
La ragazza, incinta di 9 mesi, fu sepolta viva dal suo compagno. L'uomo venne condannato a 30 anni, ma non gli venne contestato il duplice omicidio. Ora con incomprensibile decisione la Corte d'appello nega al padre della donna l'indennizzo previsto per legge.La morte della giustizia oggi ha un nome, e il suo nome è Jennifer. L'ultimo oltraggio alla ragazza di 22 anni che aspettava la vita e incontrò la morte, è un'assurda decisione della Corte d'appello di Roma che oggi nega al padre l'indennizzo previsto dalla legge, adducendo motivazioni che stanno in piedi come un ubriaco alla seconda pinta di whisky. Ma abbiate pazienza: per capire quanto questa decisione possa essere offensiva e distruttiva, financo definitiva nell'abbattimento del residuo di speranza che ancora nutriamo nello Stato e nei suoi tribunali, bisogna raccontare tutta la storia, cominciando dall'inizio. E fino all'ultimo strazio. È il 29 aprile 2006. Jennifer Zacconi, 22 anni, è nella sua casa di Olmo di Martellago, in provincia di Venezia. È felice. Sta aspettando un bimbo, è al nono mese di gravidanza e tutto è pronto per il parto. Cameretta, corredo, i primi giochi. Anche il nome è stato scelto: il piccolo si chiamerà Hevan, con l'h. «Così sarà diverso da tutti gli altri», pensa la mamma. Una sola ombra nella sua vita: il padre del piccolo, il suo amante, Lucio Niero, 34 anni. Da quando Jennifer gli ha detto di essere incinta si è fatto scontroso, sospettoso, ha cercato in tutti i modi di convincerla ad abortire. Le aveva raccontato di essere divorziato, ma la ragazza ha cominciato a capire che qualcosa non va. Quel 29 aprile, però, Jennifer è serena. Lucio l'ha chiamata, sembra positivo, pare tutto si sia sistemato. «Ti passo a prendere», le dice. Ha il tono allegro dei giorni migliori. Lei esce, in tasca 10 euro, nel ventre il suo futuro. Ma il futuro non ci sarà più: la troveranno senza vita, in una buca ricoperta di terriccio, non lontano da casa. L'autopsia rivelerà che l'uomo l'ha massacrata a calci e pugni. Poi l'ha seppellita che ancora respirava. Lei e il bambino nel grembo. Tutti e due ancora vivi. Tutti e due sotto terra. Tutti e due lasciati morire lì, senza pietà, in un'orrenda agonia illuminata solo dalla vigliaccheria di quell'uomo. Sposato. Con due figli. E capace di diventare assassino solo perché incapace di sostenere la verità. E qui c'è la prima bastonata che la giustizia italiana vibra sul cadavere di Jennifer e sul dolore dei suoi cari. Nonostante le richieste del pm, infatti, l'assassino viene semigraziato: non gli viene riconosciuto il duplice omicidio, ma l'omicidio semplice. Come se Hevan non esistesse. Come se un feto di nove mesi nella pancia della mamma non fosse già un bimbo capace di vivere da solo. Come se la sua morte fosse stata incidentale e non frutto di una violenza bestiale. Come se l'orrore di seppellire mamma e figlio, ancora vivi, dentro una buca, ricoprirli di terra e saltarci su, potesse meritare qualche sconto di pena e qualche aggiunta di compassione. Come se gli omicidi si potessero trattare alla stregua di sconti al supermercato: ammazzi due, paghi uno. Allo stesso modo: il duplice assassino diventa assassino semplice. E riesce, così, a evitare l'ergastolo. Viene condannato a 30 anni, che non sono pochi ma non sono neanche molti. E viene condannato a risarcire 80.000 euro, che non sono pochi ma per due vite umane sono nulla. E che si trasformano presto in uno sberleffo davanti alla bara di Jennifer e del suo bimbo. Qui, infatti, comincia la seconda incredibile stazione di questa via crucis giudiziaria: Lucio Niero, assassino con lo sconto, risulta nullatenente e quindi non può risarcire la famiglia della vittima. Che cosa succede dunque? La famiglia della vittima presenta ricorso. Infatti, come previsto da una direttiva europea (numero 80 del 2004) e dalla legge italiana che ha recepito, seppur in ritardo e con limiti evidenti, la direttiva europea (numero 122 del 2016), quando l'assassino non può risarcire, dovrebbe subentrare lo Stato con apposito indennizzo. Su questo punto c'è da tempo una polemica aperta. Non solo, infatti, l'Italia ci ha messo 12 anni ad adeguarsi alla normativa europea, ma quando l'ha fatto ha previsto non un indennizzo, ma un mini indennizzo (7-8.000 euro) che suona più che altro come un insulto alle vittime e ai loro cari. Come se tutto ciò non bastasse, però, ecco che in questo caso si compie un passo in più verso l'obbrobrio, un ulteriore avanzamento sulla strada della perversione giuridica. Alla famiglia di Jennifer, infatti, è negato anche quel mini indennizzo. Non solo non incasseranno gli 80.000 euro stabiliti dalla sentenza (perché l'assassino è nullatenente), ma nemmeno i 7-8.000 euro previsti dalla direttiva europea e dalla legge italiana (perché la Corte d'appello di Roma ha deciso così). Ma perché la Corte d'appello di Roma ha deciso così? Le motivazioni sono la ciliegina sulla torta dell'assurdità. C'è scritto infatti che la direttiva europea è legata «alla finalità di garanzia della libera circolazione» e che dunque può tutelare solo le vittime che non sono residenti nel Paese in cui viene commesso il reato. Vi pare? È evidente che non sia così. Anche perché la direttiva europea rimanda a una legge nazionale: come fanno i giudici a ignorare che essa è stata approvata (seppur con colpevole ritardo)? E come fanno a ignorare che la legge nazionale (ripetiamo 122 del 2016) non prevede indennizzi solo per vittime non residenti ma per tutte le vittime residenti o no (quando gli assassini risultano nullatenenti)? Come fanno a ignorare che questa legge è già stata applicata? Non so come fanno. Ma ci riescono. Niente indennizzo, stabiliscono. E aggiungono che, oltretutto, «nella nozione di vittime non possono rientrare i parenti della vittima». Perfetto, non vi pare? E chi dovrebbe essere versato l'indennizzo? A chi è morto? Nella bara? «Sono scoraggiato», ha detto il padre di Jennifer al suo avvocato. E lo possiamo capire. Il risultato finale di questa storia, infatti, è che se qualcuno ti ammazza la figlia in modo tremendo, se te la butta sottoterra ancora viva, con un bimbo in grembo, ebbene oltre al dolore dovrai affrontare le bastonate di uno Stato che anziché aiutarti ti mena. Ti tritura. Ti tortura. E, così facendo, una sentenza dopo l'altra distrugge ogni speranza di avere giustizia, fino ad arrivare al passo finale che (potete scommetterci: manca poco) sarà la liberazione dell'assassino. Si sa: fra premi e bonus trent'anni si riducono in fretta. È il dolore di chi piange una figlia che, quello no, non si riduce mai. Soprattutto se chi dovrebbe proteggerlo lo offende ogni giorno di più.
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