2022-05-25
Abbassare gli stipendi usando i rifugiati? Da sempre l’obiettivo Ue
È il modo fortemente competitivo per agire sul costo del lavoro. E la paura di perdere il posto prevale sulla richiesta di aumenti. Stupisce lo stupore che ieri ha accompagnato taluni commenti che abbiamo letto a proposito delle raccomandazioni Paese pubblicate dalla Commissione e dei relativi Country report. In Italia in molti forse avevano dimenticato che l’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità è cosa ben diversa da una sua «sospensione», come in termini generici si è usato definirla. Per cui i corifei del «sogno» europeo - quando hanno appreso che bisogna ridurre il debito e forse in autunno potremmo subire una procedura d’infrazione per la violazione delle soglie del deficit e del debito, o quando hanno letto la richiesta della Commissione di contenere la spesa corrente e tagliare le tasse sul lavoro aumentando quelle sugli immobili (via aumento dei valori catastali) - sono stati investiti da un forte senso di smarrimento. Di fatto, la Ue non si è mai mossa nella sostanza dalle sue posizioni, ben incardinate nei Trattati e nei Regolamenti.Ed è proprio a questi ultimi che bisogna rifarsi per tornare nei dettagli della vicenda con cui ieri il direttore Maurizio Belpietro ha aperto il giornale, e cioè l’impatto sul mercato del lavoro dei circa 6 milioni di profughi che dall’Ucraina sono arrivati, in gran parte ma non solo, negli Stati Ue limitrofi (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Romania).Forse a qualcuno sfugge che il Trattato di Lisbona sull’Unione europea all’articolo 3 (comma 3) dispone che la Ue si adoperi «per lo sviluppo sostenibile», basando su tre elementi: «una crescita economica equilibrata, la stabilità dei prezzi e un’economia sociale di mercato fortemente competitiva». La «piena occupazione e il progresso sociale» vengono dopo e sono solo gli obiettivi da raggiungere, ma non ne costituiscono le fondamenta. Di contro, la nostra Costituzione all’articolo 1, recita testualmente «repubblica democratica fondata sul lavoro», come riuscì abilmente a sintetizzare il padre costituente Amintore Fanfani.Quindi, da un lato, la spirale prezzi-salari alla Ue fa lo stesso effetto di una collana d’aglio posta davanti a Dracula; dall’altro, in quale modo si potrebbe realizzare quel carattere «fortemente competitivo» se non agendo su tutti i fattori della produzione, lavoro in primis? La competizione sul costo del lavoro per la Ue è come l’olio per il motore di un’auto. Se non c’è, il pistone è grippato, non si muove.Se queste sono le basi teoriche, le applicazioni pratiche non possono divergere granché e ne abbiamo ampia evidenza sia attingendo alle previsioni economiche di primavera pubblicate lunedì 16 maggio che ai documenti pubblicati lunedì scorso.Nel primo documento si legge che l’arrivo dei profughi ucraini apre per la Ue uno scenario fatto di sfide impegnative ma anche di opportunità. Infatti, con la decisione del Consiglio del 4 marzo (Temporary protection directive), i rifugiati dispongono per almeno un anno in modo armonizzato in tutta la Ue, di servizi di istruzione e formazione, accesso alla sanità e a ogni tipo di assistenza erogata dallo Stato sociale. Però tutto ciò ha dei costi che si riflettono sulla spesa pubblica degli Stati ospitanti, che è un’altra bestia nera per le norme Ue. Allora - con una buona dose di cinismo degna di miglior causa - ecco che spunta l’opportunità da sfruttare per riequilibrare i conti: «Nel corso del tempo, si prevede che un numero crescente di sfollati cominci a lavorare, allentando le tensioni sul mercato del lavoro Ue e diminuendo così la spesa pubblica».Nello stesso documento, a proposito del mercato del lavoro si sottolinea che, con un tasso di disoccupazione ormai su minimi storici e 5,2 milioni di nuovi occupati nel 2021, si moltiplicano i casi di domanda di lavoro che resta inevasa in un mercato sempre più teso. La soluzione sono sempre loro, i rifugiati che «entreranno gradualmente nel mercato, con effetti significativi solo dal prossimo anno» (sembra di cogliere una nota di rammarico).Tutto questo accade in un mercato in cui i salari medi pro-capite sono previsti aumentare nel 2022 del 3,9%, tasso superiore rispetto al passato ma ben al di sotto dell’inflazione e con conseguente perdita di potere d’acquisto. Il motivo, si aggiunge, è che la paura di perdere il posto ha la meglio sulla volontà di chiedere aumenti. Quindi in un mercato in tali condizioni, l’aumento dell’offerta di lavoro è strumento essenziale per calmierare le richieste salariali e viene ribadito a più riprese in tutto il documento. E, ove mai ci fossero dei dubbi sul ruolo dei rifugiati ucraini, una tabella riepilogativa sugli impatti della guerra riporta chiaramente che essi avranno l’effetto di un «considerevole aumento dell’offerta di lavoro». Così nessuno si sogna di chiedere aumenti, è il sottinteso che aggiungiamo noi.I documenti di lunedì proseguono nello stesso solco, tra cui spiccano le nuove linee guida per l’occupazione a cura del Commissario al lavoro Nicolas Schmit, anch’esse finalizzate all’aumento dell’offerta di lavoro. Preceduti, non casualmente, da una nota di Politico.eu in cui facilitare l’accesso al mercato del lavoro dei profughi viene definito strumento per prevenire la spirale prezzi-salari.Ai rifugiati viene offerta l’opportunità di «contribuire al rafforzamento dell’economia europea». Alla Ue non interessa soltanto assisterli ed aiutarli a tornare ai propri affetti. Servono qui ed ora, possibilmente a basso costo.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson