2023-04-28
Dopo l’orso, arrivano anche i branchi di lupi
Nelle valli lombarde un bambino si imbatte in un cervo sbranato vicino alle case, mentre ad Asiago è strage di bestiame. Gli esperti: «Non temono più l’uomo» e ce ne sono circa 3.300 in tutta la nazione. La Slovenia intanto abbatterà 230 plantigradi. È sera, saranno all’incirca le 23.30. Siamo nel centro di Asiago e all’improvviso avvistiamo un lupo. Lo vedi: lesto, accorto, guardingo ma audace si aggira tra le case. Proviamo a stargli dietro con l’auto, lui si mette a correre poi si defila nella penombra fra le case, sparendo nella notte. Funziona così ad Asiago, un comune di appena 6.000 anime nelle Prealpi vicentine, centro principale dell’altopiano noto per il turismo invernale ed estivo, oltre che per il formaggio. Ma i lupi rischiano di diventare un danno: sbranano le mucche. E se non ne trovano, si scagliano sugli animali domestici.Diego Rigoni, allevatore e vicepresidente dell’Unione montana dei comuni ha visto varie volte le sue asine e manze divorate. «Una sera ho sentito questo ululato», ci racconta, «e sono corso a vedere cosa fosse accaduto. Avevo il cuore in gola, la paura di trovarmi davanti il lupo era tanta». Del resto qui ormai i branchi non temono gli uomini. A Marco Finco, macellaio, hanno ucciso il cane mentre era a passeggio. Capita anche di vederli mangiare nelle ciotole dei gatti. Alcuni ragazzi che tornavano da una festa, una sera si sono ritrovati sei lupi davanti al portone. Lo stesso avviene a Campodolcino, borghetto di appena 900 abitanti in provincia di Sondrio, lungo la Valchiavenna. Qui un bimbo di 10 anni ha trovato una cerva sbranata da un branco a pochi metri dalle case. Tanto che ora 12 sindaci lombardi hanno lanciato un appello al governo per accendere un faro sui lupi: «Sono pericolosi come l’orso bruno». È stata avviata anche una raccolta firme. Anche a Romano d’Ezzelino, ancora nel Vicentino, tre settimane fa i cittadini hanno avvistato un lupo. In pieno centro, in pieno giorno. Sfrecciava in mezzo alle abitazioni. «Non hanno più timore di avvicinarsi agli insediamenti umani», spiega Isabella Lora, veterinaria, «anche perché non hanno nessun motivo per averne». Ad Asiago i cittadini si sono riuniti e hanno dato vita a gruppi su Whatsapp. Funziona come con i controlli di vicinato, solo che anziché tenere a bada i ladri tengono a bada i lupi. In zona ci sono tre branchi, sicuramente stabili. Per inquadrare il fenomeno dobbiamo riavvolgere il nastro al 2012, quando in Lessinia, un paradiso verde incastonato nelle Dolomiti tra Veneto e Trentino, avviene un incontro galeotto tra una lupa della popolazione italiana e un maschio proveniente dalla Slovenia. Nacque una cucciolata e qui i lupi ricominciarono a diffondersi: Alpi occidentali, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Veneto. Il tempo e la mancanza di contromisure hanno fatto il resto. Secondo dati ufficiali, solo nel Bellunese ci sarebbero tra 80 e 120 lupi, suddivisi in ben 17 branchi. In Italia gli esemplari totali sono stimati intorno a 3.300, in crescita. Si stanno diffondendo anche in Emilia Romagna e in Lombardia. «C’è una contiguità e una vicinanza, tra gli uomini e i lupi, ormai quotidiana in tante zone e che va gestita», spiega Christian Maffei, presidente Arci Caccia nazionale. A Lucca, l’11 aprile scorso, una donna di 50 anni è stata morsa alla mano da un lupo. Secondo gli esperti, l’attacco all’uomo è una possibilità, specie nei confronti di un bambino in quanto il predatore lo vede alla stessa altezza. Insomma: tra lupi e orsi è bene stare attenti. E magari non inseguire gli orsi con l’auto, terrorizzandoli, come è accaduto ieri nel tanto discusso Trentino. Due persone - poi denunciate - hanno filmato la bravata e l’hanno messa nei social. Qui la paura è ancora tanta. Basta fare un giro per il borgo dove è morto il runner Andrea Papi, a Caldes. Sull’abbattimento dell’orsa Jj4, che ha aggredito Papi, e del maschio Mj5, c’è attesa che il Tar si pronunci. La Corte dei Conti, in più, starebbe indagando sulla gestione dei plantigradi e l’ipotesi, se dovesse accertarsi una mala gestione del progetto Life Ursus, è quella del danno erariale. È un progetto pagato con soldi pubblici e che ha portato al ripopolamento di questo esemplare. In Slovenia, il 13 aprile scorso, il ministero delle Risorse naturali ha approvato l’abbattimento di 230 orsi bruni. «Prima di prendere questa decisione», - spiega il ministro Uros Brezan, «il ministero ha preso in considerazione tutte le altre opzioni». La proposta è stata fatta dal servizio forestale sloveno e dall’Istituto per la conservazione della natura, col parere di esperti della facoltà di biotecnica dell’università di Lubiana. Una decisione, dice Brezan, «difficile, ma accuratamente e sapientemente ponderata» soprattutto per «proteggere la salute e la sicurezza umana».
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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