2023-07-01
Sbanca New York il Lugana, vino che ispirò Catullo
Vigneti di Lugana (IStock)
Questo prodotto gardesano ha suscitato un enorme interesse nella Grande Mela. È un autoctono doc con un Dna antico.Luganizzare è un neologismo ancora in embrione, in attesa di debuttare su qualche dizionario importante, di quelli che spaccano il pelo in quattro pur di non avere peli sulla lingua (italiana), come il Treccani o il vocabolario della Crusca. Lugano e la Svizzera non c’entrano, il vino Lugana, sì. Luganizzare appartiene già al lessico enologico anche se, come tutti i neologismi, sta muovendo i primi passi tra sommelier e winelover, gli appassionati del vino, sulle strade di un mondo che ha bisogno di tante parole, come un avvocato durante un’arringa, per raccontarsi. In questo mondo c’è già chi declina quel verbo-non-ancora-verbo per indicare un vino bianco fresco, ricco di sfumature floreali, agrumato in bocca quando è nel fiore della gioventù; finemente aromatico e minerale dopo qualche stagione di invecchiamento ed è pronto a colpire con la sua eleganza e personalità i recettori dell’olfatto e le papille del gusto. Un vino bianco italiano con giovanile sex appeal, capace poi di invecchiare con la classe di Catherine Deneuve e il fascino seducente di Sharon Stone, non si paragona più, ed era ora, a un Riesling alsaziano o ad un altro vino francese, ma al Lugana riconoscendo il prestigio di questo frutto dei vigneti che si stendono che in una zona argillosa lombardo-veneta affacciata sul lago di Garda.Non male per un vino che il primo disciplinare (1967) considerava figlio del «Trebbiano di Soave localmente denominato Trebbiano di Lugana». Ma i produttori luganesi sono tenaci. Hanno sempre saputo di avere tra le mani un’uva molto particolare. Ci sono voluti parecchi anni, studi e ricerche scientifiche per scoprire che il Lugana- maschile il vino, femminile la terra che lo partorisce- ha una differenziazione genetica diversa rispetto ad altri vitigni della vasta famiglia dei trebbiani. È un autoctono doc. Ha un’anima sua, un’indole, un carattere che gli derivano da un Dna antico. Diverso da quello del Verdicchio e del Trebbiano di Soave ai quali veniva accostato. Ci sono voluti anni di studi, ma alla fine è stata confermata la vera identità dell’uva a bacca bianca, arrivando a inserire - nel 2011- nel disciplinare la denominazione ufficiale del vitigno: Turbiana.Il resto è la storia recente di un vino di successo in Italia e, soprattutto, all’estero, di una Biancaneve diventata principessa dopo il bacio di un Principe Azzurro milanese con un nasone ben sviluppato, due labbra carnose che pronunciavano sentenze rimaste memorabili e con un carisma regale: Luigi Veronelli. Giornalista, scrittore, gastrofilosofo, Veronelli aveva incoronato il Lugana diversi anni prima del 2011 (è morto nel 2004), fotografando il vino dalla giovinezza alla senilità: «Bevi il vino Lugana giovane, giovanissimo e godrai della sua freschezza. Bevilo di due o tre anni e ne godrai la completezza; bevilo decenne, sarai stupefatto della composta autorevolezza. I Lugana, cosa rara nei vini, hanno una straordinaria capacità di farsi riconoscere. Tu assaggi un Lugana e non lo dimenticherai più». Tu mi turbi Turbiana.Da dove viene l’anima di questo vino splendente di riflessi d’oro e di smeraldo? Dai geni delle viti che si distendono dalla Lugana veronese a quella bresciana? Da Peschiera a San Benedetto di Lugana, da Sirmione a Pozzolengo, da Desenzano a Lonato? Sì, viene anche dai geni ereditati dalle argille depositate milioni d’anni fa dalla lingua del ghiacciaio che diede vita al Benàco. Ma altri li ha ereditati dalla preistorica selva Lucana, così i Romani chiamavano la foresta umida, acquitrinosa, popolata di cinghiali e altri animali selvatici che occupava da millenni il basso lago e che la Serenissima, nel 15° secolo, decise di bonificare per far posto a coltivazioni di cereali. Nonostante tutti gli sforzi di Venezia la Lugana rimase una terra povera, di poco reddito. Alla metà del ’700 il canonico Giovanni Jacopo Dionisi, letterato, scrisse: «Quantunque siano possessioni ampie e spaziose rendono una miseria al confronto degli altri terreni della riviera».Fabio Zenato, presidente del Consorzio del Lugana, non ha dubbi: «Il Lugana viene da tutto questo, dalla natura e dalla storia, dagli uomini che producono il vino e un po’ anche dalle leggende. In questa zona la Vitis silvestris era presente fin dall’Età del Bronzo: lo attestano i vinaccioli trovati nell’insediamento palafitticolo di Peschiera del Garda. Non ci sono prove, ma è bello pensare che il vino retico prodotto dal poeta Catullo, che il vino di queste zolle che innamorò il re ostrogoto Teodato, siano gli antenati del nostro Lugana». Un’altra bella storia fu raccontata dal cronista Marco Antonio Bendidio che in una epistola descrisse lo stupore e la meraviglia espressi da Isabella d’Este, marchesa di Mantova, nel vedere nel settembre del 1535, i pingui grappoli d’uva bianca durante un viaggio nella Lugana progettato per ammirare le bellezze gardesane e i ruderi della villa romana di Sirmione nei cui pressi maturavano quelle meravigliose uve.Lungo i secoli altri scrittori e altri storici hanno raccontato i vini della Lugana. Andrea Bacci, filosofo e scrittore, nel De naturali vinorum historia (1595) documenta: «Fra Desenzano e Peschiera si producono squisiti Trebulani». Ottavio Rossi, archeologo e poeta del 17° secolo, nelle Memorie bresciane racconta di un vino «gagliardo e soave» della «fangosa Lugana».Oggi il Consorzio Tutela vini Lugana è impegnato a continuare il progetto per individuare e registrare nuovi cloni. Partiti da un gruppo di 60 biotipi sono già stati omologati (2023) sei cloni individuati all’interno del materiale genetico. «Il Turbiana appartiene al gruppo dei Trebbiani, ma ha caratteritiche genetiche e ampelografiche sue proprie», sottolinea Zenato. «Il territorio è piccolo e nel corso dei secoli ogni vignaiolo ha sempre lavorato sui vigneti di sua proprietà, questi, gran parte dei quali hanno una vita media di oltre 40 anni, un’età che garantisce mineralità e carattere. Tutto questo ha comportato un elevato grado di conservazione del germoplasma garantendo la presenza del vitigno autoctono del territorio nel territorio stesso. Oggi il Lugana, grazie a questa stabilità genetica e alle caratteristiche delle argille dell’area, ha sviluppato caratteristiche definite e riconoscibili».Come dire che vino, terra e vignaioli sono diventati un assioma, un tutt’uno. Che però non è riuscito ad impedire la profonda ferita inferta al territorio dalla Tav, la linea ferroviaria ad alta velocità i cui lavori stanno sconvolgendo da anni, e ancora sconvolgono, la Lugana mangiandosi centinaia di ettari vitati che producevano ricchezza. «Anche per rispondere a questo scempio il Consorzio si sta impegnando in un progetto legato all’enoturismo fondato sui valori del territorio: le bellezze, il vino, le storie degli uomini e delle famiglie che lo producono. Sono esperienze che vogliamo far vivere in cantina agli enoturisti».Oggi gli ettari vitati sono 2600, le bottiglie prodotte nel 2022 sono state 28 milioni, il 70 per cento delle quali ha preso la strada per l’estero, soprattutto verso l’Europa del Nord: Svizzera, Austria, Germania, Olanda e Paesi Scandinavi. È notizia di questi giorni: il vino che (forse) ispirò Catullo e piacque al re Teodato, è sbarcato a New York con l’intenzione di luganizzare l’America assetata di grandi vini. Racconta Ambra Berardi, addetta alle pubbliche relazioni del Consorzio: «Dopo aver raccontato il Lugana a Londra a una platea di giornalisti del settore e di sommelier, il Consorzio ha portato venti aziende negli Stati Uniti. Per 11 giorni è stato presentato il Lugana alla ristorazione di alta qualità, alla stampa specializzata, ai Wine Club e ad esperti consumatori. Con nostra piacevole sorpresa il vitigno Turbiana non era ignoto come pensavamo. C’è stato un forte interesse, una grande curiosità intorno a questo vino del Garda con tanta gente che lo aspettava, interessata a capire».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.