2019-08-21
Un Conte decaduto
si offre al Pd
L'avvocato del popolo scorda di aver governato con il Carroccio e attacca a testa bassa il vicepremier. Poi sfodera un discorso da insediamento: sogna di fare il bis con l'appoggio della sinistra.È un Giuseppe Conte decaduto quello che abbiamo visto ieri pomeriggio in Senato. Un Conte che però, come tanti nobili rimasti sul lastrico, spera di impalmare una damigella munita di dote, che gli consenta di continuare la bella vita di presidente del Consiglio. Il discorso del capo del governo, infatti, è stato diviso in due parti. La prima per accusare il ministro dell'Interno di avere interrotto un sogno bellissimo, ovvero il suo, che da docente ordinario di diritto si è ritrovato all'improvviso seduto al tavolo con i grandi della terra. Conte ha attaccato senza risparmio Matteo Salvini, accusandolo di agire per interessi personali e di partito. Al leader della Lega ha rimproverato di non essere all'altezza del ruolo, di non avere sensibilità istituzionale, di essere opportunista e perfino imprudente, aggiungendo poi un velenoso richiamo all'affare russo. Dall'elenco di recriminazioni ovviamente non ha fatto mancare la chiamata alle piazze e perfino l'ostentazione del rosario, entrambe motivo di preoccupazione per il premier. Abituato a salire in cattedra e a impartire lezioni, Giuseppe Conte ha declinato il galateo del buon politico, che se ha compiti di responsabilità deve contenere «la foga comunicativa» ed evitare di accostare simboli religiosi per «evitare di offendere i credenti e oscurare il principio di laicità dello Stato moderno».Esauriti gli attacchi al ministro dell'Interno, colpevole di aver rotto il giocattolo che aveva reso felice il professore pugliese dando un'improvvisa svolta alla sua carriera, Conte è poi passato alla seconda parte del suo intervento, diciamo quello propositivo. Quasi si trattasse di un discorso di insediamento più che di congedo, il presidente del Consiglio ha preso a elencare le cose che restano da fare per migliorare il Paese. Dall'autonomia agli interventi a sostegno delle persone con handicap, dalle misure per evitare che i nostri ragazzi fuggano all'estero ai programmi ecosostenibili e dalle energie rinnovabili. Nella fase due delle sue dichiarazioni ai senatori, il premier ha voluto parlare di economia circolare e di come recuperare energia grazie al moto ondoso, delineando un nuovo modello di crescita «non solo economicistico», basato su una cabina di regia chiamata «Benessere Italia», che punta al turismo (per questo il 26 ottobre è stata proclamata la giornata delle tradizioni popolari e folkloristiche). Perché, come ha spiegato davanti al Senato, serve una politica economia espansionistica e anche un rilancio del progetto europeo. Ad ascoltarlo, più che un testamento, il suo pareva un giuramento. Datemi la fiducia, anzi un governo senza Salvini, e cambierò il mondo. Ecologia, benessere, turismo, economia, assistenza. Nemmeno una parola sull'immigrazione per non disturbare la sinistra pro invasione. Quello declinato ieri nell'aula di Palazzo Madama non era ancora un contratto di governo, ma poco ci mancava. La strizzatina d'occhi al Pd affinché lo giudicasse un buon partito e gli consentisse di rimanere a Palazzo Chigi è stata piuttosto evidente. Su di lui si è abbattuta la replica di Salvini, che scansando gli attacchi personali e il richiamo alla grammatica istituzionale, è andato dritto al sodo, dicendo chiaro e tondo che più del giudizio di Conte gli preme quello degli italiani: «In quest'aula ci sono donne e uomini liberi e donne e uomini un po' meno liberi. Perché chi ha paura del giudizio degli italiani è un po' meno libero». Ecco, il duello potrebbe dirsi concluso qui. Tra un presidente del Consiglio che spera in un giudizio favorevole del Pd che gli permetta di restare al suo posto e un ministro dell'Interno che auspica quello degli italiani. «Vi vedo» ha detto Salvini rivolto ai 5 stelle «a votare la legge di riforma sulle banche con la Boschi. Vi vedo a votare la riforma del Csm con Lotti. Vi vedo a fare la riforma del mercato del lavoro con Renzi». Le frasi del capo leghista ovviamente anticipano già la campagna elettorale, che non so se sia cominciata ieri (ma forse non si è mai conclusa) né quando ci porterà alle elezioni, ossia se si voterà in autunno, come vuole Salvini, o fra tre anni e mezzo come vorrebbero i grillini, il Pd e lo stesso Conte. Ma che i prossimi mesi e forse i prossimi anni saranno caratterizzati dalla campagna elettorale questo è certo. Come se non bastasse, a infiammare lo scontro, già di per sé aspro, ci si è messo pure il senatore semplice di Scandicci, il quale spinto dal suo ego non si è trattenuto dal mostrarsi per quel che è, ovvero il vero capo del Pd. Rotti gli indugi, e messe da parte e finzioni, Renzi è tornato padrone del partito, oscurando il povero Nicola Zingaretti e annullando il voto di decine di migliaia di elettori del Pd. Da ora in poi lo scontro vero non sarà tra Salvini e Di Maio o tra Salvini e Conte. Lo scontro sarà tra il capo della Lega e il padrone del Pd. Durerà mesi o anni, ma il duello che si combatte è tra loro. Gli altri, che siano a caccia di una dote o cerchino semplicemente di salvarsi, sono solo comparse, ballerine di seconda fila o Conte decaduti.
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