2024-09-05
        L’Ue si autoassolve sulla gestione del virus
    
 Ursula von der Leyen (Ansa)
La Corte dei conti europea riconosce alcune lacune nell’attività di Ecdc ed Ema durante l’epidemia, che ha «colto tutti un po’ alla sprovvista». Entrambe, però, «in fondo hanno svolto un buon lavoro». Gli errori? Colpa solo della burocrazia complessa.Quanto era preparata l’Ue ad affrontare la pandemia di Covid? E se ne scoppiasse un’altra cosa succederebbe? Sono le domande che si è posta la Corte dei conti europea il cui compito è fare da cane da guardia a come viene speso il budget della Ue, ovvero controllare che il denaro dei contribuenti europei sia speso bene e adottando le strategie giuste. Gli auditor della Corte hanno così valutato la preparazione e la risposta dell’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) e dell’Ema (l’Agenzia europea del farmaco), poi hanno esaminato la pertinenza dell’azione della Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen (e quindi anche del commissario europeo per la salute, Stella Kyriakides) nell’affrontare le carenze individuate. E ieri hanno presentato una relazione sulla performance. Il verdetto? «La crisi sanitaria causata dalla pandemia ha colto la Ue un po’ alla sprovvista. Sebbene le due agenzie mediche dell’Ue responsabili della situazione abbiano in fondo svolto un buon lavoro, la pandemia ha anche messo in luce carenze e lacune che recenti misure della Ue hanno cercato di colmare. Tuttavia, secondo la relazione pubblicata ieri, non si può ancora ritenere che l’Ue sia del tutto pronta ad affrontare gravi emergenze di sanità pubblica». Insomma, viene dato un colpo al cerchio e uno alla botte. Mentre non si possono dimenticare i macroscopici errori commessi dalla gestione Von der Leyen sui contratti dei vaccini e sul green pass europeo cui, però, erano stati dedicate altre due relazioni speciali della Corte. Quella sull’approvvigionamento dei vaccini, pubblicata nel settembre del 2022, aveva sottolineato i ritardi rispetto a Gb e Usa nell’avvio del sistema centralizzato della Ue di acquisto dei vaccini e, «quando si sono verificate gravi carenze di approvvigionamento nella prima metà del 2021» la maggior parte dei contratti stipulati dalla Commissione «non prevedeva disposizioni specifiche per far fronte a tali perturbazioni», veniva evidenziato. Quella sul green pass europeo dell’11 gennaio 2023 segnalava - ahinoi - la mancanza di procedure specifiche per utilizzare questi strumenti a più lungo termine o riattivarli in fretta se necessario.Ma torniamo alla relazione pubblicata ieri sulle due agenzie mediche. Gli auditor della Corte osservano che inizialmente l’Ecdc aveva sottovalutato la gravità della situazione e considerato bassa la probabilità di introduzione del virus all’interno dell’Ue. Solo il 12 marzo 2020 ha riconosciuto la necessità di «misure mirate immediate», ossia tre giorni dopo l’annuncio del primo confinamento da parte dell’Italia. «Come molti altri organismi, le agenzie mediche della Ue sono state sopraffatte dalla forza e dalla velocità con cui si è diffusa la pandemia», ha subito precisato João Leão, membro della Corte responsabile dell’audit. «A quattro anni di distanza, gli insegnamenti tratti vanno applicati con efficacia, in modo che la storia non si ripeta». Nel mirino, c’è soprattutto l’Ecdc che - si legge nel documento - «ha iniziato effettivamente a raccogliere dati sulla pandemia, ma il numero di infezioni segnalate dipendeva in larga misura dalle strategie in materia di test adottate dai singoli Stati membri. Lo stesso vale per l’attribuzione dei decessi alla Covid». La Corte sottolinea che si sarebbe potuto fare maggiore ricorso a tecniche più affidabili, come l’analisi delle concentrazioni del virus nelle acque reflue. Inoltre, l’Ecdc ha emanato talvolta troppo tardi valutazioni dei rischi, orientamenti e informazioni pubbliche e all’inizio ha sottovalutato la gravità della situazione. Gli auditor della Corte segnalano inoltre che diversi Paesi non hanno tenuto conto del parere della stessa Ecdc». A giudizio della Corte, invece, l’Ema si è rapidamente adattata alla situazione e aveva stilato un elenco di attività potenzialmente rinviabili in situazioni di emergenza a differenza dell’Ecdc. Secondo gli auditor l’autorità europea del farmaco «ha contribuito a contrastare le carenze di medicinali durante la pandemia. L’unico vero problema è stato che l’agenzia non era riuscita a promuovere le sperimentazioni cliniche nella Ue». L’Ema - che ha anche il compito di coordinare le attività volte a individuare, valutare, comprendere e prevenire eventuali effetti nocivi (farmacovigilanza) dei medicinali immessi in commercio - viene però assolta dalla Corte quando gli auditor scrivono nella relazione che «ha potenziato il monitoraggio dei medicinali contro il Covid e ha reagito con prontezza quando sono emersi potenziali effetti collaterali significativi, mentre gli sforzi volti a promuovere attivamente più ampie sperimentazioni cliniche a livello dell’Ue hanno riscosso meno successo». Nel documento si precisa che gli auditor «hanno prestato particolare attenzione alla procedura dell’Ema per la valutazione dei vaccini» ma «non hanno valutato se le raccomandazioni dell’Ema fossero motivate, bensì se quest’ultima abbia svolto un’analisi approfondita in linea con le norme e le istruzioni concordate». La Corte preferisce puntare il dito su un quadro organizzativo ancora troppo complesso. L’Hera, l’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie, è stata istituita nel 2021 per supervisionare lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di medicinali, vaccini e altri prodotti in caso di emergenza. Il problema è che le responsabilità e i poteri dell’Hera sono in parte analoghi a quelli dell’Ecdc». Di qui l’invito degli auditor a mettere in campo «una stretta cooperazione per evitare un’inutile duplicazione del lavoro».
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