2024-05-05
«Paga minima e articolo 18 non migliorano il lavoro. Ora serve più formazione»
Luigi Sbarra (Imagoeconomica)
Il segretario Cisl Luigi Sbarra: «L’occupazione cresce, ma la sfida delle transizioni si vince con le competenze. Positiva l’idea di incentivare le assunzioni al Sud».Segretario Sbarra, l’occupazione cresce soprattutto quella a tempo indeterminato e ci sono segnali positivi anche sul fronte giovani e impiego femminile. Secondo lei cosa sta funzionando nel mondo del lavoro e su cosa invece il governo dovrebbe intervenire? «I dati Istat confermano la crescita del lavoro stabile e il trend positivo di questi ultimi anni. Questa tendenza va ora agganciata a processi di qualificazione del lavoro, che significa costruire le condizioni per significativi aumenti salariali, buone flessibilità negoziate, potenti strumenti di politica attiva e di innalzamento delle competenze. Dovremmo concentrarci su questi fattori sia con il governo sia con le associazioni imprenditoriali. Dati alla mano il reddito di cittadinanza è stato un freno all’occupazione? «Il Reddito ha dato buona prova di sé sul versante del contrasto alla povertà e alla marginalità. Ma come strumento di politica attiva rivolta agli occupabili ha completamente fallito. Bisogna che le due strategie procedano su binari paralleli. Positiva la volontà del governo di introdurre ora nuovi incentivi alle assunzioni, soprattutto nel Sud, ma occorre un potente investimento sull’apprendimento continuo e mirato sui territori per innalzare le competenze dei troppi giovani e donne ancora fuori dal mercato del lavoro». Non ritiene eccessivi gli slogan delle opposizioni e di Cgil e Uil secondo le quali va tutto male e non c’è nulla da salvare? «Non esprimo giudizi sugli altri. Noi pensiamo che il sindacato debba giudicare con realismo, senza demagogia o populismo, i dati e le dinamiche economiche. E soprattutto valutare con pragmatismo, autonomia e senso di responsabilità i risultati positivi ottenuti con la mobilitazione e il confronto con il governo e gli altri interlocutori. Troviamo sbagliata la narrazione di un Paese dilaniato dalla precarietà. Oggi i grandi temi sono quelli della qualità della formazione e di transizioni tutelate». Conte ha annunciato di nuovo una proposta di legge sul salario minimo. Per lei è una soluzione? «Il salario minimo serve nella misura in cui lo si realizza estendendo i contratti leader, che sono quelli confederali, a quella parte di lavoratori oggi in Italia non coperti da un Ccnl o vittime di contrattazione pirata. Fissando una quota per legge, c’è il rischio di uno schiacciamento in basso delle retribuzioni, con molte aziende che preferirebbero uscire dal perimetro dei contratti per attestarsi sulla cifra minima fissata dalla legge. Sarebbe una beffa. Un danno per i lavoratori». Conte che da premier non ha fatto nulla su questi temi adesso si accoda alla Cgil per tornare all’articolo 18? Voi siete favorevoli? «Ci sembra un modo per parlare d’altro, per deviare l’attenzione dai problemi veri del Paese. Piuttosto che demolire il Jobs act, per poi promuovere non si sa quale modello novecentesco, occorre pensare a migliorare e rafforzare le tante cose buone di quella riforma e correggere le carenze con altri provvedimenti, innovando i centri per l’impiego. L’obiettivo resta quello di costruire un nuovo Statuto della persona nel mercato del Lavoro che sostenga tutti, in ogni momento e qualunque sia il rapporto di lavoro». Come si affronta la questione salariale? «Il tema dei bassi salari nel nostro Paese è legato ad alcuni fattori cronici: bassa crescita economica, produttività insignificante, ritardo eccessivo nei rinnovi contrattuali dovuto in molti casi alle resistenze delle associazioni imprenditoriali, scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello, e poi carico fiscale nazionale e locale troppo alto su salari e pensioni. Bisogna aprire una stagione di corresponsabilità sociale per una nuova politica dei redditi, incentivare fiscalmente i rinnovi, legare gli aumenti di produttività ai salari, tagliare drasticamente le tasse con una riforma fiscale progressiva e redistributiva».La Cisl chiede una redistribuzione degli utili delle aziende. «È una nostra battaglia. Un obiettivo che vediamo più vicino visto che c’è la nostra proposta di legge in discussione in Parlamento». E voi state facendo il vostro sui rinnovi contrattuali? «Si , quasi tutte le categorie stanno rinnovando i contratti ed alcune stanno stipulando accordi nazionali e aziendali per adeguare gli stipendi al costo della vita. Bisogna proseguire su questa linea a partire da tutti i contratti del settore pubblico, dove il governo è di fatto controparte. Bisogna sostenere questo processo detassando gli incrementi negoziati a qualunque livello». Tema Stellantis. Sembra che l’azienda abbia deciso di mollare il mercato italiano. Qual è la vostra sensazione? «La quota di mercato in Italia di Stellantis è oggi del 34% e l’azienda ha confermato l’intenzione di non voler abbandonare la produzione in Italia. Occorre alzare i volumi e la produzione con nuovi modelli in tutti gli stabilimenti italiani». Calenda accusa Landini di aver stretto un patto di non belligeranza con gli Elkann. Ha questa sensazione? «Non entro in contenziosi o conflitti personali. Dico però che per quanto ci riguarda non facciamo sconti a nessuno. Siamo impegnati a costruire un accordo per vincolare il gruppo su produzioni ed investimenti, per difendere l’occupazione in un settore attraversato da una profonda transizione». Quali garanzie chiedete all’ad Tavares? «Tavares sa che saremo contrari a qualsiasi operazioni di chiusura degli stabilimenti, i volumi produttivi devono crescere, ci devono essere chiari impegni verso ricerca e sviluppo e sulle forniture dell’indotto. Ci sono oltre 42.000 dipendenti diretti e 156.000 nell’indotto da proteggere». Il governo stringe su un secondo produttore. Tra i papabili c’è la casa cinese Dongfeng. Cosa ne pensa? «Non c’è preclusione dove è rispettato il protagonismo del lavoro e la centralità degli investimenti. Siamo aperti al confronto, di fronte a volumi e piani occupazionali consistenti nel nostro Paese, con produzioni che devono essere aggiuntive e non sostitutive delle attuali».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)