La nuova direttiva (in vigore dal 1° gennaio 2022) impone la riduzione dei prelievi dai corsi d'acqua naturali. Gli effetti potenziali sono devastanti: -46% per i raccolti delle campagne e produzione idroelettrica in picchiata.
La nuova direttiva (in vigore dal 1° gennaio 2022) impone la riduzione dei prelievi dai corsi d'acqua naturali. Gli effetti potenziali sono devastanti: -46% per i raccolti delle campagne e produzione idroelettrica in picchiata.Un'altra minaccia al territorio e all'economia italiana arriva dall'Europa, questa volta con riguardo ai fiumi e ai corsi d'acqua. Una direttiva europea (direttiva quadro acque 2000/60/Ce) ha infatti introdotto, a partire dal 2012, il concetto di deflusso ecologico (de) dei corsi d'acqua naturali, che dovrà essere rispettato a partire dal 1° gennaio 2022 dai paesi membri dell'Unione. Secondo la direttiva, il deflusso ecologico è il volume d'acqua necessario affinché l'ecosistema di un fiume continui a restare in equilibrio, limitando i prelievi dell'uomo per i suoi utilizzi. Il deflusso ecologico prevede che in ogni tratto di un corso d'acqua la portata di transito sia il più possibile naturale, consentendo volumi che assicurino il mantenimento di buone caratteristiche ecologiche. In Italia sinora veniva osservato invece il principio del deflusso minimo vitale (Dmv), cioè la portata residua utile a salvaguardare nel lungo termine la struttura naturale dei fiumi, contemperata con le necessità di utilizzo delle acque da parte dell'uomo.I due concetti sembrano simili, ma sono in realtà opposti: mentre il deflusso minimo vitale parte dal concetto di flusso d'acqua minimo indispensabile per mantenere condizioni di equilibrio ecologico a valle dei prelievi umani, il deflusso ecologico considera il flusso naturale massimo possibile, consentendo prelievi che ne riducano la portata soltanto in minima parte.Le simulazioni e le sperimentazioni di applicazione del nuovo concetto di deflusso ecologico condotte in alcuni ambiti idrografici portano a risultati devastanti per l'agricoltura e per la produzione idroelettrica. I valori ipotizzati nel calcolo del deflusso ecologico sono doppi o tripli rispetto a quelli del deflusso minimo vitale: se la quantità d'acqua che deve restare nel fiume aumenta, ne risente tutto il territorio circostante, che non può utilizzare le acque di cui fino ad oggi ha usufruito. Con l'applicazione del deflusso ecologico l'agricoltura disporrebbe di meno acqua per l'irrigazione e molti territori rimarrebbero all'asciutto. Per gran parte dell'anno sarebbe impossibile sfruttare le derivazioni a fini irrigui. Anche le città attraversate da corsi d'acqua avrebbero delle conseguenze, comprese quelle legate alla diluizione degli scarichi.Enel green power ha condotto alcuni anni fa diverse simulazioni nel bacino idrografico dell'area Pedemontana veneta, dove possiede molti impianti idroelettrici, arrivando a stimare una minore produzione di oltre 900 GWh all'anno di energia idroelettrica. Si ridurrebbe infatti l'accumulo idrico nei bacini montani, alterando la possibilità di utilizzare al meglio i laghi artificiali come accumulo di energia disponibile. Il sistema dei pompaggi idroelettrici, che rappresentano una importantissima risorsa strategica ai fini della tenuta dell'intero sistema elettrico nazionale, dovrebbe essere radicalmente rivisto e subirebbe un drastico ridimensionamento.Anche gli impatti economici sull'agricoltura sarebbero gravi, con una stima di –46% di produzione agricola nel territorio preso a campione per le simulazioni da Enel green power, mentre per il turismo va messa in conto una minore attrattività di laghi e bacini. In un momento in cui il green deal impone una sempre maggiore quota di produzione da fonte rinnovabile, l'applicazione del deflusso ecologico metterebbe in crisi la produzione idroelettrica italiana in tutto l'arco alpino. Nello scorso mese di settembre la produzione idroelettrica nel nostro Paese è già risultata inferiore del 23% rispetto allo stesso mese del 2020. L'Unione europea assomiglia sempre più a un mostro che divora sé stesso, intento ad emanare norme in contraddizione interna rispetto al sistema e quasi sempre tagliate su misura per i paesi del Nord. È evidente, infatti, che gli estensori della direttiva quadro acque non hanno tenuto conto delle particolarità del territorio italiano. Mentre, al contrario, la direttiva sembra ritagliata per i grandi corsi d'acqua a nord della corona alpina. Da tempo il consorzio di bonifica del Piave e l'Associazione italiana dei consorzi per la gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi) hanno lanciato l'allarme nei confronti delle istituzioni, senza che però la scadenza del prossimo 1° gennaio sia stata in qualche modo messa in discussione. È tutto da capire poi come l'applicazione di questa direttiva possa sposarsi con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che alla Missione 2 componente 4 (M2c4) - Investimento 4.3 - «Investimenti nella resilienza dell'agrosistema irriguo per una migliore gestione delle risorse idriche» stanzia 880 milioni. La scorsa primavera l'Anbi aveva stimato in più di 4 miliardi le necessità minime di investimento sul territorio. Il nostro Paese è storicamente alle prese con un grave dissesto idrogeologico che arriva da decenni di incuria e di tagli alla spesa pubblica per la manutenzione del territorio. Calare dall'alto questi parametri teorici senza tenere conto delle specificità territoriali non può che aggravare la situazione di un territorio già molto provato, che avrebbe invece bisogno di massicci investimenti e di cure continue.
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