
Il ragazzino di Potenza, di famiglia cattolica, arrestato dopo un lungo monitoraggio: si indottrinava online con video di attentati e aveva creato due gruppi Telegram per formare una «provincia» del Califfato nel Belpaese. Intanto aveva già iniziato ad armarsi.Da Potenza, la sua città, si collegava con i circuiti più radicalizzati della propaganda islamista online. Al punto da sposare la causa anti occidentale, armandosi di munizionamento. Italiano, figlio di italiani cattolici, a soli 14 anni, Google Translate alla mano, sguazzava tra i canali Telegram della bandiera nera. Dopo la scuola, i libri e la PlayStation, avrebbe cominciato a navigare negli ambienti più oscuri. E si sarebbe spinto sempre oltre. Al punto che gli agenti dell’Aisi, gli 007 che si occupano di minaccia interna, hanno cominciato a monitorarlo.La sua realtà parallela, fatta di conversazioni in inglese stentato o in arabo e di post condivisi con chi, come lui, si sentiva combattente in cerca di uno scopo. Nel buio della sua cameretta non era più solo uno studente di Potenza. Sentiva di appartenere a un disegno, a una causa che, pur lontanissima dalla sua vita reale e dalla sua cultura, aveva acceso in lui una scintilla. Condivideva e creava contenuti, partecipava a discussioni infuocate, guardava video di attentati e sermoni di imam con la curiosità e il fascino di chi si sta lasciando risucchiare da un vortice pericoloso. Fino al suo arresto. Gli investigatori della Digos, coordinati dal vicequestore Claudia Tortorelli, il 23 ottobre scorso si sono presentati a casa sua e l’hanno arrestato in flagranza. L’accusa: partecipazione ad associazione a delinquere con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico (accusa contenuta nel famigerato articolo 270 bis del codice penale). Oltre a creare e pubblicare contenuti pro Stato islamico e a collezionare video che mostrano attacchi suicidi preparati da minorenni, sostiene il magistrato che ha curato l’inchiesta, Anna Gloria Piccininni, un passato alla Procura antimafia e antiterrorismo e da poco alla guida della Procura per i minorenni di Potenza, sarebbe risultato «il proprietario di due gruppi Telegram» che avrebbe creato «per riunire sostenitori dell’Islamic State e per promuovere la creazione di una “wilaya” (una provincia) dell’Is in Italia». E questa «wilaya» nel Sud Italia non era solo un’idea astratta. Nella mente del giovane sarebbe nata un’immagine concreta di un territorio alternativo, slegato dalle istituzioni e dalla società che lo circondava, un regno digitale e fisico dove le regole dell’Islamic State sarebbero state rispettate. Jihad compresa. I gruppi Telegram da lui creati si sarebbero dovuti trasformare in centri di reclutamento, radicati in Italia e pronti ad attrarre giovani insoddisfatti, come lui, alla ricerca di una causa estrema, di una comunità alternativa, di una battaglia comune. Durante una perquisizione, su indicazione degli apparati dell’intelligence, sarebbero stati raccolti «elementi oggettivi», sostiene la Procura, «a riscontro delle ipotesi investigative iniziali, tra i quali la palesata intenzione di compiere azioni controindicate a breve termine sul territorio nazionale». Probabilmente i video dei ragazzini con le cinture esplosive che avevano attirato la sua attenzione devono avere avuto una certa influenza sulla sua mente da adolescente. Gli inquirenti non lo dicono apertamente, ma il sospetto è che quanto prima potesse passare ai fatti.Dopo essersi documentato in modo quasi parossistico nei canali del bravo jihadista, secondo la Procura, sarebbe passato a reperire «oggetti atti a offendere», sulla cui natura al momento non vengono forniti particolari, e perfino munizionamento, «la cui offensività», fanno sapere gli inquirenti, «è in fase di accertamento». Era, a detta di chi indaga, l’inizio di un arsenale rudimentale, qualcosa che ai suoi occhi appariva ancora lontano dal potere distruttivo che aveva visto nei video, ma che rappresentava comunque il primo passo verso un cammino di radicalizzazione sempre più profondo.L’arresto, nell’udienza che si è tenuta il 25 ottobre davanti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Potenza, è stato convalidato, disponendo l’applicazione della misura cautelare del collocamento del minore in una comunità. Il gip nella sua ordinanza ha valutato come «gravi» gli indizi di colpevolezza raccolti dagli investigatori. Il procuratore Piccininni auspica «un efficace intervento di sostegno e di recupero, in considerazione della sua giovanissima età». Segnato da un disagio giovanile profondo, un malessere che sembra essere stato il terreno fertile per la sua radicalizzazione, il ragazzo, probabilmente in cerca di un senso che non trovava nella quotidianità, deve essersi lasciato affascinare da una realtà alternativa, costruita attorno a una missione violenta ma capace di dargli scopo e identità. In quel mondo parallelo forse aveva intravisto il potere di qualcosa che andava oltre le immagini proiettate su uno schermo o le parole recitate in una lingua che a malapena comprendeva. La wilaya, la provincia islamica, per lui era reale: una fortezza in cui ribaltare l’ordine di quel mondo che conosceva, creando uno spazio radicale, non solo virtuale ma anche fisico, dove la bandiera nera avrebbe potuto sventolare. Anche qui, nel suo Paese.
Guido Crosetto (Cristian Castelnuovo)
Il ministro della Difesa interviene all’evento organizzato dalla «Verità» dedicato al tema della sicurezza con i vertici del comparto. Roberto Cingolani (Leonardo) e Nunzia Ciardi (Acn): bisogna prevenire le minacce con l’Ia.
Mai, come nel periodo storico nel quale stiamo vivendo, il mondo è stato più insicuro. Attualmente ci sono 61 conflitti armati attivi, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale, che coinvolgono oltre 92 Paesi. Ieri, a Roma, La Verità ha organizzato un evento dal titolo «Sicurezza, Difesa, Infrastrutture intelligenti», che ha analizzato punto per punto i temi caldi della questione con esponenti di spicco quali il ministro della Difesa Guido Crosetto intervistato dal direttore della Verità, Maurizio Belpietro.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Il premier ungherese è stato ricevuto a pranzo dall’inquilino della Casa Bianca. In agenda anche petrolio russo e guerra in Ucraina. Mosca contro l’Ue sui visti.
Ieri Viktor Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump, che ha definito il premier ungherese «un grande leader». Di più: tessendo le sue lodi, il tycoon ci ha tenuto a sottolineare che «sull’immigrazione l’Europa ha fatto errori enormi, mentre Orbán non li ha fatti». Durante la visita, in particolare, è stato firmato un nuovo accordo di cooperazione nucleare tra Stati Uniti e Ungheria, destinato a rafforzare i legami energetici e tecnologici fra i due Paesi. In proposito, il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, ha sottolineato che la partnership con Washington non preclude il diritto di Budapest a mantenere rapporti con Mosca sul piano energetico. «Considerata la nostra realtà geografica, mantenere la possibilità di acquistare energia dalla Russia senza sanzioni o restrizioni legali è essenziale per la sicurezza energetica dell’Ungheria», ha dichiarato il ministro.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.






