Rinunciare al gas russo (che quest’anno toccherà il valore record di 100 miliardi di dollari) avrebbe scatenato la recessione e la corsa a forniture alternative ma ancora insufficienti. Cresce la dipendenza dell’Italia dal petrolio e dal carbone di Mosca.
Rinunciare al gas russo (che quest’anno toccherà il valore record di 100 miliardi di dollari) avrebbe scatenato la recessione e la corsa a forniture alternative ma ancora insufficienti. Cresce la dipendenza dell’Italia dal petrolio e dal carbone di Mosca.Il 5 maggio 2022, l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la sicurezza e difesa dell’Ue, lo spagnolo Joseph Borrell, ha affermato che «il gas non è solo un prodotto energetico. Non può essere sostituito da qualcos’altro nell’industria petrolchimica. La chiusura del rubinetto del gas con la Russia non è al momento in discussione», precisando che «la norma europea è che i contratti continuino a essere mantenuti come erano».In precedenza, la Confindustria e i sindacati tedeschi avevano espresso le loro preoccupazioni al cancelliere Olaf Scholz, con una lettera nella quale si evidenziava che l’embargo totale al gas naturale russo, da cui la Germania è dipendente per il 55% dei consumi, avrebbe determinato una perdita economica stimata in 180 miliardi di euro, pari ad una contrazione del Pil del -2% nel 2022 a fronte di una previsione di crescita del +3% secondo le stime riportate dalla Bundesbank. «Il taglio delle forniture russe di gas avrebbe delle conseguenze catastrofiche» ha chiarito Siegfried Russwurm, presidente della Bdi, la principale associazione confindustriale tedesca. La decisione dell’Unione europea di non mettere sotto embargo il gas naturale russo, che nel 2020 ha contribuito per il 43% circa dei propri consumi, nonché di accettare le modalità di pagamento del gas imposte dalla Federazione russa (apertura del doppio conto corrente presso la sede della Gazprombank di Mosca e non più in Lussemburgo onde evitare il congelamento delle relative entrate come avvenuto per i 300 miliardi di dollari di riserve estere russe detenute presso le banche occidentali) decretano l’impossibilità dell’Ue di fare a meno del gas russo nel breve-medio periodo, quand’anche le forniture della Gazprom verso l’Europa diminuissero negli anni a venire a seguito di una parziale diversificazione dei fornitori da parte dell’Unione.Secondo Citibank, nel 2022, la rendita mineraria russa derivante dalle esportazioni di gas naturale verso l’Europa raggiungerà la cifra record di 100 miliardi di dollari, il doppio dell’anno trascorso. In realtà, se l’Unione europea avesse imposto l’embargo al gas naturale russo, oltre alla prevista recessione economica, si sarebbe scatenata una vera e propria corsa tra i diversi membri dell’Ue alla ricerca di presunti nuovi fornitori che avrebbe acuito le tensioni intra europee. Le forti critiche dei giornali spagnoli al viaggio del governo italiano in Algeria ne sono un primo esempio (il 47% dei consumi di gas naturale della Spagna, pari a circa 15 Gm3, viene fornito dall’Algeria e Roma contenderebbe a Madrid le esportazioni algerine).Inoltre, l’embargo avrebbe bloccato le royalties con cui la russa Gazprom continua regolarmente a pagare (in dollari ed euro) l’ucraina Naftogaz secondo quanto dichiarato dall’amministratore delegato di quest’ultima, Yuriy Vitrenko: «Nonostante la guerra, i russi stanno rispettando alla lettera i contratti sui flussi di gas che avevano sottoscritto anni fa» (almeno 1,4 miliardi di euro all’anno, pari a circa l’1% del Pil nazionale, sino al 2024).la Dipendenza italianaNel 2020, la dipendenza energetica dell’Italia è stata del 75,3%, un valore che si colloca ampiamente al di sopra della media europea (59,7%). Tra le principali economie del pianeta, solamente il Giappone ha una dipendenza energetica superiore a quella italiana (il 90% circa).La tabella 1 (a fianco nella pagina, ndr) confronta l’andamento delle quantità di gas naturale importate dall’Italia nel primo trimestre del 2022 e del 2021. Si osserva innanzitutto come, nonostante l’aumento dei prezzi e l’apparente rallentamento dell’economia, le quantità importate sono aumentate di 1,4 Gm3 (+8,2%). Un risultato che però sintetizza movimenti di segno opposto. Infatti: 1 I flussi transitanti dal punto di ingresso di Tarvisio e provenienti dalla Federazione russa sono diminuiti di 1,36 Gm3, segnando una flessione del 19,7%. 2 Anche le importazioni dal punto di ingresso di Mazara del Vallo (provenienza Algeria) sono diminuite, ma in misura più contenuta (-2,9%). 3 Si sono ugualmente ridotte le importazioni libiche che passano per il punto di arrivo di Gela (-43,9%). 4 Sono invece aumentate del 241% le quantità importate attraverso il terminale della Tap di Melendugno, che riceve gas naturale dall’Azerbaijan ed è entrato in funzione nel dicembre 2020. 5 Sono aumentate di quasi il 250% le importazioni provenienti da Norvegia e Olanda e transitanti per Passo Gries, ma prevalentemente per un effetto rimbalzo dalle anomale riduzioni dello scorso anno. 6 Sono infine aumentati del 34,2% gli arrivi di Gnl (da Qatar, Usa, Nigeria e Algeria).A seguito di questi andamenti, sono dunque diminuite le quote di importazioni dalla Federazione russa (dal 39,9 al 29,6%) e dall’Algeria (dal 33,6 al 30,1%), mentre sono aumentate le quote di importazioni ricevute dalla Tap (dal 5,5 al 12,3%) e sotto forma di Gnl (dal 12,9 al 16%). L’avvio della Tap e il gas liquefatto (più costoso) offrono dunque un’effettiva possibilità di diversificazione delle forniture, ma certamente non sono sufficienti a garantire l’indipendenza dalla produzione russa, che nel primo trimestre del 2022 ha comunque coperto il 21,8% dei consumi nazionali.Complessa sembra poi essere la diversificazione attraverso le forniture provenienti dall’Algeria. Ciò anche considerando che, a causa di investimenti inadeguati, nell’ultimo decennio 2009-19 l’incremento dei consumi di gas naturale di questo Paese è stato superiore a quello della produzione (rispettivamente +5,6% e +1,3% in media annua), determinando a partire dal 2017 un calo delle esportazioni.In base alle stime fornite dalla compagnia statale Sonatrach, per la prima volta in assoluto, la produzione algerina di gas naturale ha comunque superato i 100 Gm3 nel 2021 e le esportazioni sono subitaneamente risalite a 55,2 Gm3 (il massimo da 11 anni). Si può ipotizzare che l’Algeria abbia in tal modo già raggiunto un livello massimo di capacità produttiva e che quindi possa contribuire in misura limitata a un’ulteriore erosione della quota di fornitura oggi appannaggio della Federazione russa. Nonostante esistano diversi progetti estrattivi che potrebbero rivelarsi proficui, permangono dubbi in merito anche alla possibilità dell’Algeria di mantenere i livelli produttivi e di esportazione del 2021, a causa del declino naturale dei pozzi più vecchi e, come ha dichiarato il ceo di Sonatrach, Toufik Hakkar, per la domanda interna già tornata ai livelli record del 2019 e stimata in crescita sino al 2028.Il petrolio russo Nel primo trimestre del 2022, le quantità importate di petrolio (greggio e prodotti finiti) sono aumentate in l’Italia dell’8,4% (+1.33 milioni di tonnellate). Le forniture russe sono salite a 2.62 milioni di tonnellate, con una crescita del 55,8%, ben superiore al dato medio. La quota russa sulle importazioni italiane di petrolio è pertanto salita al 15,2%, dal 10,6% del 2021. Aumenti ancora superiori sono stati registrati per le importazioni dal Kazakhstan (+274%) e dagli Stati Uniti (+270,6%). Si sono di contro ridotte di quasi un milione le forniture dall’Azerbaijan (-26%), con un calo della quota dal 22,8 al 15,6%.Considerando le sole importazioni di greggio (tabella 2), le importazioni dalla Federazione russa sono aumentate nel trimestre del 99,4%, con una quota sul totale praticamente raddoppiata (dal 7,4 al 13,5%). Anche in questo caso aumenti più consistenti hanno riguardato le importazioni dal Kazakhstan e dagli Stati Uniti. Si sono invece ridotte le forniture di greggio provenienti dall’Opec, con una quota scesa di cinque punti al 44,5%. Al momento, per il petrolio non si scorgono quindi segnali di diversificazione dalla forniture russe, che al contrario sono più rilevanti nel primo trimestre di quest’anno di quanto non fossero nel 2021, con una copertura del consumi interni passata dal 14,0 al 19,3%.Il carbone di mosca Anche le quantità di carbone importato dall’Italia (tabella 3) sono aumentate nel primo trimestre del 2022, con una variazione del 25,3% (dunque più del gas naturale e del petrolio). Per questa fonte, la dipendenza dalla Federazione russa è massima ed è salita al 58,3%, dal 55,8% del primo trimestre 2021. L’incremento degli acquisti dalla Federazione russa è infatti stato del 31,1%, con 431.000 tonnellate in più. Sud Africa e Australia hanno aggiunto 274.000 tonnellate alle importazioni, mentre la fornitura spagnola si è ridotta 109.000 tonnellate. Nel caso del carbone, comunque poco rilevante nel paniere energetico nazionale, le possibilità di diversificazione sono particolarmente limitate.I dati italiani mostrano come sui mercati la domanda di prodotti energetici sia ancora forte, denotando uno stato della congiuntura reale piuttosto solido. In questo contesto, rispetto a inizio anno risultano a fine maggio aumenti dei prezzi del 20,6% per il gas naturale scambiato sulla piazza europea, del 45,2% per il petrolio e del 139,3% per il carbone. L’aumento delle quote russe sulle importazioni italiane riguarda cioè i due prodotti (petrolio e carbone) per i quali più forte è stato l’aumento dei prezzi. Un andamento che ha carattere generale, tanto che le stime fornite dalla Banca centrale russa indicano come nei primi quattro mesi del 2022 il conto corrente della Federazione russa abbia raggiunto i 95,8 miliardi di dollari (+348% rispetto allo stesso periodo del 2021) mentre la bilancia commerciale ha toccato i 106,5 miliardi di dollari (+302% anno su anno).
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