ad alta tensione dell’area metropolitana di Roma, ottimizzando l’integrazione e la gestione infrastrutturale.
Sotto il profilo finanziario, l’indebitamento netto è cresciuto a 11,67 miliardi di euro, per sostenere la spinta agli investimenti, ma è ben bilanciato da un patrimonio netto robusto di circa 7,77 miliardi di euro. Il consiglio ha confermato l’acconto sul dividendo 2025 pari a 11,92 centesimi di euro per azione, in linea con la politica di distribuzione che punta a coniugare remunerazione degli azionisti e sostenibilità finanziaria.
Da segnalare anche le iniziative di finanza sostenibile, con l’emissione di un Green Bond europeo da 750 milioni di euro, molto richiesto e con una cedola del 3%, che denuncia la forte attenzione agli investimenti a basso impatto ambientale. Terna ha inoltre sottoscritto accordi finanziari per 1,5 miliardi con istituzioni come la Banca europea per gli investimenti e Intesa Sanpaolo a supporto dell’Adriatic Link e altri progetti chiave.
L’innovazione tecnologica rappresenta un altro pilastro della strategia di Terna, con l’apertura dell’hub Terna innovation zone Adriatico ad Ascoli Piceno, dedicato alla collaborazione con startup, università e partner industriali per sviluppare soluzioni avanzate a favore della transizione energetica e della digitalizzazione della rete.
La solidità del piano industriale e la continuità degli investimenti nelle infrastrutture critiche e nelle tecnologie innovative pongono Terna in una posizione di vantaggio nel garantire il sostentamento energetico italiano, supportando la sicurezza, la sostenibilità e l’efficienza del sistema elettrico anche in contesti incerti, con potenziali tensioni commerciali e geopolitiche.
Il 2025 si chiuderà con previsioni di ricavi per oltre 4 miliardi di euro, Ebitda a 2,7 miliardi e utile netto superiore a un miliardo, fra conferme di leadership e rinnovate sfide da affrontare con competenza e visione strategica.
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Il presidente venezuelano Nicolas Maduro (Getty Images)
L’operazione Southern Spear lanciata da Washington fa salire il rischio di escalation. Maduro mobilita 200.000 militari, denuncia provocazioni Usa e chiede l’intervento dell’Onu, mentre l’opposizione parla di arruolamenti forzati e fuga imminente del regime.
Nel Mar dei Caraibi la tensione fra Venezuela e Stati Uniti resta altissima e Washington, per bocca del suo Segretario alla Guerra Pete Hegseth, ha appena lanciato l’operazione Southern Spear. Questa nuova azione militare è stata voluta per colpire quelli che l’amministrazione Trump ha definito come i narco-terroristi del continente sudamericano ed ha il dichiarato obiettivo di difendere gli Stati Uniti dall’invasione di droga portata avanti da questi alleati di Maduro. Intanto è stata colpita la 21ª imbarcazione, accusata di trasportare droga verso il territorio statunitense, facendo arrivare a circa 80 il numero delle vittime.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ordinato alle forze armate di essere pronte ad un’eventuale invasione ed ha dispiegato oltre 200mila militari in tutti i luoghi chiave del suo paese. il ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez sta guidando personalmente questa mobilitazione generale orchestrata dalla Milizia Nazionale Bolivariana, i fedelissimi che stanno rastrellando Caracas e le principali città per arruolare nuove forze.
L’opposizione denuncia arruolamenti forzati anche fra i giovanissimi, soprattutto nelle baraccopoli intorno alla capitale, nel disperato tentativo di far credere che la cosiddetta «rivoluzione bolivariana», inventata dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, sia ancora in piedi. Proprio Maduro si è rivolto alla nazione dichiarando che il popolo venezuelano è pronto a combattere fino alla morte, ma allo stesso tempo ha lanciato un messaggio di pace nel continente proprio a Donald Trump.
Il presidente del Parlamento ha parlato di effetti devastanti ed ha accusato Washington di perseguire la forma massima di aggressione nella «vana speranza di un cambio di governo, scelto e voluto di cittadini». Caracas tramite il suo ambasciatore alle Nazioni Unite ha inviato una lettera al Segretario Generale António Guterres per chiedere una condanna esplicita delle azioni provocatorie statunitensi e il ritiro immediato delle forze Usa dai Caraibi.
Diversi media statunitensi hanno rivelato che il Tycoon americano sta pensando ad un’escalation con una vera operazione militare in Venezuela e nei primi incontri con i vertici militari sarebbe stata stilata anche una lista dei principali target da colpire come porti e aeroporti, ma soprattutto le sedi delle forze militari più fedeli a Maduro. Dal Pentagono non è arrivata nessuna conferma ufficiale e sembra che questo attacco non sia imminente, ma intanto in Venezuela sono arrivati da Mosca alcuni cargo con materiale strategico per rafforzare i sistemi di difesa anti-aerea Pantsir-S1 e batterie missilistiche Buk-M2E.
Dalle immagini satellitari si vede che l’area della capitale e le regioni di Apure e Cojedes, sedi delle forze maduriste, sono state fortemente rinforzate dopo che il presidente ha promulgato la legge sul Comando per la difesa integrale della nazione per la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale. In uno dei tanti discorsi alla televisione nazionale il leader venezuelano ha spiegato che vuole che le forze armate proteggano tutte le infrastrutture essenziali.
Nel piano presentato dal suo fedelissimo ministro della Difesa l’esercito, la polizia ed anche i paramilitari dovranno essere pronti ad una resistenza prolungata, trasformando la guerra in guerriglia. Una forza di resistenza che dovrebbe rendere impossibile governare il paese colpendo tutti i suoi punti nevralgici e generando il caos.
Una prospettiva evidentemente propagandistica perché come racconta la leader dell’opposizione Delsa Solorzano «nessuno è disposto a combattere per Maduro, tranne i suoi complici nel crimine. Noi siamo pronti ad una transizione ordinata, pacifica e che riporti il Venezuela nel posto che merita, dopo anni di buio e terrore.»
Una resistenza in cui non sembra davvero credere nessuno perché Nicolas Maduro, la sua famiglia e diversi membri del suo governo, avrebbero un piano di fuga nella vicina Cuba per poi probabilmente raggiungere Mosca come ha già fatto l’ex presidente siriano Assad.
Intanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso preoccupazione per i cittadini italiani detenuti nelle carceri del Paese, sottolineando l’impegno della Farnesina per scarcerarli al più presto, compreso Alberto Trentini, arrestato oltre un anno fa.
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«Il cuculo di cristallo» (Netflix)
Tratto dal romanzo di Javier Castillo, «Il cuculo di cristallo» arriva su Netflix il 14 novembre. La storia di Clara Merlo, giovane medico con un cuore trapiantato e un passato da svelare, intreccia thriller e dramma psicologico tra New York e il Missouri.
Nonostante il titolo, di quelli destinati a suonare inutilmente macchinosi, piene di pretese ed ambizioni, Il cuculo di cristallo ha ricevuto un'accoglienza ormai rara. Donato Carrisi, che in Italia è stato eletto all'unanimità (o quasi) maestro di genere, lo ha incensato, e così i suoi corrispettivi stranieri. L'opera di Javier Castillo, pubblicata nel Belpaese dalla Salani, è stata celebrata come un piccolo capolavoro. Non destinato a cambiare le sorti della letteratura spagnola, per carità, ma per certo congeniato con sapienza e furbizia, in modo tale da aprire a scenari che difficilmente un lettore, da solo, potrebbe arrivare a presagire.





