2021-01-22
L’ultima invenzione di Speranza demolisce lo sport dilettantistico
Un documento del ministero per contrastare il Covid mette a repentaglio tutta l'attività non professionistica. Ripresa delle competizioni difficile. Lo sconforto di un allenatore: «Avremo soltanto atleti da Playstation»Non tira aria buona, per lo sport dilettantistico in Italia. Qualcosa di simile al De Profundis per l'intero movimento, poco importa in quale disciplina, è scandito dall'ultimo documento firmato dal ministero della Salute in data 13 gennaio. Le contromisure dell'esecutivo per fronteggiare l'emergenza Coronavirus interessano l'idoneità agonistica di tutti gli atleti non professionisti - per i professionisti sono consentite deroghe a parte - che hanno contratto il Covid-19, manifestandone sintomi in forma anche blanda, e a conti fatti parlano di sessanta giorni di stop. Tradotto: nessuna possibilità di allenarsi per un tempo verosimilmente pure più lungo, e sopravvivenza delle competizioni messa a repentaglio.Il documento del ministero della Salute, seguendo le indicazioni proposte dalla Federazione medico sportiva e condivise con il Dipartimento dello sport, con il Coni, il Comitato italiano paralimpico, prevede che un atleta agonista dilettante colpito dal virus debba «Attendere trenta giorni dall'avvenuta guarigione prima di effettuare la visita medico sportiva di idoneità, integrandola con ecocardiogramma color-Doppler». Significa circa un paio di settimane per risultare negativi, un mese di attesa per una successiva visita, fino, recita il testo, a una «graduale ripresa dell'attività sotto il controllo del responsabile sanitario della società». Questo per gli sportivi che abbiano manifestato, persino in assenza di tampone, una sintomatologia lieve. Chi registrasse sintomi più complessi, dovendo ricorrere a terapie antibiotiche, cortisoniche o al ricovero, verrebbe sottoposto a esami approfonditi, con tempi dilatati. La possibilità di accorciare l'attesa sarebbe riservata soltanto a chi svolgesse attività di livello nazionale e internazionale. Logico pensare alle ripercussioni su una generazione di agonisti adolescenti. Già privati del momento di aggregazione garantito dalla scuola, interdetti al contatto umano con i coetanei nella socialità da strada, privati per una fetta temporale indefinita della vita formativa da spogliatoio - non importa in quale sport - dovrebbero accontentarsi della socialità virtuale in rete tra le mura di casa, o del confronto, non sempre proficuo a quell'età, con i genitori. «Il rischio maggiore, riferendosi agli agonisti dilettanti più giovani è che, privati degli stimoli del campo e dei compagni, rinuncino per sempre alla pratica sportiva, rimanendo in casa a giocare alla Playstation», spiega Alessandro Tonani, allenatore di calcio dei Giovanissimi Elite dell'Accademia Inter. «Chi prende certe decisioni in ambito politico, dovrebbe conoscere meglio la realtà dello sport dilettantistico giovanile per comprendere quanto sia fondamentale cercare di tutelarlo con ogni mezzo persino di fronte a un'emergenza come quella che stiamo vivendo», continua. «Potrebbe suonare retorico, ma la vita dell'agonista, specie se adolescente, è un insieme di regole in cui si impara il senso del rispetto umano tramite l'esperienza diretta, il confronto con l'altro, l'educazione formale. Sono momenti di socialità impossibili da replicare altrove. Non scordando che i ragazzi più dotati potrebbero rappresentare un elemento di ricchezza per l'Italia, come già capitato in tanti casi». L'allenatore si confronta con tempi distopici, specie in una regione, la Lombardia, inserita nella cosiddetta zona rossa: «Chi è tesserato in una società professionistica può continuare ad allenarsi, chi fa parte di una squadra di dilettanti è impossibilitato dalle restrizioni: a queste condizioni, una ripresa delle competizioni in quelle categorie è assai difficile, con tutte le conseguenze del caso a lungo termine». I nuvoloni all'orizzonte non contemplano soltanto riflessioni sociologiche. Il danno inflitto all'industria italiana del fitness in generale ha una portata concreta. L'Anif (Associazione nazionale impianti sport e fitness, palestre piscine e campi sportivi) per il 2020 ha circostanziato una perdita di circa 8,5 miliardi di euro circa, il 70% dei 12 miliardi fatturati dai centomila centri (palestre, piscine, campi) che forniscono un impiego a un milione di lavoratori, il cui posto rischia ora di saltare. Per il 2021 le perdite sono già stimate intorno al 50/60% rispetto ai bilanci del 2019. Pure su quel versante, le prospettive dei singoli operatori del settore non sono tutelate a sufficienza nemmeno dalla fantasia creativa dei social network. Siti come Instagram vedono un proliferare di allenatori, personal trainer e specialisti di differenti comparti sportivi, barcamenarsi con la propria clientela in corsi online, sedute di allenamento virtuali ed espedienti più o meno efficaci. Nonostante questo, replicare un tenore lavorativo analogo a quello garantito dalle sedute dal vivo nelle palestre e nelle piscine è una chimera.
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